Andreotti redivivo Fini lo è certamente, se si limita il "divo Giulio" al politico di riferimento del generone romano. Dei grandi burocrati: i direttori generali, le Procura della Repubblica, i questori, i servizi segreti. Della burocrazia cosiddetta romana, in realtà sparsa in tutta Italia, nei corridoi oscuri della Repubblica. In una delle sue rare avventure nel dossieraggio, gli uffici del gruppo del Pdl alla Camera hanno fatto un rapido censimento delle posizioni di forza del presidente della Camera nelle istituzioni, e ne hanno tratto un quadro inquietante.
Più che sui giornali - e ora si capisce il perché: le provvidenze speciali all’editoria imposte nella legge di Stabilità - il fascino di Fini sarebbe forte nelle Procure. Questo già più in armonia con le sue origini neo fasciste, che col suo nuovo vestito liberale. I capi delle Procure Mari, Caltanissetta, Ferrara a Roma, Quattrocchi a Firenze (voleva indagare i soliti Berlusconi e Dell’Utri per la strage di via dei Georgofili…), Trifuoggi a Pescara (quello che non sa ora come scagionare Del Turco, che fece arrestare, diceva, “in flagranza di reato”), Lepore a Napoli, Laudati a Bari. E lo stesso De Gennaro, il capo dei servizi segreti.
Sarebbe questa mappa di posizioni di potere alla base delle certezze che Fini esibisce di essere il prossimo nuovo capo del centro-destra. Che gli elettori invece snobbano – almeno a giudicare dalla scarsa presa dei tanti circoli subito aperti dal suo partito, al Nord come al Sud. Fini era emerso nella politica nazionale già a seguito di Mani Pulite, prima della sponsorizzazione di Berlusconi, quale garante politico delle Procure nella caccia indiscriminata ai politici, locali e nazionali.
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