A tre mesi dalla defenestrazione di Profumo Unicredit vaga incerta. Come i suoi padroncini, gli autori del colpo di mano, Biase il taciturno, Palenzona il chiacchierone, due navigati (ex) Dc, gente di potere prima che di idee. La struttura è da completare, le procedure da semplificare, le strategie da inventare. Domani venderanno il Mediocredito, ma giusto perché le Poste lo vogliono e lo hanno chiesto, senza cioè un programma. La banca è ferma a tre mesi fa. Il titolo in Borsa, venduto a 2,40 all’aumento di capitale riuscito di gennaio, ha ora un target price di 2,30. Un prezzo massimo teorico, poiché il titolo naviga attorno a 1,60, dopo essere sceso sotto 1,50. In consiglio e in banca nessuno peraltro parla più con nessuno: le attività ordinarie vanno avanti per inerzia, nessuna novità è stata introdotta e nessuna decisione innovativa viene presa, a parte la tardiva nomina di Ghizzoni ad amministratore delegato, una seconda scelta, se non una terza. L’ipotesi che questo sito avanzava all’indomani del colpo di mano contro Profumo ("Unicredit allo sioglimento")è sempre più concreta.
Più che un progetto industriale, peraltro, Unicredit è stata ed è una conglomerata di banche “bianche”. Se Profumo aveva un progetto industriale, è stato eliminato prima di realizzarlo, o per impedirgli di realizzarlo. Così com’è, Unicredit è un’entità politica: una vasta rete nel mercato del credito, costruita a poco prezzo su entità traballanti, tutte in aree o di orientamento democristiano, in Baviera, Austria, Polonia, Croazia. Senza peraltro nemmeno un progetto politico, non che si possa intravedere dietro la spavalderia provinciale di Palenzona.
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