Pessoa, autore di un canzoniere sterminato, in nome proprio e eteronomo, che si pubblica postumo da settant’anni e non cessa di meravigliare, è anche scrittore politico. Reazionario, il suo “regime naturale” è “l’aristocrazia o la monarchia pura”. Uno che conclude: “Essere rivoluzionari significa servire il nemico. Essere liberali significa odiare la patria. La Democrazia moderna è un’orgia di traditori”. Così conclude “L’opinione pubblica”, il saggio più importante di questo libro impropriamente intitolato “Sulla tirannia”. Ed è apodittico, non ironico e riservato come negli scritti letterari, perfino "impegnato", troppo. Ma sempre sorprendente. La politica era la seconda passione di Pessoa, dopo la poesia, sono centinaia i “pezzi politici” del suo famoso baule. Reazionario per principio, anche se si definisce situazionista, e tuttavia perspicace - situazionista si dicharava un quarto di secolo prima del situazionismo.
Pessoa è quello che era, un don Chisciotte (ebbe anche una Dulcinea, la dattilografa dell’ufficio). Ma di eccezionale misura, nel giudizio politico come in poesia. Essendosi messo nella posizione del reazionario, ha un inedito aperçu delle miserie dell’opinione pubblica. Non inveritiero. Ne riconosce l’ereditarietà, oggi di direbbe l’imprinting, e il tradizionalismo, non innocui e anzi vitali: l’opinione pubblica, essendo istintuale e tradizionalista, si elabora non razionalmente ma conservativamente, ed è antagonista (chi non è per me è contro di me). Bene, anzi male: “A quali conclusioni portano queste semplici constatazioni?Allo sfaldamento integrale del concetto moderno di Democrazia, alla dimostrazione che la Democrazia, come la si intende modernamente, è essenzialmente nemica dell’opinione pubblica, e dunque antisociale, antipopolare e antipatriottica”. Segue dimostrazione.
Sembra assurdo che Pessoa, l’uomo e lo scrittore che si nega, abbia qualcosa da insegnare alla politica, della politica, ma ne aveva i mezzi, oltre che la passione. Da reazionario, ma con più di un insight dialettico. La democrazia, il suffragio, il liberalismo, il pacifismo sono “essenzialmente diretti contro l’opinione pubblica, contro il popolo”, anche questo è vero. “Cinque dialoghi sulla tirannia”, che dà il titolo, è il secondo saggio, debole, del libro. Il terzo è una spiegazione ancora nuova della massoneria in Europa.
Fernando Pessoa, Sulla tirannia, Guanda, a cura e con un saggio di Roberto Mulinacci, pp. 139, € 12
sabato 23 gennaio 2010
Viaggiare all'inglese, senza vedere
Byron viaggia come poi Chatwin, se uno non ha cominciato a leggerlo da “Che ci faccio qui?”, con la puzza al naso: non ha persone locali, né linguaggi o cose, solo fantasmi e aneddoti, all’opposto di Norman Douglas, Lear, Kipling. Insensibile alle persone, ai sentimenti, alle sensibilità differenti, ai linguaggi, perfino alla storia. Questo aiuta per i piccoli effetti: i contrasti, i bozzetti, le bizzarrie. Ma da viaggio tipicamente imperiale, anche se la sua maggiore bizzarria è che si fa con pochi soldi e a scrocco, di connazionali e nativi. Byron è vanitoso, arrogante, insolentisce gli ospiti, li mette in riga, così racconta dopo. Si va avanti veloci, non si ricorda niente.
Robert Byron, La strada per Oxiana
Robert Byron, La strada per Oxiana
giovedì 21 gennaio 2010
Perché Berlusconi non fa ridere
Non c’è satira, si dice ed è vero. Mentre non ci sono mai stati tanti comici in tv, anche seri. Non s’è mai fatta tanta satira e tanto cabaret. La verità vera è che tanta satira non fa ridere. E non fa ridere perché ha un solo soggetto, Berlusconi. Un soggetto che non “attacca”.
Perché il popolo italiano è subordinato? Lo si diceva una volta, quando si parlava di piccola borghesia e incomunicabilità. Ma nelle cronache l’antico spiritaccio è sempre all’opera, non ci sono santi. È che la satira vuole un soggetto solido. Qualcuno che nell’immaginario, e nell’intimo dello stesso caricaturista, sia sentito, sia pure oscuramente, criticamente, con rabbia, come qualcuno che ha qualcosa in più. Il satirico deve sentirsi sempre da meno del soggetto che ridicolizza. Altrimenti gli si sovrappone, e non fa che l’elogio di se stesso, “quanto sono bravo!” (intelligente, progressista, democratico, virtuoso, generoso, anche meglio di Cruijff e Beckenbauer, e perfino di Maradona), e di questo non frega niente a nessuno.
Berlusconi è ormai una biblioteca e un genere letterario. Ci sono da quindici anni costantemente in libreria più libri su di lui che nuovi gialli, il genere editoriale di maggior successo. Sono libri su tutti i delitti possibili, che Berlusconi ha commesso o potrebbe aver commesso – ma più su questi, l’uomo serve vivo. Mancavano quelli sessuali, ora ci sono anche quelli – scopare è un delitto in libreria. Manca l’assassinio, ma non mancherà. Alcuni vorrebbero far ridere: le barzellette di Berlusconi, le gaffes di Berlusconi, etc. E tuttavia Berlusconi è sempre lì, preso sul serio, e noi non ci divertiamo. Perché siamo troppo intelligenti, più intelligenti di lui.
È così che si ride di Berlusconi con Berlsuconi, basta e avanza con se stesso: grande soggetto di satira, ma se la fa da sé a se stesso. Si può dire infettivo, ha caricaturisti presi dalla loro autoconsiderazione. Camuffata solitamente da formule resistenziali, ciò che aggrava l’egomania con la stupidità, l’indifferenza alla realtà che è del terrorismo italiano. Ma non si ride con loro, se non il pubblico di “Annozero”, che si compiace di guardarsi in tv, pagato. E questa è la seconda verità di questa stagione infertile: fare la caricatura di qualcuno o qualcosa che si considera morto è una forma di suicidio, a meno che non sia patrocinata dallo Stato. In questo caso resta viva ma è fredda, come la risata del boia.
Perché il popolo italiano è subordinato? Lo si diceva una volta, quando si parlava di piccola borghesia e incomunicabilità. Ma nelle cronache l’antico spiritaccio è sempre all’opera, non ci sono santi. È che la satira vuole un soggetto solido. Qualcuno che nell’immaginario, e nell’intimo dello stesso caricaturista, sia sentito, sia pure oscuramente, criticamente, con rabbia, come qualcuno che ha qualcosa in più. Il satirico deve sentirsi sempre da meno del soggetto che ridicolizza. Altrimenti gli si sovrappone, e non fa che l’elogio di se stesso, “quanto sono bravo!” (intelligente, progressista, democratico, virtuoso, generoso, anche meglio di Cruijff e Beckenbauer, e perfino di Maradona), e di questo non frega niente a nessuno.
Berlusconi è ormai una biblioteca e un genere letterario. Ci sono da quindici anni costantemente in libreria più libri su di lui che nuovi gialli, il genere editoriale di maggior successo. Sono libri su tutti i delitti possibili, che Berlusconi ha commesso o potrebbe aver commesso – ma più su questi, l’uomo serve vivo. Mancavano quelli sessuali, ora ci sono anche quelli – scopare è un delitto in libreria. Manca l’assassinio, ma non mancherà. Alcuni vorrebbero far ridere: le barzellette di Berlusconi, le gaffes di Berlusconi, etc. E tuttavia Berlusconi è sempre lì, preso sul serio, e noi non ci divertiamo. Perché siamo troppo intelligenti, più intelligenti di lui.
È così che si ride di Berlusconi con Berlsuconi, basta e avanza con se stesso: grande soggetto di satira, ma se la fa da sé a se stesso. Si può dire infettivo, ha caricaturisti presi dalla loro autoconsiderazione. Camuffata solitamente da formule resistenziali, ciò che aggrava l’egomania con la stupidità, l’indifferenza alla realtà che è del terrorismo italiano. Ma non si ride con loro, se non il pubblico di “Annozero”, che si compiace di guardarsi in tv, pagato. E questa è la seconda verità di questa stagione infertile: fare la caricatura di qualcuno o qualcosa che si considera morto è una forma di suicidio, a meno che non sia patrocinata dallo Stato. In questo caso resta viva ma è fredda, come la risata del boia.
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (52)
Giuseppe Leuzzi
Si celebrano a Palermo gli anniversari della cattura di Riina e Provenzano. È una forma, non sottile, di beatificazione della mafia nei suoi aspetti peggiori, bruta, brutta, stupida. A opera di giudici che processano gli autori degli arresti.
Titolano i giornaloni milanesi che fanno l’opinione: “L’Inter non molla. Sotto di due gol riprende il Bari in cinque minuti”, e poi, si suppone, lo risparmia per grandezza d’animo. “L'Inter ha sofferto tanto, tantissimo, ma ha saputo restare a galla, forte nel carattere quanto nei muscoli, qualità che le hanno consentito di portare a casa un punto prezioso”. L’Inter che “vale” quindici volte il Bari come ingaggi. È la sapienza dei forti: le debolezze trasformare in forza, i vizi in virtù.
“Quel che più mi ha sconvolto dei grandi processi staliniani è la fredda approvazione con cui gli uomini di Stato comunisti accettavano la condanna a morte dei loro amici”, dice Kundera in “Un incontro”, p. 123. Non c’è scambio possibile fra “convinzione” e “amicizia” (124): “Contrariamente alla puerile fedeltà a una convinzione, la fedeltà a un amico è un virtù, forse l’unica, l’ultima”. Al Sud ciò sarebbe detto omertà – di Sciascia è stato detto.
Kundera va anche oltre, a p.122: “Non c’è nulla di più sciocco che sacrificare un’amicizia alla politica. Sono fiero di non averlo mai fatto. Ho ammirato Mitterrand per come ha saputo restare fedele ai vecchi amici”. Di Vichy, petainisti, insomma fascisti al tempo dell’occupazione tedesca.
Nel suo terzo diario di guerra, “La capanna nella vigna”, Jünger ricorda un viaggio in Norvegia nel 1935 e un cantante norvegese, Celsus, che “prima di cantare in pubblico era sempre preso dal trac, dall’angoscia, il suono si faceva luce attraverso questa resistenza come attraverso una membrana, una griglia leggera”. Quando l’applauso arrivava, si trasformava: “Cantava allora con voce vibrante un da capo banale, come un tenore dei paesi meridionali”. Un buon tenore deve cantare membranaceo, grigliato, come “nei paesi settentrionali”?
La Corte d’assise d’appello di Palermo, la stessa che inscenò la trasferta promafiosa di Torino per sentire il pentito teologo Spatuzza, l’uomo dai cento omicidi, allevia la pena a un Graviano, uno dei boss attesi a testimoniare di fronte allo stesso augusto consesso contro Berlusconi. Il Procuratore capo dell’antimafia Grasso e il sostituto procuratore di Palermo Ingroia ammoniscono severi a non pensare male: “Il giudice è indipendente”. Sì, ma che c’entrano loro? Perché ci ammoniscono? E perché parlano insieme?
Il Procuratore nazionale antimafia Grasso fu incaricato trent’anni fa d’indagare sull’assassinio di Piersanti Mattarella. E indagò due terroristi di destra, Cavallini e l’eterno Fioravanti. Come fu possibile? Chi glieli mise davanti? Perché Grasso puntò su di loro?
Quanto Grasso “scoprì” che i terroristi non c’entravano, era troppo tardi per trovare gli assassini dell’onorevole siciliano, che infatti sono impuniti.
Milano
Milan Kundera ha un “paradosso luciferino” in “L’idillio figlio dell’orrore” (ripubblicato nel volume “Un incontro”): “Se una società (la nostra ad esempio) vomita violenza e malvagità gratuite, significa che le manca la vera esperienza del male”. La società “milanese” ad esempio. Di una città nei fatti probabilmente più ricca di Zurigo, quindi dell’Europa, e del mondo. Che si fa pagare la prima alla Scala dallo Stato. E', lo è stata per decenni, la città più inquinata d'Europa, ma non lo dice. E quella che ha il più gran numeo di stupri, di stupri denunciati, in assoluto e in rapporto alla popolazione, almeno uno al giorno, cento giorni l'anno anche due, più spesso domestici. E ha il record dei contagi Aids, due al giorno, quanti a New York, che è dieci volte più grande, e un terzo dei contagiati di tutta l’Italia. Perché vive di droga. Che domina il gusto, e le tariffe al ristorante: non mangia a meno di cento euro. E quando gioca vuole vincere, specie al calcio, dove nasconde i soldi, uno dei cento nascondigli. Ma teme il lavavetri al semaforo. E ha inventato la Lega, con Berlusconi. Questa è tutta Milano, ma questa è l’Italia.
La Lazio perde a Milano una causa in cui ha palesemente ragione, in modo che il calciatore Pandev vada al’Inter a parametro zero, senza cioè un euro per la squadra che lo ha maturato e valorizzato. Un giudice si era dimesso per non dover fare questa sentenza.
Il club di Moratti aveva negoziato con Pandev (e Ledesma, altro calciatore della Lazio) in tempi proibiti, quando la caccia calcistica era chiusa. Ma questo non interessa alla Lega e alla Federazione: Milano è immune da reati.
Mentre a Roma i tifosi della Lazio danno la colpa a lui e non all’Inter. E questo è il miracolo di Milano, fare tutti cornuti e contenti.
Sia l’italianità lo sguardo, la seduzione, il desiderio, la furberia. È italiana Trieste (Svevo, Saba), è italiana Genova (Montale, De André), e persino Torino (Cavour, Pavese). Non lo sono Manzoni, Cattaneo, gli scapigliati, che costruiscono la gelosia dai libri. La “passione” di Stendhal manca proprio a Milano e dintorni: l’occhiata, l’illusione, l’appuntamento rinviato. Milano non si differenzierebbe da Francoforte, se non perché non ha il fiume, e ha meno il gusto delle idee.
C’è sempre violenza politica a Milano, c’è stata il 13 dicembre, c’è stata il 12, c’è stata un anno fa, per il 12 dicembre e per il 25 aprile, c’è stata nel 1969 alla Fiera e a piazza Fontana esattamente come quarant’anni prima, forse a opera della stessa polizia politica. Ma la città non se ne fa un cruccio. Nemmeno il cardinale pensa di dover dire le solite parole buone. Anzi gli attentatori sono sempre figli di buona famiglia, morigerati, studiosi, di buone compagnie. Sarà qui, in questa impermeabilità, il segreto del successo? Altrove sarebbe detta omertà.
Mourinho vuole dire che nella partita Juventus-Inter gli sono state fischiate troppe punizioni contro. Ma non lo dice, accenna. Allude. E dunque la mafia ha contagiato l’italiano? Sembrerebbe: i giornalisti spiegano solleciti che Mourinho non può dire di più, altrimenti verrà censurato o punito dalle autorità calcistiche, ma proprio questo è mafia, il qui lo dico e qui lo nego, e l’omertà dei giornalisti che lo contornano. Ci rubano anche la mafia.
Calabria come cifra
Si può dire la Calabria un mondo a parte. Per i lombardi o i piemontesi non solo, ma anche per i pugliesi e gli stessi lucani. Anche perché la divisione amministrativa è pure geografica e, a suo modo, etnica. Che non vuol dire un altro mondo, quale è l’America Latina, o la Groenlandia. Ma un mondo a parte nel resto d’Italia, per il linguaggio, la psicologia, la stessa storia, benché ignota.
La litote è la cifra del linguaggio, invariabile. Anche nei momenti tragici, o tristi: la rappresentazione e l’understatement. Ma ognuno sempre nel suo ruolo: il medico è grave, l’avvocato arruffone, il giudice muto, il negoziante loffio, per sua stessa fede.
La parentela del sangue: paterna, fraterna, prima che coniugale, avunculare, patriarcale - il nonno dà il nome di battesimo e il soprannome, ed è considerato capostipite.
Ne “Il sentiero dei nidi di ragno”, la raccolta di racconti di Calvino, quattro cognati calabresi compiono efferatezza contro i nazifascisti.
A Bovalino un impiegato di banca ha controllato ogni movimento della moglie attraverso un telefonino di cui le aveva fatto dono. Un programma specifico, inserito proditoriamente nel costoso telefonino, gliene faceva sentire fino i sospiri. È stato beccato e condannato. Questo per dire della dipendenza della donna del Sud. Ma questo non è la novità.
La vicenda è tipica di chi mima gli usi dominanti, che li pensa buoni per tutti. Mentre le intercettazioni sono libere solo a Milano, contro coloro che “Milano” vuole intercettati.
La protezione della baronessa Cordopatri, la trasformazione dei sequestri in confische, le indagini patrimoniali. Sembra poco, è poco, ma ha significato lo smantellamento della mafia di Castellace, col conseguente dislocamento di tutta la mafia della Piana (pentimenti, ammazzamenti), e un primo screening, peraltro non difficile, tutti la vedevano e la vedono, sull’incredibile ramificazione di interessi che la mafia calabrese si è concessa negli anni dell’antimafia, gli Ottanta, i Novanta. Il miglior ministro per la Calabria, un vero ministro dell’Interno, sarà stato Maroni, un leghista.
Due pagine del Consiglio regionale Calabria per magnificare l’inerzia del suo presidente Bova. Due pagine di pubblicità sui maggiori giornali nazionali, per una spesa piuttosto onerosa. Per lanciare la candidatura dello stesso Bova alle primarie del partito Democratico in vista delle elezioni regionali, contro il presidente uscente della Regione Loiero.
Quanto spenderà Bova se riesce a vincere le primarie? O le due pagine se le è pagate di tasca propria?
Non ci sono giudici in Calabria? Nemmeno contabili?
leuzzi@antiit.eu
Si celebrano a Palermo gli anniversari della cattura di Riina e Provenzano. È una forma, non sottile, di beatificazione della mafia nei suoi aspetti peggiori, bruta, brutta, stupida. A opera di giudici che processano gli autori degli arresti.
Titolano i giornaloni milanesi che fanno l’opinione: “L’Inter non molla. Sotto di due gol riprende il Bari in cinque minuti”, e poi, si suppone, lo risparmia per grandezza d’animo. “L'Inter ha sofferto tanto, tantissimo, ma ha saputo restare a galla, forte nel carattere quanto nei muscoli, qualità che le hanno consentito di portare a casa un punto prezioso”. L’Inter che “vale” quindici volte il Bari come ingaggi. È la sapienza dei forti: le debolezze trasformare in forza, i vizi in virtù.
“Quel che più mi ha sconvolto dei grandi processi staliniani è la fredda approvazione con cui gli uomini di Stato comunisti accettavano la condanna a morte dei loro amici”, dice Kundera in “Un incontro”, p. 123. Non c’è scambio possibile fra “convinzione” e “amicizia” (124): “Contrariamente alla puerile fedeltà a una convinzione, la fedeltà a un amico è un virtù, forse l’unica, l’ultima”. Al Sud ciò sarebbe detto omertà – di Sciascia è stato detto.
Kundera va anche oltre, a p.122: “Non c’è nulla di più sciocco che sacrificare un’amicizia alla politica. Sono fiero di non averlo mai fatto. Ho ammirato Mitterrand per come ha saputo restare fedele ai vecchi amici”. Di Vichy, petainisti, insomma fascisti al tempo dell’occupazione tedesca.
Nel suo terzo diario di guerra, “La capanna nella vigna”, Jünger ricorda un viaggio in Norvegia nel 1935 e un cantante norvegese, Celsus, che “prima di cantare in pubblico era sempre preso dal trac, dall’angoscia, il suono si faceva luce attraverso questa resistenza come attraverso una membrana, una griglia leggera”. Quando l’applauso arrivava, si trasformava: “Cantava allora con voce vibrante un da capo banale, come un tenore dei paesi meridionali”. Un buon tenore deve cantare membranaceo, grigliato, come “nei paesi settentrionali”?
La Corte d’assise d’appello di Palermo, la stessa che inscenò la trasferta promafiosa di Torino per sentire il pentito teologo Spatuzza, l’uomo dai cento omicidi, allevia la pena a un Graviano, uno dei boss attesi a testimoniare di fronte allo stesso augusto consesso contro Berlusconi. Il Procuratore capo dell’antimafia Grasso e il sostituto procuratore di Palermo Ingroia ammoniscono severi a non pensare male: “Il giudice è indipendente”. Sì, ma che c’entrano loro? Perché ci ammoniscono? E perché parlano insieme?
Il Procuratore nazionale antimafia Grasso fu incaricato trent’anni fa d’indagare sull’assassinio di Piersanti Mattarella. E indagò due terroristi di destra, Cavallini e l’eterno Fioravanti. Come fu possibile? Chi glieli mise davanti? Perché Grasso puntò su di loro?
Quanto Grasso “scoprì” che i terroristi non c’entravano, era troppo tardi per trovare gli assassini dell’onorevole siciliano, che infatti sono impuniti.
Milano
Milan Kundera ha un “paradosso luciferino” in “L’idillio figlio dell’orrore” (ripubblicato nel volume “Un incontro”): “Se una società (la nostra ad esempio) vomita violenza e malvagità gratuite, significa che le manca la vera esperienza del male”. La società “milanese” ad esempio. Di una città nei fatti probabilmente più ricca di Zurigo, quindi dell’Europa, e del mondo. Che si fa pagare la prima alla Scala dallo Stato. E', lo è stata per decenni, la città più inquinata d'Europa, ma non lo dice. E quella che ha il più gran numeo di stupri, di stupri denunciati, in assoluto e in rapporto alla popolazione, almeno uno al giorno, cento giorni l'anno anche due, più spesso domestici. E ha il record dei contagi Aids, due al giorno, quanti a New York, che è dieci volte più grande, e un terzo dei contagiati di tutta l’Italia. Perché vive di droga. Che domina il gusto, e le tariffe al ristorante: non mangia a meno di cento euro. E quando gioca vuole vincere, specie al calcio, dove nasconde i soldi, uno dei cento nascondigli. Ma teme il lavavetri al semaforo. E ha inventato la Lega, con Berlusconi. Questa è tutta Milano, ma questa è l’Italia.
La Lazio perde a Milano una causa in cui ha palesemente ragione, in modo che il calciatore Pandev vada al’Inter a parametro zero, senza cioè un euro per la squadra che lo ha maturato e valorizzato. Un giudice si era dimesso per non dover fare questa sentenza.
Il club di Moratti aveva negoziato con Pandev (e Ledesma, altro calciatore della Lazio) in tempi proibiti, quando la caccia calcistica era chiusa. Ma questo non interessa alla Lega e alla Federazione: Milano è immune da reati.
Mentre a Roma i tifosi della Lazio danno la colpa a lui e non all’Inter. E questo è il miracolo di Milano, fare tutti cornuti e contenti.
Sia l’italianità lo sguardo, la seduzione, il desiderio, la furberia. È italiana Trieste (Svevo, Saba), è italiana Genova (Montale, De André), e persino Torino (Cavour, Pavese). Non lo sono Manzoni, Cattaneo, gli scapigliati, che costruiscono la gelosia dai libri. La “passione” di Stendhal manca proprio a Milano e dintorni: l’occhiata, l’illusione, l’appuntamento rinviato. Milano non si differenzierebbe da Francoforte, se non perché non ha il fiume, e ha meno il gusto delle idee.
C’è sempre violenza politica a Milano, c’è stata il 13 dicembre, c’è stata il 12, c’è stata un anno fa, per il 12 dicembre e per il 25 aprile, c’è stata nel 1969 alla Fiera e a piazza Fontana esattamente come quarant’anni prima, forse a opera della stessa polizia politica. Ma la città non se ne fa un cruccio. Nemmeno il cardinale pensa di dover dire le solite parole buone. Anzi gli attentatori sono sempre figli di buona famiglia, morigerati, studiosi, di buone compagnie. Sarà qui, in questa impermeabilità, il segreto del successo? Altrove sarebbe detta omertà.
Mourinho vuole dire che nella partita Juventus-Inter gli sono state fischiate troppe punizioni contro. Ma non lo dice, accenna. Allude. E dunque la mafia ha contagiato l’italiano? Sembrerebbe: i giornalisti spiegano solleciti che Mourinho non può dire di più, altrimenti verrà censurato o punito dalle autorità calcistiche, ma proprio questo è mafia, il qui lo dico e qui lo nego, e l’omertà dei giornalisti che lo contornano. Ci rubano anche la mafia.
Calabria come cifra
Si può dire la Calabria un mondo a parte. Per i lombardi o i piemontesi non solo, ma anche per i pugliesi e gli stessi lucani. Anche perché la divisione amministrativa è pure geografica e, a suo modo, etnica. Che non vuol dire un altro mondo, quale è l’America Latina, o la Groenlandia. Ma un mondo a parte nel resto d’Italia, per il linguaggio, la psicologia, la stessa storia, benché ignota.
La litote è la cifra del linguaggio, invariabile. Anche nei momenti tragici, o tristi: la rappresentazione e l’understatement. Ma ognuno sempre nel suo ruolo: il medico è grave, l’avvocato arruffone, il giudice muto, il negoziante loffio, per sua stessa fede.
La parentela del sangue: paterna, fraterna, prima che coniugale, avunculare, patriarcale - il nonno dà il nome di battesimo e il soprannome, ed è considerato capostipite.
Ne “Il sentiero dei nidi di ragno”, la raccolta di racconti di Calvino, quattro cognati calabresi compiono efferatezza contro i nazifascisti.
A Bovalino un impiegato di banca ha controllato ogni movimento della moglie attraverso un telefonino di cui le aveva fatto dono. Un programma specifico, inserito proditoriamente nel costoso telefonino, gliene faceva sentire fino i sospiri. È stato beccato e condannato. Questo per dire della dipendenza della donna del Sud. Ma questo non è la novità.
La vicenda è tipica di chi mima gli usi dominanti, che li pensa buoni per tutti. Mentre le intercettazioni sono libere solo a Milano, contro coloro che “Milano” vuole intercettati.
La protezione della baronessa Cordopatri, la trasformazione dei sequestri in confische, le indagini patrimoniali. Sembra poco, è poco, ma ha significato lo smantellamento della mafia di Castellace, col conseguente dislocamento di tutta la mafia della Piana (pentimenti, ammazzamenti), e un primo screening, peraltro non difficile, tutti la vedevano e la vedono, sull’incredibile ramificazione di interessi che la mafia calabrese si è concessa negli anni dell’antimafia, gli Ottanta, i Novanta. Il miglior ministro per la Calabria, un vero ministro dell’Interno, sarà stato Maroni, un leghista.
Due pagine del Consiglio regionale Calabria per magnificare l’inerzia del suo presidente Bova. Due pagine di pubblicità sui maggiori giornali nazionali, per una spesa piuttosto onerosa. Per lanciare la candidatura dello stesso Bova alle primarie del partito Democratico in vista delle elezioni regionali, contro il presidente uscente della Regione Loiero.
Quanto spenderà Bova se riesce a vincere le primarie? O le due pagine se le è pagate di tasca propria?
Non ci sono giudici in Calabria? Nemmeno contabili?
leuzzi@antiit.eu
mercoledì 20 gennaio 2010
D'Alema statista in disarmo dei servizi - 1
Il Procuratore capo di Bari Antonio Laudati chiama una conferenza stampa e dice: “Prendo atto di possibili strumentalizzazioni di indagini in atto per finalità diverse da quelle processuali”. Che avrebbero dei responsabili: “Non può escludersi che esse siano riferibili a componenti del gruppo investigativo”. Contro i quali non prende provvedimenti, nemmeno una piccola indagine.
Non è una novità, Bari è una Procura che non è seconda a nessuno: si sa e non si sa, non si dice, e si fa quel che si deve fare, magari si combattono per sedici anni Formica e Lattanzi, il Psi e la Dc dei primi anni Novanta, arrendendosi solo di fronte a un'assoluzione inappellabile. In precedenza lo stesso Procuratore Capo, nel processo contro Tarantini, aveva tuonato: "Intendo identificare e assicurare alla giustizia i pubblici ufficiali che hanno consegnato ai giornalisti i verbali di Tarantini". Senza problemi per nessuno - è evidente che Tarantini "non si può" indagare, non è il primo personaggio un po' bello, un po' fatuo, un po' equivoco, che viene messo a ingombrare la scena. Semplicemente, il dottor Laudati, che è a Bari da quattro o cinque mesi ma viene dall'antimafia, sa con chi ha in realtà a confrontarsi, ma sa pure che l’intercettazione diffusa a carico di Vendola è leggerina.
Del resto, non è Laudati in campo contro Vendola, è D’Alema. Che è a Bari a coordinare l’offensiva contro il presidente uscente della Regione. L’offensiva politica. Ma evidentemente anche repressiva: gli investigatori felloni di Laudati hanno infatti accusato Vendola di pressioni per la nomina di un primario. Non di pressioni, di doglianze per la mancata nomina. Non di doglianze, di meraviglia... Come se Vendola fosse uno scemo che uno sbirro incastra.
Ora, questo non depone bene per gli investigatori. Ma anche per lo statista D’Alema. A giugno era stato efficace, quando in ventiquattro ore ribaltò la rielezione compromessa dell’incredibile suo sindaco di Bari, il giudice Emiliano. Il giudice Scelsi dalle ferie e gli investigatori a Bari pronti esumarono la puttana di Berlusconi, ne fecero la prima pagina del “Corriere della sera”, ed Emiliano, che era finito al ballottaggio, e si dava perdente, si riprese. Contro Vendola, invece, gli investigatori di D’Alema hanno toppato: sono stati prontamente d’aiuto, tanto più volentieri ora che D’Alema sta per diventare presidente dei servizi segreti, dove gli stipendi sono doppi, ma hanno prodotto un’intercettazione da ridere.
Non è una novità, Bari è una Procura che non è seconda a nessuno: si sa e non si sa, non si dice, e si fa quel che si deve fare, magari si combattono per sedici anni Formica e Lattanzi, il Psi e la Dc dei primi anni Novanta, arrendendosi solo di fronte a un'assoluzione inappellabile. In precedenza lo stesso Procuratore Capo, nel processo contro Tarantini, aveva tuonato: "Intendo identificare e assicurare alla giustizia i pubblici ufficiali che hanno consegnato ai giornalisti i verbali di Tarantini". Senza problemi per nessuno - è evidente che Tarantini "non si può" indagare, non è il primo personaggio un po' bello, un po' fatuo, un po' equivoco, che viene messo a ingombrare la scena. Semplicemente, il dottor Laudati, che è a Bari da quattro o cinque mesi ma viene dall'antimafia, sa con chi ha in realtà a confrontarsi, ma sa pure che l’intercettazione diffusa a carico di Vendola è leggerina.
Del resto, non è Laudati in campo contro Vendola, è D’Alema. Che è a Bari a coordinare l’offensiva contro il presidente uscente della Regione. L’offensiva politica. Ma evidentemente anche repressiva: gli investigatori felloni di Laudati hanno infatti accusato Vendola di pressioni per la nomina di un primario. Non di pressioni, di doglianze per la mancata nomina. Non di doglianze, di meraviglia... Come se Vendola fosse uno scemo che uno sbirro incastra.
Ora, questo non depone bene per gli investigatori. Ma anche per lo statista D’Alema. A giugno era stato efficace, quando in ventiquattro ore ribaltò la rielezione compromessa dell’incredibile suo sindaco di Bari, il giudice Emiliano. Il giudice Scelsi dalle ferie e gli investigatori a Bari pronti esumarono la puttana di Berlusconi, ne fecero la prima pagina del “Corriere della sera”, ed Emiliano, che era finito al ballottaggio, e si dava perdente, si riprese. Contro Vendola, invece, gli investigatori di D’Alema hanno toppato: sono stati prontamente d’aiuto, tanto più volentieri ora che D’Alema sta per diventare presidente dei servizi segreti, dove gli stipendi sono doppi, ma hanno prodotto un’intercettazione da ridere.
D'Alema statista in disarmo dei servizi - 2
C’è una corrente D’Alema contro Bersani? O ci sono due servizi d’investigazione e informazione in contrasto, uno a favore e uno contro D’Alema-Bersani? D’informazione dei giornali, insomma di scandalismo politico. Perché D’Alema è ritenuto ed è lo sponsor di Bersani. Ma le due intercettazioni date ieri ai giornali sembrano mettere in dubbio la cosa. O, appunto, lasciano ipotizzare due servizi in concorrenza.
Una intercettazione è quella in cui Vendola esprime incredulità per la mancata nomina a primario del chirurgo barese Logroscino, che viene da Harvard, dove è professore. L’altra intercettazione è quella di due medici bolognesi che, parlando con interlocutori calabresi, dicono tra l’altro che il professor Marino non sarà primario a Bologna, essendosi candidato contro Bersani. Questa indiscrezione ha veramente un padre, il Procuratore di Crotone Pierpaolo Bruni. Il quale, non avendo nulla da fare, la Calabria è ormai come la Svizzera, non ha più criminali, si è rilette le lunghe intercettazioni e ha scoperto in queste due telefonate elementi “apprezzabili”, ha detto, sotto il profilo penale. A carico dei medici? Di Bersani? Dei calabresi che importunano i primari di Bologna?
Si potrebbe ritenere il giudice parte di una sua corrente anti D’Alema-Bersani. Facendo così salva l’unità dei servizi d’intercettazione e informazione. Ma anche in questo caso la statura di statista di D’Alema esce diminuita: chi controlla le intercettazioni? Quella di Bari, dove si registra la mancata nomina di un luminare per bieche manovre politiche, viene fatta valere a carico del luminare stesso. Quella di Bologna, dove si produce analoga situazione, viene invece fatta valere a carico della politica.
Una intercettazione è quella in cui Vendola esprime incredulità per la mancata nomina a primario del chirurgo barese Logroscino, che viene da Harvard, dove è professore. L’altra intercettazione è quella di due medici bolognesi che, parlando con interlocutori calabresi, dicono tra l’altro che il professor Marino non sarà primario a Bologna, essendosi candidato contro Bersani. Questa indiscrezione ha veramente un padre, il Procuratore di Crotone Pierpaolo Bruni. Il quale, non avendo nulla da fare, la Calabria è ormai come la Svizzera, non ha più criminali, si è rilette le lunghe intercettazioni e ha scoperto in queste due telefonate elementi “apprezzabili”, ha detto, sotto il profilo penale. A carico dei medici? Di Bersani? Dei calabresi che importunano i primari di Bologna?
Si potrebbe ritenere il giudice parte di una sua corrente anti D’Alema-Bersani. Facendo così salva l’unità dei servizi d’intercettazione e informazione. Ma anche in questo caso la statura di statista di D’Alema esce diminuita: chi controlla le intercettazioni? Quella di Bari, dove si registra la mancata nomina di un luminare per bieche manovre politiche, viene fatta valere a carico del luminare stesso. Quella di Bologna, dove si produce analoga situazione, viene invece fatta valere a carico della politica.
Il socialismo impossibile, di Bordiga e dopo
È singolare che in novant’anni l’incapacità sia sempre la stessa, quella del socialismo – della sinistra – di porsi al centro della politica italiana. Per quanto armato di buone intenzioni e ottimi argomenti. Ha dovuto cedere prima al fascismo, poi alla Dc e al Pci, di Togliatti e Berlinguer, ora a Berlusconi e alle terze linee di Berlinguer e della Dc. Non si può dire a questo punto senza colpa, anche se non si sa quale. Altrove, resistenze ben più forti il socialismo ha vissuto in varie epoche, in Francia soprattutto e in Gran Bretagna, per non dire della Spagna e della Germania, senza però perdersi e disperdersi.
Andreina De Clementi, Amedeo Bordiga
Andreina De Clementi, Amedeo Bordiga
lunedì 18 gennaio 2010
Quanta resistenza a Hitler, ma non si dica
Continua e finisce lo Jünger aneddotico dei diari di guerra, con aspetti che si ricordano poco della Liberazione, quanto può essere ingiusta. Lo stesso Jünger fu interdetto dalla pubblicazione dopo la guerra fino al 1949, dalle autorità britanniche di occupazione - mentre peraltro in Francia veniva pubblicato, anche l’inedito “La Pace” del 1943 (1947), e celebrato, come con Heidegger. Ma di tutto questo non c’è cenno qui. La prima redazione di questo terzo diario di guerra uscì nel 1958, molto tardi rispetto agli altri due, col titolo “Jahre der Okkupation”, e ancora senza convincere lo stesso autore. Jünger era ancora perplesso sull’opportunità di dire le orrende impressioni della sconfitta, benché amareggiato dalle vessazioni delle autorità britanniche, che non consideravano “sufficiente” il suo antinazismo: l’“Occupazione” ebbe quindi circolazione limitata, e non ne fu consentita la traduzione. La nuova redazione trae il titolo dal Libro di Isaia – le lettura della Bibbia scandisce le giornate dell’autore nel 1945. Questo terzo volet è però il più jungheriano dei primi due, tra l’aneddoto, il taglio della storia, la filosofia, la lingua.
Tra le curiosità c’è Goebbels, che Jünger vede al momento del passaggio dal comunismo a Hitler. Ed è una delle sorprese di Jünger in questo diario, la riflessione che la sinistra si subordina la destra (se la subordinava prima del 1989) in tutto il mondo a partire dalla rivoluzione del 1789, eccetto che in Germania, “dove ha fallito fin dall’inizio”. Insieme con le tante altre, che non deluderanno i lettori di Jünger: la primogenitura del male banale, la globalizzazione che promuove i localismi (“i popoli, spogliandosi della pelle che è lo Stato nazionale, non appariranno che più marcatamente nella loro condizione propria, la cultura del paese natale”), la biografia come un giardino, il linguaggio geroglifico delle piante e gli animali, l’uso delle droghe, la natura irriducibile a Darwin, la saggezza tibetana delle asimmetrie, la vivisezione residuo del "vecchio mondo feticista", la libertà espressa, “nelle contrade dove regna una raffinateza particolare, in Toscana per esempio”, da un saluto ripetuto uguale, ma diverso nelle sfumature. E quella specialità tedesca su cui non si è riflettuto, dei rivoluzionari conservatori a braccetto con i comunisti: Jünger ricorda qui la Società per lo studio dell’economia pianificata sovietica, Arplan, di Arvid Harnack e Friedrich Lenz, alle cui discussioni partecipavano, con lui e Ernst Niekisch, anche intellettuali comunisti – Jünger cita Lukáks, c’erano anche Wittfogel, Toller. Oltre al salotto aperto in casa del Dottor Goebbels, prima di Hitler naturalmente, dove i comunisti spesso erano anche ebrei. Con la sottospecialità, di cui Jünger è alfiere: non magnificare la resistenza, sconfina col tradimento, pur lodando "il coraggio nella guerra civile", con l'esempio di Niekisch. Della Società per lo studio dell'economia Jünger omette la parola “sovietica”, e non cita Harnack, personaggio pure di spicco, perché fu giustiziato a fine 1944 come spia di Stalin.
La cautela si spiega così, è qui uno Jünger soprattutto amareggiato dalla Liberazione. Dalla libertà di saccheggio e violenza a Est, dalle deportazioni in massa di diecine di milioni di tedeschi, dalla pace preclusa. La colpa collettiva, riflette, va su due binari: compartire la colpa del vicino, del familiare, di ogni altro tedesco, e accettare la vendetta delle vittime. Ma la vendetta, oltre certi limiti, opera per un inoppugnabile revanscismo. Di cui pone le basi, ricordando l’estensione della resistenza in Germania sotto Hitler: “Credo che in nessun altro esercito, nei suoi stati maggiori, la situazione giuridica del proprio paese in guerra sia mai stata giudicata più severamente”.
Non ci sono grandi eventi. Lo scrittore smobilitato legge le Scritture, Vico, Dostoevskij, Tallemant des Réaux, le "Mille e una notte", coltiva l'orto, scava e secca la torba per l'inverno, ospita ogni notte sfollati, ordina la corrispondenza, ricorda le tante volte che la Gestapo lo ha interrogato o perquisito, talvolta ricorda il "fratello fisico", senza nome, prigioniero all'Ovest, la mamma e la sorella disperse all'Est, mentre per il fratello amato Friedrcih Georg si mette in viaggio. E tuttavia si fa leggere. Più di tutto essendo uno stilista, direbbe Céline: "Il tedesco ha preso fluidità, e questa evoluzione dura ancora. Si possono tirare le frasi fuori dal crogiolo come dal vetro,per vedere con che grado di leggerezza la massa si dissolve in gocce". Con i soliti lampi, gli jungheriani tagli nella storia. Uno è attualissimo e verissimo, in Iraq e Afghanistan, il fallimento inevitabile della "liberazione" di un paese informe: "La gestione di un paese conquistato è tanto più semplice quanto più esso è coltivato, minuziosamente organizzato. Si spiega così il successo di Alessandro nell'impero persiano, il fallimento di Napoleone in Russia e in Spagna". Nazionalrivoluzionario sempre, ma più considerato, e sempre distillatore prodigioso della lettura lenta.
Ernst Jünger, La capanna nella vigna, Guanda, pp. 280, € 20
Tra le curiosità c’è Goebbels, che Jünger vede al momento del passaggio dal comunismo a Hitler. Ed è una delle sorprese di Jünger in questo diario, la riflessione che la sinistra si subordina la destra (se la subordinava prima del 1989) in tutto il mondo a partire dalla rivoluzione del 1789, eccetto che in Germania, “dove ha fallito fin dall’inizio”. Insieme con le tante altre, che non deluderanno i lettori di Jünger: la primogenitura del male banale, la globalizzazione che promuove i localismi (“i popoli, spogliandosi della pelle che è lo Stato nazionale, non appariranno che più marcatamente nella loro condizione propria, la cultura del paese natale”), la biografia come un giardino, il linguaggio geroglifico delle piante e gli animali, l’uso delle droghe, la natura irriducibile a Darwin, la saggezza tibetana delle asimmetrie, la vivisezione residuo del "vecchio mondo feticista", la libertà espressa, “nelle contrade dove regna una raffinateza particolare, in Toscana per esempio”, da un saluto ripetuto uguale, ma diverso nelle sfumature. E quella specialità tedesca su cui non si è riflettuto, dei rivoluzionari conservatori a braccetto con i comunisti: Jünger ricorda qui la Società per lo studio dell’economia pianificata sovietica, Arplan, di Arvid Harnack e Friedrich Lenz, alle cui discussioni partecipavano, con lui e Ernst Niekisch, anche intellettuali comunisti – Jünger cita Lukáks, c’erano anche Wittfogel, Toller. Oltre al salotto aperto in casa del Dottor Goebbels, prima di Hitler naturalmente, dove i comunisti spesso erano anche ebrei. Con la sottospecialità, di cui Jünger è alfiere: non magnificare la resistenza, sconfina col tradimento, pur lodando "il coraggio nella guerra civile", con l'esempio di Niekisch. Della Società per lo studio dell'economia Jünger omette la parola “sovietica”, e non cita Harnack, personaggio pure di spicco, perché fu giustiziato a fine 1944 come spia di Stalin.
La cautela si spiega così, è qui uno Jünger soprattutto amareggiato dalla Liberazione. Dalla libertà di saccheggio e violenza a Est, dalle deportazioni in massa di diecine di milioni di tedeschi, dalla pace preclusa. La colpa collettiva, riflette, va su due binari: compartire la colpa del vicino, del familiare, di ogni altro tedesco, e accettare la vendetta delle vittime. Ma la vendetta, oltre certi limiti, opera per un inoppugnabile revanscismo. Di cui pone le basi, ricordando l’estensione della resistenza in Germania sotto Hitler: “Credo che in nessun altro esercito, nei suoi stati maggiori, la situazione giuridica del proprio paese in guerra sia mai stata giudicata più severamente”.
Non ci sono grandi eventi. Lo scrittore smobilitato legge le Scritture, Vico, Dostoevskij, Tallemant des Réaux, le "Mille e una notte", coltiva l'orto, scava e secca la torba per l'inverno, ospita ogni notte sfollati, ordina la corrispondenza, ricorda le tante volte che la Gestapo lo ha interrogato o perquisito, talvolta ricorda il "fratello fisico", senza nome, prigioniero all'Ovest, la mamma e la sorella disperse all'Est, mentre per il fratello amato Friedrcih Georg si mette in viaggio. E tuttavia si fa leggere. Più di tutto essendo uno stilista, direbbe Céline: "Il tedesco ha preso fluidità, e questa evoluzione dura ancora. Si possono tirare le frasi fuori dal crogiolo come dal vetro,per vedere con che grado di leggerezza la massa si dissolve in gocce". Con i soliti lampi, gli jungheriani tagli nella storia. Uno è attualissimo e verissimo, in Iraq e Afghanistan, il fallimento inevitabile della "liberazione" di un paese informe: "La gestione di un paese conquistato è tanto più semplice quanto più esso è coltivato, minuziosamente organizzato. Si spiega così il successo di Alessandro nell'impero persiano, il fallimento di Napoleone in Russia e in Spagna". Nazionalrivoluzionario sempre, ma più considerato, e sempre distillatore prodigioso della lettura lenta.
Ernst Jünger, La capanna nella vigna, Guanda, pp. 280, € 20
I cani piccolo borghesi dell'intellettuale
Incredibile l’attualità di un testo di quarant’anni fa, e della lettera di trent’anni fa che l’accompagna agli Straub, sui conflitti ebraici: in Palestina e con l’essere ebreo. Fortini sa, capisce, è del mondo, è tutto politico. Ma quando “crea” – scrive per l’eternità – si aggroviglia. Per l’originario, qui strabordevole, vizio intellettuale o piccolo-borghese: assolutizzazione della politica, canonizzazione dei comportamenti, strumentazioni rigide, cioè limitate. Che volentieri si esprime nella deprecazione – contro il piccolo borghese anzitutto. Da qui forse, da questa identificazione con una condizione tanto deprecata, l’irrequietezza, l’abominio di sé.
Franco Fortini, I cani del Sinai
Franco Fortini, I cani del Sinai
domenica 17 gennaio 2010
Ombre - 39
I resti del Psi celebrano Craxi a Hammamet. Mentre Bersani va non invitato a Caltagirone, a celebrare don Sturzo, l’anticomunista più duro e puro. E non a Hammamet, dove era stato invitato, e avrebbe potuto raccogliere qualche milione di voti. Lo fa per tenersi stretto Di Pietro, che solo cerca di rubargli voti e non di portargliene. C'è una tabe nell'ex Pci di Berlinguer, una tara ereditaria?
Si celebra Craxi a ogni occasione, malgrado i Di Pietro, i Borrelli, gli “Economist” eccetera. Non si è mai celebrato Togliatti, né per il decennale né per il venti, il trenta, il quarantennale. E anche di Berlinguer si sono perdute le tracce, malgrado i berlingueriani siano sempre tra noi, e il suo assurdo compromesso storico.
“Un’Inter inossidabile”, titolano i giornaloni milanesi che fanno l’opinione in tutta Italia: “L’Inter non molla. Sotto di due gol riprende il Bari in cinque minuti” - e poi, si suppone, lo risparmia per grandezza d’animo. “L'Inter ha sofferto tanto, tantissimo, ma ha saputo restare a galla, forte nel carattere quanto nei muscoli, qualità che le hanno consentito di portare a casa un punto prezioso”. L’Inter che “vale” quindici volte il Bari come ingaggi. È la sapienza dei forti: le debolezze trasformare in forza, i vizi in virtù. Senza senso del ridicolo: l’autocoscienza è una molla, per darsi la carica.
Mannino è assolto definitivamente dopo nove mesi di carcere e quasi vent’anni di processo, con vari gradi di giudizio a suo favore, dall’accusa di mafia. Che gli fu mossa su istigazione di Ciancimino, suo nemico politico e mafioso notorio. Ma nessuno dei procuratori che ha fatto proprio l’odio di Ciancimino si è scusato con lui. Credono ancora a Ciancimino?
Saul Friedländer attribuisce su “Repubblica” l’Olocausto in Polonia anche ai polacchi, ai capi della Resistenza polacca, perché “l’antisemitismo aveva origini religiose”. L’antisemitismo dei campi di sterminio? Ma non si capacita perché gli italiani proteggessero gli ebrei: “Eppure doveva essere il contrario, vista la forte influenza della chiesa” in Italia. Uno storico mezzo filosofo che, scrive Fiamma Nirenstein, in guerra è stato “nascosto in un convento in Francia”.
“Zeitgeist: il Grande Mistero”, il film che ingombra Internet e Sky fa vedere: due ore e mezza di complotti. Cristo non è mai esistito, e ha misconosciuto i diritti umani, l’ha detto Thomas Paine, l’11 settembre è stato organizzato dalla famiglia Bush, con cariche da demolitori, l’affondamento del “Lusitania” dal presidente Wilson, Pearl Harbour da Roosevelt, il Golfo del Tonchino da McNamara e il presidente Johnson. Su mandato sempre, solo Gesù Cristo è eccettuato, dei banchieri internazionali. Così come la banca centrale americana, che si prende un interesse per ogni dollaro emesso, e il Patriot Act, che rende tutti perquisibili e arrestabili, basta essere dichiarati terroristi. È vero che la libertà può morire uccisa dalla libertà.
Gian Antonio Stella, inchiestista super del “Corriere della sera”, scopre nel 2010 che ci vuole un anno, anche un anno e mezzo, per avere il rinnovo di un permesso di soggiorno. Una csoperta che gli italiani hanno fatto già da una diecina d’anni, dalla Bossi-Fini. Come farà Stella a scoprire le altre succulente notizie delle sue inchieste?
Il papa va alla sinagoga, ma è chiaro che i sorrisi sono di circostanza. Pio XII non c’entra – di lui semmai gli ebrei romani hanno ottima memoria. Erano di circostanza i sorrisi anche per Woytiła, il polacco – malgrado la grande sensibilità di Ariel Toaff. L’Olocausto non ha cancellato la storia purtroppo, una storia di diffidenza e di dispetto. E il dialogo interreligioso non ha senso – se non quello delle dame e dei patroni di san Vincenzo.
Un barbone al Campidoglio, alla terrazza sui Fori, chiede l’elemosina. Questo fa una prima pagina indignata del “Corriere della sera”, del genere “dove andremo a finire?
L’“Economist” del 7 gennaio pubblica una corrispondenza da Roma sull’intenzione del sindaco di Milano d’intitolare una strada a Craxi. È una nota breve, di una ventina di righe, di un giornalismo di rara indigenza – Craxi è detto un ex primo ministro latitante e condannato in una diecina di processi, e nient’altro, cos’ha fatto, cos’ha detto, niente. Che il settimanale titola: “Italian justice/Shameful honour/Bettino Craxi, a fallen prime minister, is in favour again”. Il “Corriere della sera” il giorno dopo taglia l’occhiello, “Giustizia all’italiana”, che dà il tono del servizio, non traduce il catenaccio: “Craxi, un primo ministro in disgrazia, è di nuovo in grazia”, e titola: “L’«Economist»: «Un’onorificenza vergognosa»”.
La corrispondenza inizia: “Craxi fu tra gli orchestratori di un sistema” di tangenti. Ma non dice chi, come e perché erano gli altri orchestratori.
Si celebra Craxi a ogni occasione, malgrado i Di Pietro, i Borrelli, gli “Economist” eccetera. Non si è mai celebrato Togliatti, né per il decennale né per il venti, il trenta, il quarantennale. E anche di Berlinguer si sono perdute le tracce, malgrado i berlingueriani siano sempre tra noi, e il suo assurdo compromesso storico.
“Un’Inter inossidabile”, titolano i giornaloni milanesi che fanno l’opinione in tutta Italia: “L’Inter non molla. Sotto di due gol riprende il Bari in cinque minuti” - e poi, si suppone, lo risparmia per grandezza d’animo. “L'Inter ha sofferto tanto, tantissimo, ma ha saputo restare a galla, forte nel carattere quanto nei muscoli, qualità che le hanno consentito di portare a casa un punto prezioso”. L’Inter che “vale” quindici volte il Bari come ingaggi. È la sapienza dei forti: le debolezze trasformare in forza, i vizi in virtù. Senza senso del ridicolo: l’autocoscienza è una molla, per darsi la carica.
Mannino è assolto definitivamente dopo nove mesi di carcere e quasi vent’anni di processo, con vari gradi di giudizio a suo favore, dall’accusa di mafia. Che gli fu mossa su istigazione di Ciancimino, suo nemico politico e mafioso notorio. Ma nessuno dei procuratori che ha fatto proprio l’odio di Ciancimino si è scusato con lui. Credono ancora a Ciancimino?
Saul Friedländer attribuisce su “Repubblica” l’Olocausto in Polonia anche ai polacchi, ai capi della Resistenza polacca, perché “l’antisemitismo aveva origini religiose”. L’antisemitismo dei campi di sterminio? Ma non si capacita perché gli italiani proteggessero gli ebrei: “Eppure doveva essere il contrario, vista la forte influenza della chiesa” in Italia. Uno storico mezzo filosofo che, scrive Fiamma Nirenstein, in guerra è stato “nascosto in un convento in Francia”.
“Zeitgeist: il Grande Mistero”, il film che ingombra Internet e Sky fa vedere: due ore e mezza di complotti. Cristo non è mai esistito, e ha misconosciuto i diritti umani, l’ha detto Thomas Paine, l’11 settembre è stato organizzato dalla famiglia Bush, con cariche da demolitori, l’affondamento del “Lusitania” dal presidente Wilson, Pearl Harbour da Roosevelt, il Golfo del Tonchino da McNamara e il presidente Johnson. Su mandato sempre, solo Gesù Cristo è eccettuato, dei banchieri internazionali. Così come la banca centrale americana, che si prende un interesse per ogni dollaro emesso, e il Patriot Act, che rende tutti perquisibili e arrestabili, basta essere dichiarati terroristi. È vero che la libertà può morire uccisa dalla libertà.
Gian Antonio Stella, inchiestista super del “Corriere della sera”, scopre nel 2010 che ci vuole un anno, anche un anno e mezzo, per avere il rinnovo di un permesso di soggiorno. Una csoperta che gli italiani hanno fatto già da una diecina d’anni, dalla Bossi-Fini. Come farà Stella a scoprire le altre succulente notizie delle sue inchieste?
Il papa va alla sinagoga, ma è chiaro che i sorrisi sono di circostanza. Pio XII non c’entra – di lui semmai gli ebrei romani hanno ottima memoria. Erano di circostanza i sorrisi anche per Woytiła, il polacco – malgrado la grande sensibilità di Ariel Toaff. L’Olocausto non ha cancellato la storia purtroppo, una storia di diffidenza e di dispetto. E il dialogo interreligioso non ha senso – se non quello delle dame e dei patroni di san Vincenzo.
Un barbone al Campidoglio, alla terrazza sui Fori, chiede l’elemosina. Questo fa una prima pagina indignata del “Corriere della sera”, del genere “dove andremo a finire?
L’“Economist” del 7 gennaio pubblica una corrispondenza da Roma sull’intenzione del sindaco di Milano d’intitolare una strada a Craxi. È una nota breve, di una ventina di righe, di un giornalismo di rara indigenza – Craxi è detto un ex primo ministro latitante e condannato in una diecina di processi, e nient’altro, cos’ha fatto, cos’ha detto, niente. Che il settimanale titola: “Italian justice/Shameful honour/Bettino Craxi, a fallen prime minister, is in favour again”. Il “Corriere della sera” il giorno dopo taglia l’occhiello, “Giustizia all’italiana”, che dà il tono del servizio, non traduce il catenaccio: “Craxi, un primo ministro in disgrazia, è di nuovo in grazia”, e titola: “L’«Economist»: «Un’onorificenza vergognosa»”.
La corrispondenza inizia: “Craxi fu tra gli orchestratori di un sistema” di tangenti. Ma non dice chi, come e perché erano gli altri orchestratori.
Problemi di base - 23
spock
Perché suonano Beethoven come se fosse Brahms?
Se l’autore è l’interprete, chi scrive il testo?
Se non c’è autore senza editore, perché si fanno storie vuote della letteratura?
Perché c’è la felicità?
E la vita?
Si sa che Dio era anche ad Auschwitz. Ma da che parte?
Perché Dio ce l’ha con gli ebrei, dai tempi della Bibbia?
È ridicolo, ma perché gli ebrei ce l’hanno col papa? Come le monache.
Se la donna è tentatrice, perché Dio l’ha creata?
Cioè: non si capisce perché c’è la tentazione, questa è una prova di Dio, ma di un Dio difettoso?
spock@antiit.eu
Perché suonano Beethoven come se fosse Brahms?
Se l’autore è l’interprete, chi scrive il testo?
Se non c’è autore senza editore, perché si fanno storie vuote della letteratura?
Perché c’è la felicità?
E la vita?
Si sa che Dio era anche ad Auschwitz. Ma da che parte?
Perché Dio ce l’ha con gli ebrei, dai tempi della Bibbia?
È ridicolo, ma perché gli ebrei ce l’hanno col papa? Come le monache.
Se la donna è tentatrice, perché Dio l’ha creata?
Cioè: non si capisce perché c’è la tentazione, questa è una prova di Dio, ma di un Dio difettoso?
spock@antiit.eu