sabato 28 agosto 2010

La Calabria vista dagli americani Berenson

Un gioiellino, scovato da Vittorio Cappelli tra le carte di Villa I Tatti a Settignano, che fu di Berenson e della moglie, la scrittrice Mary Logan. Sono i diari di Mary di un lontano viaggio che la coppia fece al Sud nel 1908, in compagnia dell’amico fiorentino Carlo Placci. Corredati da foto d’epoca molto espressive (la Calabria è una miniera vergine della fotografia popolare) e da tre articoli che Berenson scrisse per il “Corriere della sera” nel 1955, vispo novantenne che in tre giornate si sobbarcò quattro-cinquecento chilometri nella penisola – i Berenson usavano visitare la Calabria a zigzag, dallo Jonio al Tirreno e viceversa.
Il breve diario di Mary ha una serie di cammei che valgono la lettura. A Vibo i Berenson sono ospiti al palazzo di Diego di Francia, marchese di Santa Caterina, accuditi dal fattore: “L’agente, signor Genovese, ci ha ricevuti offrendoci un pranzo sontuoso. Il suo secondo figlio era appena morto a San Domenico (probabilmente Santa Domenica, vicino Tropea, n.d.r.) e tutto faceva ritenere che fosse stato assassinato. Si pensa che sia stato un prete che aveva tentato di sedurlo e poi aveva fatto in modo che sembrasse un suicidio. Questa mattina, nella vicina cittadina di Mileto, il prete è stato ucciso con del veleno versato nel calice, e con lui il chierichetto che aveva assaggiato il vino dopo di lui”. A Serra San Bruno sono presi in consegno da Achille Fazzari, un vecchio garibaldino che aveva vissuto cinque anni a Caprera col generale, divenuto il padrone di Ferdinandea, il vechio sito minerario trasformato in una grande azienda agricola: “È l’esempio perfetto del vecchio patriarca ospitale ed è un narratore da Mille e una notte. Parla sempre di libertà ed è naturalmente un tiranno terribile tra le pareti domestiche!"
Il compagno di viaggio e anzi organizzatore, il Carlo Placci gentiluomo anglo-fiorentino, “eruttava”, scrive Mary, in continuazione luoghi comuni sul Sud. I Berenson ci dovettero litigare, e se ne separavano, quando potevano, con sollievo: Placci era in realtà un italiano e i Berenson pur sempre americani, senza pregiudizi.
Bernard and Mary Berenson, In Calabria, Rubbettino, pp. 96, €7,90

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (66)

Giuseppe Leuzzi

Protesta la pia Gelmini per i troppi 100 e 100 e lode dispensati al Sud alla maturità. Ma quasi tutti sono stati dati ai licei vescovili, gli ex seminari.

Anche le invalidità si giustificano. Se ne riconoscono di più al Sud perché il Sud è povero e quindi si nutre male, e il lavoro vi si fa senza precauzioni, anzi fuorilegge – sennò, che ci starebbe a fare il Sud?

Mafia, ecco l’etimologia che mancava. L’ha trovata il nuovissimo vocabolario “L’Etimologico” dei professori Alberto Nocentini e Alessandro Parenti, pubblicato a Firenze da Le Monnnier: viene da Maffio, variante popolare di Matteo. La mafiosità di Maffio-Matteo i due professori derivano dal vangelo di Luca dove si dice che Matteo festeggiò la conversione con un banchetto, “manifestazione di lusso spocchioso”.
Mafia, aggiunge la coppia, non ha nulla a che spartire con l’arabo mahyas, smargiasso.

Per la festa della Madonna di Polsi, la Madonna della Montagna (Aspromonte), i CC diffondo, e il “Corriere della sera” pubblica in bei colori, la foto di una diecina d’uomini attorno a una stele del santuario, con la didascalia: “La riunione al santuario di Polsi dei capimafia” l’1-2 settembre 2009. Ma non si chiede perché non li hanno arrestati.

Questa la didascalia esplicativa del “Corriere della sera”: “Tra l'1 e il 2 settembre, a Polsi, in Aspromonte, si celebrano i festeggiamenti in onore della madonna della Montagna. L'anno scorso, proprio in occasione della festa, l'Antimafia di Reggio Calabria filmò il raduno dei boss della 'ndrangheta. La riunione avvenne nel Santuario, e in quell'occasione vene eletto il capo dell'organizzazione criminale”.
Malgrado tutto, la cosa dev'essere sembrata abonrme allo stesso giornale, che si cautela con un articolo dell’antropologo Vito Teti dell’università della Calabria. Ma il professore s’impiglia in una serie di parole virgolettate, cioè private di senso, per non saper che dire - salvo citare naturalmente Corrado Alvaro. Di Polsi che è probabilmente il luogo di culto con più continuità in Europa, perpetuando il culto locrese di Demetra-Persefone. Oltre che un luogo di grande religiosità.

Sicilia
La “Gazzetta del Sud” è un antico giornale che Messina fa per la Calabria. Ma fa per la Calabria cronache locali avulse dal resto professionalissimo del giornale: vecchie spesso, anche di tre settimane, e piene di delitti, anche minimi (il furto di un motorino, l’incendio di un cassonetto), di feste patronali e processioni, e di elenchi di assessori e consiglieri. Perfino lo sport calabrese è diverso dallo sport nazionale.
La Calabria è probabilmente come la “Gazzetta del Sud” la vede. Ma questo è l’antico modo di essere del Sud, antecedente alla squalifica postunitaria, che vede la Calabria vittima della Sicilia, oltre che di Napoli.

È la maniera d’essere della Sicilia, non solo nei confronti della Calabria: il disprezzo del mondo. Messina, che è stata la capitale culturale e commerciale della Calabria per circa un secolo, da un trentennio ormai è una cittadina isolana senza carattere, depressa, un luogo d’attracco dei traghetti.

Messina prima del terremoto era una delle città più ricche della Sicilia e del Sud, anche di cultura. Melville vi assistette alla prima del “Macbeth”, ancora incompiuto, diretta da Verdi. Dalla sua università passavano i più bei nomi: Pascoli, Debenedetti, Salvemini, Galvano Della Volpe, Santo Mazzarino, Giorgio Pasquali, Marialuisa Spaziani, Alessandro Passerin d'Entrèves, Amaldi, la serie è lunga. La ricostruzione ne fece una città di clientele.

A Manlio Cancogni, iperbole del toscanaccio, non piaceva Sciascia. Ora che ha 94 anni torna a Ferragosto sull’“Espresso” che aveva dovuto abbandonare, e critica il moralismo di Sciascia: “Non credo a un siciliano così indipendente e così giudicante”, dice. Che non si può dire razzista: la Sicilia non dà buona immagine di sé.

Milano
Oh, sorpresa, Milano non cessa di stupirsi dopo la chiusura di due discoteche per droga. Una cosa che in città sanno anche i muri, solo i carabinieri e la Procura ne erano all’oscuro. Milano che, anche questo lo sanno tutti, è la capitale della droga. Della cocaina, certo, “la droga invisibile”. Smerciata dai serbi, certo, non dai milanesi. Anche a domicilio, la cosa è nota ai condominii. Pulitamente, certo.

Tremonti spiazza tutti con Berlinguer – lui che era craxiano : bisogna guadagnare poco, per spendere poco. Cinismo? È la superiore intelligenza lombarda. Infatti ai ciellini di Rimini, che anch’esso odiavano Berlinguer, è molto piaciuto.

“Non facile il calendario dell’Inter”, annuncia il “Corriere della sera” in prima pagina. Si giocherà il girone preliminare di Champions League con squadre di terza fila.

Fabrizio Corona dice che si sniffa a Milano ovunque, “a palazzo di Giustizia e in tutti i locali”, facendo inorridire il virginale “Corriere della sera”. È per questo che Milano lo odia, e l’avrebbe voluto ar gabbio, perché dice la verità?

La prima pagina del “Corriere della sera” non ha spazio per la cocaina di Milano, benché corredata di starlettes e grossi papaveri. E di quegli aitanti silenziosi serbi che la recapitano a domicilio, che in qualsiasi altro posto farebbero golosa materia di reportage. Ne ha per le Adsl di Reggio e Palmi. A opera di un calabrese, Sergio Rizzo, con cui il giornale ha sostituito nel dileggio il veneto Stella, non si può rimproverare una mancanza di gusto.

Da Montanelli a Chiara Moroni non si contano più gli ingrati, la seconda moglie compresa, che devono tutto a Berlusconi e gli si rivoltano contro, lo spiano, lo denunciano. Si dirà che è la sorte dei dittatori, di essere traditi dai famigli, e che dunque Berlusconi è un dittatore. È possibile, il sillogismo è ineccepibile, anche se Berlusconi vince solo alle elezioni. Ma è un dittatore, a giudicare dai ribelli, di poco di buono. Non un Garibaldi della destra, nemmeno un Giolitti del malaffare. C‘è molto di craxiano, è vero, in questi tradimenti, e anche di mussoliniano – le “contesse” per esempio, ora chiamate veline. C’è molto di Milano?

Marina Berlusconi si querela contro il giudice Tescaroli che in un lontano libro ha detto spensierato che la Fininvest riciclava i fondi della mafia, e finanziava Riina, dopo un incontro dello stesso con Berlusconi padre. Il giudice Tescaroli dice che lui non l’ha detto, che riferiva quanto ha detto un certo Cancemi, assassino del giudice Falcone – un falso pentito, poi giudicato inattendibile, benché non dal giudice Tescaroli evidentemente (era uno che “ragionava”, sic!, sull’incontro tra Berlusconi, il Ricco d’Italia, e il suo dio Riina, ma era anche uno che accusava le cooperative e il Pci, la mafia era allora equidistante, non aveva capito, pensava semrpe che comandasse la Dc, non aveva capito la diversa geometria delle Procure). E questo quadra: i giudici sono anche loro del qui lo dico e qui lo nego, non ricattatori naturalmente, né diffamatori, solo furbi in attesa del Senato. Ma non si capisce come la Berlusconi si aspetti di avere ragione da un tribunale contro un giudice.
O non sarà che i Berlusconi mettono nel mirino l’editore del libro, che è lo stesso del “Corriere della sera”? In linguaggio mafioso la querela si chiamerebbe “avvertimento”. A Milano?

Nella raccolta “Come polvere o vento” la poetessa milanese Alda Merini dà un esempio ante litteram, del 1986, di lombardismo, “La siciliana”. È costei una “furbona”, una fruttivendola, che “guarda i milanesi\ come fossero bestie\ e bestie lo sono certo\ se danno pane e companatico agli altri”. La siciliana è una dei tanti che “spaventano i milanesi\ con la loro bella faccia tosta\ lavata dai mari del Sud”.
Alda Merini era a Milano reduce da Taranto, da un matrimonio sfortunato, di poco più di un anno, con il poeta tarentino Pierri. A Pierri e ai suoi familiari aveva dedicato un’antologia classicheggiante di rara umanità, compresa nella stessa raccolta. E in particolare, a Mimma Pierri, un generoso elogio etnico, “Le donne del Sud”.

“La fine di Mussolini è stata spaventosa”, ancora dopo molti anni Ernst Jünger provava orrore per piazzale Loreto, negli “Entretiens” con Julien Hervier (1986). Gli ricordava la fine dell’imperatore Vitellio, “trascinato nel Tevere con un uncino”. Con una moralità: “Le reminiscenze sono molto forti nel caso di Mussolini, in particolare il fatto che i suoi boia erano quelli che l’avevano acclamato la vigilia”. Dopo avere imposto Mussolini all’Italia, non c’era milanese che non lo odiasse, è ovvio.

Antimafia
È un universo altrettanto opaco della mafia. Violento, anche se non spara. La vera sua differenza dalla mafia è che è una politica, e quindi anche colpa nostra. Sciascia ne ha capito la pericolosità all’ultimo, e ha reagito scompostamente (Borsellino).
È l’ultimo attacco al Sud, con la tecnica della guerra totale: radente, su tutto l’orizzonte, con i rastrellamenti contro possibili secche. È stata terrificante. Oggi è sterile (la vera antimafia la fanno gli arresti, e le condanne): medaglie al valore scambiate reciprocamente, in piazze solitarie, sotto scorta abbondante. E piccoli “posti”, questo sì.

Il colonnello De Donno, ex Capitano Ultimo della cattura di Riina, è andato a Palermo ai primi di luglio e ha detto una cosa che tutti vedono: “Abbiamo sconfitto una mafia, la mafia più violenta, e questo è un fatto: abbiamo sconfitto la mafia”. Ma nessuno se l’è filato, nessun giornale, nessun telegiornale, giusto poche righe di agenzia. Il Sud non merita misericordia. E nemmeno i carabinieri dei Ros quando un paio di giudici si dedicano a perseguire i carabinieri piuttosto che la mafia.
De Donno ha parlato a Palermo, dove è sotto processo insieme col suo ex comandante, generale Mori, per vilipendio della Procura. Gli imputano di avere catturato Riina per conto di Provenzano. Ma in realtà per avere detto quello che tutti sapevano e nessuno ha ma negato, che alcuni Procuratori di Palermo tenessero bordone ai mafiosi di Corleone, Ciancimino, Riina, Provenzano & Co., peraltro i più spietati.

Michele Costa, figlio del procuratore della Repubblica di Caltanissetta Gaetano, assassinato trent’anni fa dalla mafia, dice a Palermo, alla privatissima celebrazione del 5 agosto 2010: “Sull’omicidio di mio padre si è indagato superficialmente”. Cioè non si è indagato. Sull’omicidio di un Procuratore della Repubblica.
Michele Costa accusa la Procura di Palermo, nelle persone dei sostituti Sciacchitano e Lo Forte. A essi fa risalire la divulgazione confidenziale, agli avvocati dei mafiosi indagati, delle indagini che suo padre Gaetano aveva condotto. La divulgazione delle dichiarazioni del pentito Marino Mannoia in merito all’omicidio dello stesso Costa. La pronta liberazione di Tommaso Buscetta, che l’assassinio del procuratore Costa s’era prestato a declassare a “bravata”.
Ma Michele Costa non è stato avvocato del giudice Lo Forte che i Ros, ora sotto accusa, accusavano di non aver voluto indagare?

leuzzi@antiit.eu

venerdì 27 agosto 2010

Letture - 38

letterautore

Allende, Isabel – Fa, ha fatto, romanzi di passioni forti – “gattopardesche convinte”, senza cioè la distanza critica di Lampedusa o Balzac – per palati “comunisti”. Di un mondo che, seppure non detto, è separato, nel senso dell’apartheid: non una goccia di sangue indio nelle famiglie cilene, anche di dieci o venti generazioni. Se italiani, gli stessi toni e caratteri avrebbero indignato i “comunisti”.

Alvaro – È, malgrado il cosmopolitismo e l’urbanità, scrittore delle radici, che nel suo caso erano arretratissime: “Sebbene io non ricordi quasi più le passioni della mia terra, me n’è rimasta una solidarietà carnale” (“Ritratto di Melusina”).

Autore di scrittura onesta. Non d’occasione (di mercato) né esortativa (furba), nel pieno di Strapaese e del neorealismo. Dai temi (l’aria, il fuoco, la notte, la luce, l’orizzonte…) curiosamente russi, del grande romanzo russo: per un’inclinazione da letterato, per l’orientalità misconosciuta (bizantina, ortodossa) della sua terra?

Amore – In letteratura è francese. E femminile: “Lettere portoghesi”, “Principessa di Clèves”, “Manon Lescaut”, “Corinne…, con l’aggiunta di Stendhal.
In Germania – Novalis, Hölderlin, Kleist – porta all’insania
In inglese è sempre, Shakespeare compreso, il meno inglese, subordinato a altre passioni.
L’italiano ne è incapace, se non nelle varie forme dell’elegia da tempo peraltro desolate.
L’amore scritto è un fatto di ragionevolezza, della piccola raison della koiné francese. Oppure di reazione alla ragionevolezza.
Questa concezione, tra romantica e ragionata, dell’amore è peraltro la sola barriera contro le devastazioni del freudismo, dell’amore ridotto a sessualità, di cui ha già mostrato l’inconsistenza col sadismo. Ma Stendhal trova che la Francia è il paese meno disponibile all’amore, per la paura del ridicolo, per la sudditanza alla vanità. E dunque? L’amore romantico è in realtà un gioco.

Burke, Edmund – Prima di Freud, e di Sade. E anche dopo.

Calvino, Italo – La scrittura della superficie, del punto a croce. La letteratura del riserbo, per garbo, o da spettatore, impartecipe – da entomologo, è stato detto.

Carroll, Lewis – Oggi sarebbe in prigione, con turpi addebiti. Il reverendo era professore e rispettato nel chiuso mondo vittoriano, nel nostro mondo liberato sarebbe inconcepibile. La libertà vuole un’etica rigida? O questo mondo non è libero – è democratizzato, e la democrazia è un cane da guardia rabbioso, non tollera intrusi.

Heidegger – È heideggerianamente “inautentico”, il sofista supremo. Argomenta “attorno”, non “da…a”.
È il “veggente”, avrebbe voluto. Tutto porta qui, la Lichtung, l’unità estatico-orizzontale della temporalità, la visione. E la politica risolta nell’uomo del destino.
E se avesse fatto la filosofia della Foresta Nera? Si spiegherebbe il qui e là, l’esserci e non esserci, la Lichtung, la radura… Rileggerlo con l’esperienza dei boschi.

L’esser-ci è più un esser-qui o un esser-là? È importante.
È più un esser-là, dunque oggetto, cosa.

Dell’esistente gli manca l’essenziale, la storia contemporanea. O meglio: ne capì una parte, Stalin, ma non l’altra, Hitler, né “gli ebrei” (Lyotard). A meno che non avesse capito queste altre parti.

Ha rivoltato la filosofia rivoltando la lettura del greco antico. Ma, incasinatore per eccellenza del tedesco, ai limiti dell’inespressività, come può essere buon filologo?
La propensione per la struttura circolare è sfrontata: “La Cura, essere dell’Esserci, nella sua stessa essenza è permeata dalla nullità” – e cos’è permeare?
Il suo fascino viene dall’estetismo, di cui è parte il rapporto dal vivo con gli allievi, nelle lezioni e, nel dopoguerra, nei seminari. È uno stregone, com’è stato detto. Fondare una filosofia su Hölderlin è estetismo, sia pure raffinato, una “Recherche” teutonica – o su avventurose traduzioni dal greco antico.

È il David Strauss di Nietzsche, il “cultural tedesco”. Che ha portato all’estremo, come Nietzsche prevedeva della “culturalità”, la dislocazione (insignificanza) della lingua tedesca.
È anche in dilettante della filologia, il vero obiettivo della prima “Inattuale”.

Odissea – È il sogno di un uomo, paura, illusioni, visioni, con un disegno, un tragitto rettilineo. È romanzo maschile, a differenza dell’“Iliade”, il poema della forza (S.Weil), che è all’origine femminile.
Ulisse è Omero? Il poema nobilita la casa, la sedentarietà, e le attività non guerriere dell’uomo, l’intelligenza, l’immaginazione, la volontà. C’è anche la cecità, inflitta, cioè temuta.

Pasolini – Tenta le passioni forti, reali (fisiche, emotive, istintive) ma con piglio pascoliano e dannunziano, cioè di scuola. Le tenta con un linguaggio che è il loro contrario, traducendole in estetismo: sono passioni dalla vocina stridula. Anche quando le esagera (“Petrolio”, “Salò”).

È stato uomo del suo tempo, del tempo che deprecava: edonista e utilitarista. Utilitarista (gruppo, riconoscimento, onda editoriale) è la poesia politica, e ovviamente il romanzo sociale. La sua ricerca del piacere si è elevata a tragedia con la morte, ma era puro edonismo, certo più di chi ritiene l’aborto un diritto, e anzi esibizionismo, senza limite, né privato né etico. Di chi si è innamorato? Perfino nella morte la sua storia può essere solo quella del film di Giordana, giuridico-politica, sono limitate perfino le connotazioni sociali (il marchettaro, gli sbandati, la periferia lugubre, esagerati peraltro per un rito così comune, passeggero), prevale il lato criminale.

Sherlock Holmes – Il famoso metodo è tutto in “Silver Blaze”, il racconto che introduce le “Memorie”: “Il problema è distaccare la cornice del fatto – dell’assoluto, innegabile fatto – dagli abbellimenti di teorici e reporter”, che specie negli eventi di grande richiamo abbondano, “una pletora di pregiudizio, congettura, ipotesi”. Il problema, cioè il metodo. E alla pagina seguente c’è la ragione di Watson: “Niente chiarisce un caso tanto quanto riferirlo a un’altra persona”.
Senza contare l’utilità di una narratore-accompagnatore: elimina i discorsi indiretti, le ipotesi, i flashback, e altre fatiche della lettura.

È eccezionale nella normalità. Nella normalità del lettore di libri, che sempre è (si ritiene) sofisticato. Risolve alcuni casi, e altri li fallisce, testimonia il dottor Watson. Ma abbatte ogni ostacolo con le sole risorse della mente, che sono le più democratiche. È anche uno che domina la cocaina che usa. In questo è eccezionale, ma chi non s’illude di dominarla, la cocaina è la più furba delle escort.

Stile – È un po’ la Via dei Canti, traccia labile benché durevole. Un po’ Grande Muraglia, applicazione costante, e forse inutile.

Traduzione – Ogni lettura è una traduzione. Alla lettura, come a ogni contatto con la realtà, ci si approssima con un proprio vocabolario – anche nella stessa lingua e una diversa cultura, per famiglia, istruzione, censo, meridiano, ideologia, frequentazioni, e ora la geografia dello sviluppo egualitaria. È interpretazione: da una lingua a un’altra è parte della più generale traduzione\interpretazione.

letterautore@antiit.eu

Povera Juventus, povera Torino, povera Fiat?

L’arricchito Moratti li ha messi sotto con una feroce battuta, “meglio essere multietnici che comprarsi le partite”, e John Elkann, l’erede dei soldi, e Andrea Agnelli, l’erede del nome, si sono infine risentiti. Ma limitandosi a difendere, debolmente, la Juventus. Senza capire che hanno perduto la partita con Milano, anzi sono tenuti da Milano al guinzaglio, dai giornali milanesi che hanno salvato e continuano a finanziare, e dalle banche che hanno contribuito a ingigantire. E che potrebbero perdere, ben più della Juventus, la stessa Fiat, pagato il ticket del salvataggio. La concorrenza fra ricchi sembra averli svegliati dal torpore – o è troppo fumo? – ma non è detto.
Difendono peraltro la squadra di calcio che loro stessi hanno distrutto, Elkann certo più di Agnelli. Sempre per la soggezione all’affarismo lombardo. S’inchinavano fino a ieri a Moratti, chiamandolo amico. Gli hanno fatto, servizievoli, favori assurdi, per esempio aumentando le quotazioni di Burdisso che la Roma dovrà pagare a Moratti. Non hanno capito il processo dei chiachiella napoletani a Moggi. Non hanno capito che con la Juventus affossavano se stessi, e anche la Fiat - o lo sapevano, ma dovevano salvarsi? Del resto fanno acquisti incredibili, tutte le scarpe vecchie della nazionale più fallimentare della storia, pagandole pure, nell’anno in cui il fallimento in Sudafrica taglierà le gambe anche a chi ce le ha - un paio dei quali hanno perfino rifiutato l'ingaggio... Un tempo facevano il mercato, ora scimmiottano una Sampdoria B, senza Cassano e Pazzini, quelli che fanno i gol.
Staccandosi dall’auto, che prenderà una sua autonomia, saranno definitivamente degli azionisti tra i tanti. E questo non potrà che essere un bene, le famiglie possono far bene all’industria ma anche male. Le dinastie esistono del resto per finire, e gli eredi Agnelli non lasceranno rimpianti.
La stessa ricetta non sarebbe male adottassero per la Juventus, anche perché non ci mettono più soldi. Ma lì non c’è un Marchionne che li sbatta fuori. Anzi, la squadra di calcio sembra il giocattolo con cui Marchionne tiene occupati i due cugini. Anche se hanno un numero di tifosi di poco superiore al Cesena, squadra neopromossa, benché bianconera, di tifosi decisi a seguire la squadra con la tessera.

giovedì 26 agosto 2010

Liberarsi della Cina con la “500”

Dunque, la Cina è già incolonnata: una colonna di auto e camion lunga cento chilometri la ingombra, che sarà smaltita in dieci giorni. Quindici anni fa, il 16 giugno 1996, era questa la ricetta che davamo per liberarsi della Cina il giorno, 2025, in cui il mondo la ritenesse ingombrante, non del tutto per ridere:

“Dunque il mondo è cinese, e più lo sarà. Lo hanno deciso gli Usa al tempo di Tienanmen, e così è nell’interesse, bisogna ammettere, di tutti. Ci vuole la Cina, il suo miliardo e trecento milioni di abitanti, per metà napoletani e per metà tedeschi, inventivi ed affidabili, per tenere vivace il motore: per la riduzione costante dei costi di produzione, per lo smantellamento delle rigidità del lavoro e una delocalizzazione a capacità tecnologica costante, per la moltiplicazione dei consumi.
“Tienanmen, la scelta cioè di non soffiare sul fuoco di una rivolta o rivoluzione in Cina, è stata americana ma va nell’interesse del mondo. È di prima della caduta del Muro, e fu forse determinata dalla vecchia politica del containment antisovietico, ma non è remota né sorpassata: conviene convivere con la Cina, tutti ci guadagnano. Mentre la tigre necessariamente perde i denti, se mai li ha avuti: stare sul mercato significa essere comunisti per modo di dire, giusto per mantenere l’ordine.
“I tassi di crescita economica della Cina sono, benché spropositati, al 10 e più per cento ogni anno, possibili per un periodo di tempo molto lungo. La Cina è un continente. Un continente antico, quindi pieno di saperi, ma che viene praticamente dal nulla, dopo alcuni decenni di guerra civile, e altri di comunismo-cum-guerra civile. Certo, c’è il problema di quando la Cina sarà troppo ricca e potente. Questo potrebbe essere già fra trent’anni, che non è un orizzonte tanto lontano: ai tassi di crescita attuali la Cina potrebbe avere a quella data quintuplicato o sestuplicato il reddito nazionale, e minacciare il primato non solo dell’Europa ma degli stessi Usa, il fattore demografico è potenza.
“Ma i rischi di una pax cinese sono deboli. L’immenso paese si può sempre dislocare, come una grande Jugoslavia. Per i vecchi odi anticinesi, control’etnia cinese dominante, e per i separatismi di immense regioni, Tibet, Szechuan, la stessa Shangai, il Nord manciù. O, più semplicemente, basta provvedere ogni famiglia cinese di un mezzo di trasporto per fermare il paese. Per bloccarlo fisicamente, metterlo nell’impossibilità di muoversi. La ricetta di Ford, di quattro ruote per tutti come moto perpetuo della ricchezza, o del miracolo italiano, la "500" del sindacato per tutti, in Cina è solo un incubo.
Ci vorranno tra breve leggi anticonsumo ben più severe di quelle del figlio unico. E non è detto che ci sia regime al mondo capace di farle osservare, il consumo è come l’oppio. Del resto, la sola libertà di commercio sempre ha creato imperi fragili, i cosiddetti colossi di argilla. La potenza vuole altri fondamenti - per primo, certo, la volontà di potenza."

Espurgare i libri, lo faceva Feltrinelli

Tutti i giornali, con le sole meritorie eccezioni del “Messaggero” e del “Sole”, con due e tre lunghi articoli al giorno, ormai da più di una settimana, il tempo canonico delle notizie vuote, e interviste canicolari e decisive sotto l’ombrellone a al largo di Lipari, quando non di Sumatra, imperversano sulla questione se conviene, ai grandi mentori dell’Italia, pubblicare i loro libri con Einaudi o con Mondadori. Paginate che si pubblicano non per fare pubblicità a Einaudi e Mondadori, come sarebbe lecito supporre, ma per porre un problema di coscienza – la questione è stata posta da un teologo: se si possano pubblicare i propri libri con le case editrici del nemico Berlusconi, uno che vuole abolire la libertà di stampa, liberare i mafiosi, e anzi finanziarli, e vendere Lampedusa a Gheddafi. Una questione che altrove sarebbe stata liquidata per quello che è, la furbata di un autore.
È l’indice di un bassissimo livello, la temperie si diceva una volta, culturale. Ma anche del perdurante sovietismo. La stessa cosa succedeva già quarant’anni fa, anzi un po’ prima. L’estate del 1969, occupata dal golpe preannunciato dall’editore Feltrinelli con un opuscolo, le sue librerie in via preventiva espurgavano, anzi fisicamente espungevano dagli scaffali, i libri degli editori Adelphi, Rusconi, De Agostini e Rizzoli, eccetto la Bur, titoli infidi. Feltrinelli era un editore, oltre che un politico, tutto particolare. Pubblicava nel 1969 Salvemini, era al dodicesimo volume, "Settore privato" di Léautaud, libri sul come farlo, a letto e al mare, e i testi della rivoluzione. Ma non Cohn-Bendit: “Non voglio libri di anarchici”, diceva. Le impiegate in casa editrice avevano ancora il grembiule, azzurro. Ma si sa che sempre la purificazione comincia dai libri. L’unica differenza è che ora l’anatema è lanciato non dai veterocomunisti, insomma da quelli per i quali il comunismo è un sogno e il Muro non è caduto, ma dai teologi, gente che parla con Dio. Se non altro per diventare Famosi.

mercoledì 25 agosto 2010

Problemi di base - 35

spock

Mons. Fisichella dice che “la Bibbia non è un libro che provoca violenza”. Ma l’ha letta?

Perché il Quirinale deve dire qualcosa ogni giorno? Il ministero della Verità è stato abolito.

Perché Capaldo ci ha tolto la P 3? Che lo paghiamo a fare?

Che fine hanno fatto le confidenti della P 3? I giornali languono.

Dopo la Quercia e dopo l’Ulivo, verrà il Pomodoro Rosso? Quando L’(ex) Pci si scioglierà in acqua?

L’esser-ci è più un esser-qui o un esser-là? È importante.

Che cos’era Di Pietro quando non era Di Pietro?

E Travaglio prima d’intorbidare “l’Unità”?

Battista, Travaglio, Di Stefano, il Manifesto, il Fatto: è il meglio del giornalismo italiano dell’anno 2010 che si occupa del caso di coscienza del teologo Mancuso? O è il caso di coscienza che attanaglia il giornalismo italiano? O la teologia?

Pierluigi Battista sul “Corriere della sera”, per criticare il teologo Mancuso che sta facendo tanta pubblicità ai suoi libri, e alla Einaudi di Berlusconi, cita Marco Travaglio. È dunque Travaglio il nuovo “ipse dixit”?

L’Isola dei Famosi fa parte della creazione di Dio?


spock@antiit.eu

Secondi pensieri (50)

zeulig

Amicizia - È condivisione.

Amore - È comune, ma non è normale. È capriccio, ansia, paura, sogno, calore ardente, lunghe lacrime, odio perfino, una stagione di follia. O un rito di follia, accanto alla vita sorda.
È quello che non c’è. È sospensione non si consuma 8realizza) mai. Il suo codice è sollevare pietre e inciamparvi, come la mula del Berni.

Chi ci ama ci onora. Non c’è qualcosa come l’amore-odio, c’è l’odio.
Si può dire l’amore un addomesticamento dell’aggressività, fino alle forme sterili dell’etichetta, del riguardo. Senza compassione, una forma di legame individua, precisa, è in effetti un’aggressione.
È vero che può essere più acuto per un ruscello alpino che per una donna.

Ateismo – È privativo, il linguaggio non riesce a concepirlo. È una negazione, delimita gli esclusi, fossero anche un mondo (“un mondo di atei”).
È più che mai un fatto, però. Anche presso i beghini, ch parla con Dio per passare un esame oppure vincere una partita, e chi passa la vita salmodiando, in gita per santuari. È proprio vero che Dio è morto, in senso reale e non metaforico – logico, filosofico.
È questo l’effetto o la causa della demoralizzazione contemporanea? Non è possibile che ne sia l’effetto: l’istinto di sopravvivenza è sempre forte, anzi più che mai, per sopravvivere in un mondo inquinato, senza tempo, senza orizzonte, nella metropolitana di Tokyo, nelle favelhas sudamericane, negli uffici della City o di Wall Street, e su e giù per le autostrade, in quell’estrema mobilità che è diventata una prigione volontaria.
È una realtà nell’indifferenza (disattenzione). In una realtà cioè che è tutta privativa, se si eccettuano le tensioni e i desideri di poco momento, legati a stimoli condizionati.

Dio muore senza speciali esiti politici. Dei due araldi del Dio è morto, Nietzsche è coraggiosamente critico verso lo Stato guglielmino-bismarckiano, Heidegger è abbacinato da Hitler (da Hitler…).

Il Dio morto non è nuovo. È del cristianesimo ovviamente. He ne fa un Dio di resurrezione, ma non per i non credenti: a lungo l’argomento principale che i cristiani incontravano contro il cristianesimo è che non ci s poteva convertire a una religione del Dio morto.

Creazione – Nell’uomo è ripetizione. Anche nella natura. Anche attraverso le catastrofi, le più creative tra esse.
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Desiderio – La sua privazione faceva la felicità dello stato di natura, nelle contese del Settecento. Ma si può esserne privi nella condizione sociale più sofisticata.

Dio – Come creatore non è un artista ma un artigiano. Se tutto si tiene.

Falso – La verità è una, il falso tutto il resto.

Freud – Si salva perché tutto può essere avvenuto nelle sue segrete: è il privilegio dell’ombra, il molteplice.
Non è nuovo, tutti si sono sempre divertiti nel mistero, anche pagando caro. Ma Freud ne ha fatto una scienza e una terapia.
La scienza è la riduzione della realtà a un linguaggio. Un linguaggio preciso, scientifico: definitorio cioè, e classificatorio. Che in nessun altro ambito è consentito. O si può dire la riduzione del linguaggio a un linguaggio. Una forma di castrazione.
La terapia si può anche arguire che è infettiva, una malattia, giacché l’insicurezza è cresciuta e non diminuita con Freud.

Giustizia – Quella popolare è la morte di Cristo.

Ideologia - È masochismo, ecco l’unidimensionalità di Marcuse. Ancorché energizzante. Non è liberarsi, né realizzarsi, ma ridursi, compiaciuti, in una fissazione.

Medicina – Quella preventiva moltiplica la morbilità, per il meccanismo dell’ansia, che si trasforma in attesa, e quindi in certezza. I benefici della prevenzione andrebbero rafforzati col meccanismo dello scongiuro.

Metafisica – non dissolve ma ricerca il mistero. Per un metafisico la verità è il mistero.

Mistero – È un richiamo, per essere scoperto. Se resta un mistero è una truffa.

Narcisismo – È passione egoista, ma statisticamente (socialmente) indotta. Specie nella condizione femminile, di cui è la passione dominante – nelcia, foss’anche nella sua epressione più circoscritta,di ripiego, che è la consolazione.

Stato - È una superfetazione della polizia, camuffata da gistizia, e allargata alla moneta, cioè al benesser5e dei cittadini. Ma nella storia i cittadini fanno sempre meglio senza lo Stato. Che comunque sopportano, formano controvoglia.

Storia - È variabile. È la sua unica certezza.
La morale della storia non conta nulla. Non con la verità.

È narrazione. Quando non lo è – la storia italiana per esempio – altera la percezione del tempo (delle epoche), dei personaggi, della stessa vicenda cui magari vorrebbe dare percorso nitido. L’asepsi esiste come forma di astenia.

Sta davanti a noi. Tutti i sei o settemila anni della sua esistenza. È il giorno che verrà – ma in Europa potrebbe essere già tramontato, il tempo è piatto.

Le storie nazionali sono miti. E il culto della storia con esse?

Straordinario – È capace di tante cose straordinarie, ma nemmeno di una normale.

Verità - È la famosa coscienza di sé, che non è onorevole.

zeulig@antiit.eu

martedì 24 agosto 2010

Ombre - 59

L’ex prefetto Contini, una signora che Berlusconi ha voluto nel suo partito, dice che nel partito di Berlusconi “non ci sono donne in gamba”.

L’onorevole Bocchino propone un governo del Pdl senza la Lega, con parte dell’Udc, e con parte del Pd - tutto intero prende solo Rutelli. L’onorevole avrebbe sicuramente un posto tra i Supereroi, the Scissor. Ma nessuno, in nessun giornale, gli ingiunge di restituirci la retta che gli paghiamo mensilmente.
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Ripropongono a Saviano il problema: “Perché continui a pubblicare con Mondadori, cioè con Berlusconi”, e lui in qualche modo se la cava. Il motivo è quello che aveva detto Marina Berlusconi, presidente di Mondadori: “La collaborazione è stata reciprocamente proficua”? Non per i soldi, naturalmente, l’antimafia è materia nobile. Il motivo sarà quello che l’onesto Augias dice, altro mondadoriano illustre: “Per il tipo di libri che scrivo, che non sono romanzi, ma libri in qualche modo di composizione, che vengono pensati, discussi e creati in uno stretto rapporto con i dirigenti editoriali, la Mondadori è perfetta”. Vince anche i premi. Per i libri cioè redazionali.

Ripropone il problema di pubblicare con Berlusconi Vito Mancuso, un teologo, che anche lui, per caso, pubblica con Berlusconi. Serve per farsi pubblicità?
I giornali della Rcs, “Corriere della sera” in testa, ripropongono ogni giorno il quesito del teologo: si venderanno come panini i libri di Mancuso quando saranno targati Rizzoli o Bompiani?

Gianfranco Vissani, “il cuoco di D’Alema”, e Italo Bocchino, il portavoce di Fini, si fanno fotografare insieme mentre fanno l’insalata. Poi si dice la metafora insignificante.

Marina Berlusconi si querela contro il giudice Tescaroli che in un lontano libro ha detto spensierato che la Fininvest riciclava i fondi della mafia, e finanziava Riina, dopo un incontro dello stesso con Berlusconi padre. Il giudice Tescaroli dice che lui non l’ha detto, che riferiva quanto ha detto un certo Cancemi, assassino del giudice Falcone – un falso pentito, poi giudicato non attendibile, benché non dal giudice Tescaroli evidentemente (era uno che “ragionava”, sic!, sull’incontro tra Berlusconi, il Ricco d’Italia, e il suo dio Riina, ma era anche uno che accusava le cooperative e il Pci, la mafia era allora equidistante, non aveva capito, pensava sempre che comandasse la Dc, non aveva capito la diversa geometria delle Procure). E questo quadra: i giudici sono anche loro del qui lo dico e qui lo nego, non ricattatori naturalmente, né diffamatori, solo furbi in attesa del Senato. Ma non si capisce come la Berlusconi si aspetti di avere ragione da un tribunale contro un giudice.
O non sarà che i Berlusconi mettono nel mirino l’editore del libro, che è lo stesso del “Corriere della sera”? In linguaggio mafioso la querela si chiamerebbe “avvertimento”. A Milano?

Sarà come dice lui, che è stato amico di Cossiga una vita. Ma perché il presidente Napolitano se la prende tanto? D’altra parte, Cossiga diceva e scriveva che non era amico suo. È l’aria del Quirinale?

La Procura di Trani, specializzata negli ascolti dei telefoni di Berlusconi, si ritrova un primario di ortopedia al locale ospedale senza specializzazione e dalla laurea sospetta. Il furfante è stato scoperto da un concorrente, come spesso capita, ma i giudici non muovono un dito: per due mesi sono in ferie..
Ma, poi, non è che i Procuratori della Repubblica di Trani siano specialisti dei telefoni di Berlusconi. È che non hanno nulla da fare e si divertono ad ascoltare i telefoni. Trani è infatti una Procura a mezzora da Bari, che serve per far tornare a casa, a Bari, dieci magistrati.

L’onorevole De Magistris, 43 anni, tredici da magistrato, senza nessuna inchiesta all’attivo, eccetto la loggia sanmarinese di Prodi e Mastella, pontifica questa estate sulle spiagge contro i poteri occulti. Lui è maestro di chiarezza?
De Magistris è diventato onorevole grazie alla “loggia segreta” di Prodi, la cui esistenza, dice, gli è stato impedito di dimostrare. Ma non dice da chi né come. È segreta pure la sua indagine?

Spopola l’onorevole De Magistris col suo libro estivo sui giornali del Sud, napoletani, pugliesi, calabresi, che se ne servono per lavarsi le coscienze. C’è “un asse Catanzaro-Roma”, o Reggio Calabria-Roma, o Bari-Roma, dice invariabilmente l’onorevole a seconda di dove si trova, che si sta “incarnando nella P 3”. L’incarnazione, l’ex giudice sa cos’è, o il suo furfantesco editore milanese? Il Sud è una riserva di credulità.

Le persone più maleducate della spiaggia, rumorose, supponenti, le uniche infatti, leggono “Il Fatto Quotidiano”.

Fini fa dare contratti Rai alla suocera e al cognato, senza alcun titolo. Senza mai essere intercettato, malgrado le denunce dall’interno della Rai. Senza essere indagato ora che i fatti sono di dominio pubblico. Si conferma che Mani Pulite fu un golpe, del famoso “gruppo” di cui Passera incauto parlò con Di Pietro. Una certa destra all’assalto, furbescamente appoggiata dai cuccioli di Berlinguer.

Molti uomini assassinano da qualche tempo le donne, mogli, fidanzate, amiche, che li rifiutano. Il fatto è esecrabile senza attenuanti. Ma non si tratta di stupri o violenze di sconosciuti, si tratta di uomini conosciuti, frequentati, intimi, per un periodo, che quindi non erano folli o violenti nel rapporto in nuce. Sono uomini cambiati nel corso del rapporto.

Le meduse del Sud

S’incontra talvolta una medusa facendo il bagno in Versilia o sulla riviera romagnola, il bagnino consiglia di mettere sull’irritazione sabbia asciutta, e la cosa finisce lì. In una spiaggia calabrese o siciliana invece la medusa è tutto: c’è l’attesa della medusa, la vigilanza, il falso ritrovamento, col coinvolgimento di mezza spiaggia, e quando qualcuno esce dall’acqua col graffio il fatto coinvolge tutta la spiaggia, sul momento e dopo, nei commenti, nelle condoglianze, nelle deprecazioni. I bambini vengono ritirati dall’acqua, gli adulti a poco a poco si diradano, le critiche si moltiplicano, alla Sicilia in Calabria, e alla Calabria in Sicilia, alle navi portacontainer di Gioia Tauro, ai clandestini, certo, allo Stato.
Questo significa che non ci sono altre disgrazie maggiori, e quindi conforta. Ma anche che le disgrazie sono a volte attese e coltivate. “Madre Terra”, la free press di Palmi, assicura con foto che una medusa di dimensioni enormi, incalcolabili, anzi no, del diametro di quattro metri, è stata avvistata all’Olivarella, uno scoglio sulla spiaggia locale della Tonnara. E ne produce una foto improbabile, comunque livida e minacciosa. Si potrebbe pensare a un tiro mancino per i gestori dell’omonimo bagno, una coppia di efficientissimi e cortesissimi rumeni, ma non è così: il giornale degli esercenti è proprio “entusiasta” dell’eccezionale mostro.
A Taormina le folle dei turisti si ammonticchiano sulle poche spiagge, terrorizzati dal fronte delle meduse. Si sono creati anche istituti scientifici in Sicilia per lo studio delle meduse. Che non dicono se curare la bruciatura con sabbia calda, ma illustrano la scienza delle meduse stesse: soprattutto degli esemplari più rari, anche qualcuno di cui si è favoleggiato e che ancora non si è trovato. O di altre terribili, di cui infine si assicura che non si trovano ancora nelle nostre acque. Anche a Palmi si pensa di avere individuato “la famosa medusa ufo”, di nome Cassiopea.
C'è peraltro Sud e Sud, e le meduse lo confermano. Le pregiatissime coste della Sardegna, specie le più pregiate, le orientali, dove il cappuccino si fa pagare cinque euro, in piedi, pullulano di meduse. Ma i bagnanti non rinunciano all’investimento: si prendono l'irritazione e ritornano in acqua. E poi, in luoghi così rinomati, ci sono le piscine.

lunedì 23 agosto 2010

L’ipocrisia di Magris

Claudio Magris ha scritto venerdì sul “Corriere della sera” un editoriale contro il linguaggio volgare dei politici, anzi contro la sua supina se non entusiastica accettazione, contro la voga della volgarità. Ma alla Santanché, che gli ha scritto rivendicando il diritto di dire “merda!” a Fini, ha risposto con lo “sdegno” e il “disprezzo” che censurava nell’articolo. E all’onorevole Stracquadanio, che gli contestava una citazione sul “caso Boffo”, e accennava alle sue simpatie di sinistra, Magris, già senatore della coalizione Patto per l’Italia-Progressisti, incubatrice dell’Ulivo, oggi replica: “Non sono mai stato né comunista né vicino al Partito comunista, cosa d’altronde ovvia per un elettore del vecchio Partito repubblicano italiano”.
Il problema è forse nell’impostazione. Magris, riprovando l’indecenza, giustifica l’ipocrisia: “L’ipocrisia, pur spregevole, è pur sempre, com’è stato detto, l’omaggio del vizio alla virtù e indica che una società possiede almeno il senso dei valori o, più semplicemente, di quelle forme che non sono vuota o rigida etichetta, ma espressione di reciproco rispetto”. Ciò che non è il caso storico italiano, dove la contumelia è un tentativo di reazione a decenni d’ipocrisia, sul comunismo, sia pure italiano, sul compromesso, sulla cosiddetta rivoluzione all’italiana, che è a tutti gli effetti un golpe istituzionale, sulla questione morale che alcuni fra i più impuniti moralisti agitano. Ed è nata a sinistra, col “vaffa” di Beppe Grillo.
L’ipocrisia appunto. In politica non si può negare il fatto. Si può interpretarlo, aggiornarlo, correggerlo, anche radicalmente pentirsene, ma dire io non c’ero quando uno c’era, questo non si può. Perché la politica non è un libro chiuso, è sotto gli occhi di tutti. L’ipocrisia che Magris giustifica è una forma di capacità dialettica, non un’etica accettabile benché distorta, l’etica è una.

I pentiti dell’antimafia

Dopo Cancemi (l’assassino di Falcone, che quindici anni fa ha “immaginato” che Berlusconi s’incontrasse con Riina e gli portasse ogni mese duecento milioni) Spatuzza: alcuni pentiti sono tanto pentiti che a volte non si possono nemmeno proteggere. Il problema insomma non è nuovo. Ecco cosa ne scrivevamo a novembre del 1997:

“Il Comando dei Carabinieri ha risposto con molto controllo alla pubblicazione, per molti aspetti proditoria, domenica su “Repubblica” di alcuni verbali allegati alla documentazione spedita dalla Procura di Palermo al Csm, che lunedì ha cominciato a esaminare la vicenda. Vi si diceva che i Carabinieri avrebbero offerto 800 milioni al mafioso Angelo Siino perché accusasse di contiguità alla mafia il magistrato Guido Lo Forte, sulla testimonianza dello stesso Siino, ora pentito. Ma Siino non lo ha detto. I CC si sono limitati a esprimere “fondate perplessità”, riaffermando “serena fiducia” nella magistratura.
“È stato il primo atto sensato in questa vera e propria battaglia campale, non meno sanguinosa per essere cartacea, scoppiata un mese fa tra la Procura di Palermo e il Ros (Reparto operativo speciale) dei Carabinieri. Può essere un inizio? Sarebbe un ritorno alla ragionevolezza e, sopratutto, a un vero impegno antimafia. Questa battaglia rappresenta infatti l'epicentro di una lotta antimafia squilibrata, poiché, da una parte e dall'altra, dalla magistratura e dagli inquirenti, puntata contro le istituzioni, con un abuso, a questo fine, dei confidenti, ribattezzati collaboratori di giustizia, dichiaranti, pentiti.
Da una parte anche l’azione antimafia si è da qualche anno concentrata, come tutta l'attività repressiva, sulla criminalità della funzione pubblica, dai politici agli amministratori. Non senza logica: la concussione è reato più grave della corruzione, e così la mafiosità di un pubblico ufficiale. Ma senza quel particolare equilibrio che un’azione repressiva dovrebbe assumere quando interviene nella politica. Dall’altra parte, l’esperienza fatta con i terroristi pentiti ha condotto ad attribuire ai pentiti di mafia una sorta di fiducia incondizionata. Alcuni sono diventati protagonisti di best-seller, confezionati da Enzo Biagi o Pino Arlacchi. Altri sono stati portati in Parlamento, alla Commissione antimafia, a tenere lezioni di etica invece che a dare informazioni. La fiducia incondizionata ai pentiti di mafia e la commistione con la politica sono stati un errore.
“I pentiti di mafia, a differenza dei terroristi, sono e restano violenti e nemici della società. Si sono moltiplicati in numero irragionevole, oltre un migliaio in quattro anni. Hanno posto e pongono condizioni esose per il loro pentimento. Qualcuno ha anche trattato speciali ricompense per speciali rivelazioni. O ha confessato una cosa a un inquirente, e la cosa opposta a un altro. È questo il caso di Siino, che ha denunciato i magistrati ai Carabinieri e i Carabinieri ai magistrati. Molti hanno continuato le loro attività criminali sotto la protezione delle forze dell’ordine. In alcune zone della Calabria e della Sicilia la “riproduzione” dei pentiti, il loro proliferare con i grandi benefici connessi, è diventata una polizza per la “riproduzione” della mafia: “Tanto, se mi va male mi pento, esco di prigione e ci guadagno”.
“Tradizioni, precedenti (negli Usa e nei paesi di diritto inglese), studi ed esperienze unanimi consigliavano prudenza. La procedura nella Roma antica voleva che anche delle cose viste il testimone dicesse “mi sembra”. Un minuzioso studio sulla “psicologia della testimonianza” di Cesare Musatti ha portato a questa conclusione: “Venne accertato sperimentalmente che non esistono testimonianze - se non per circostanze di scarso rilievo, prive di elementi importanti per un dibattito giudiziario - di cui si possa dire che sono integralmente veritiere. E ciò semplicemente perché ogni fatto di cui si viene a conoscenza è visto da ciascuno attraverso la sua specifica persona. Due individui diversi non possono che percepire in modo differente quello che viene detto lo stesso fatto”. Il ponderoso studio di Theodor Reik su “L'impulso a confessare”, ne rileva motivazioni tutte paludose. Gli storici lo sanno da tempo. Notava Pirenne che non ci sono due testimoni che diano la stessa versione di un fatto. E Chabod, nelle sue “Lezioni di metodo”, aggiungeva che, “se due o più narrazioni riferiscono la stessa cosa in forma uguale o presso a poco uguale, esse devono necessariamente essere in qualche rapporto...(o) anche derivare entrambe da una terza e comune fonte”. Del resto Marc Bloch, proprio nell'“Apologia della storia”, ha trovato “non solo individui ma anche epoche mitomani”, nel Medio Evo naturalmente, e anche in epoca recente. Non è del resto da ieri che Carabinieri e Polizia sanno come vanno trattati i confidenti, ché tali i pentiti di mafia restano.
“Invece c’è stata molta colpevole leggerezza nel trattamento dei pentiti, che hanno avuto da investigatori e magistrati un pregiudizio favorevole. Se ne sono accettate anche le testimonianze de relato (per sentito dire) con morti. Si sono accettati i pentiti a rate, quelli a orologeria, e perfino i ricattatori scoperti. Classificazioni successive, forse spiritose, del giudice Lo Forte individuano pentiti “illuminati”, “attendibili”, “parzialmente attendibili”, “intrinsecamente attendibili”, “in evoluzione”. Mentre il Procuratore capo di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, cui tocca indagare sui fatti di Palermo, ha dovuto creare la categoria degli “insufflati”.
“I pentiti di mafia sono stati condotti a considerarsi onnipotenti. Ma in siciliano sono chiamati “raggiraturi”, e questo spiega tutto: i pentiti di mafia sono e restano malfattori opportunisti. Con Siino, mafioso di città, uomo d'affari e non killer, un po' più articolato degli altri spaventosi pentiti da cinquanta o cento omicidi, il loro gioco è diventato apparentemente più raffinato. In realtà il gioco di Siino è stato semplice. Il magistrato Lo Forte era chiacchierato. Nel senso che era legato al Capo della Procura di Palermo, Giammanco, che ha preceduto Caselli, senza lasciare buona opinione. Ed era stato nominativamente criticato nei diari pubblicati di Antonino Caponnetto e Rocco Chinnici, che invece quella posizione hanno ricoperto con la stima di tutti. Caponnetto indica in Lo Forte uno degli ostacoli, nella Procura di Palermo, all'azione di Falcone e di Borsellino. Chinnici, che sarà ucciso in un attentato nel 1983, imputava al magistrato, con pessimi epiteti, la mancata attuazione di certe indagini (“Sciacchitano e Lo Forte della Procura”, annota Chinnici in data 30 marzo 1979, “emissari del grande vigliacco e servo della mafia Scozzari”). Già allora Lo Forte, nel suo piccolo, e il suo punto di riferimento in Tribunale Francesco Scozzari, rimproveravano a Chinnici di dare credito alle indagini dei Carabinieri e della Polizia. Lo stesso Lo Forte che è il motore dei processi più importanti istruiti a Palermo negli ultimi anni, non a carico della mafia ma di Contrada, Andreotti e Dell’Utri. Non ci voleva molto a fare del magistrato il perno di un raggiro.
“Ora, in un certo senso, per parafrasare l’accusa rivolta a Ferragosto da Caselli al Parlamento, “la mafia è stata abolita dai pentiti”. Si può discutere se, come sostiene l’avvocato Costa, difensore di Lo Forte, ci sia una “regia” per scardinare la lotta alla mafia. C’è un rischio certo, in atto, ed è che i pentiti diventino tutti inattendibili. Dopo quanto sta succedendo sarà più difficile sceverare il vero dal falso, restaurare la credibilità dei veri pentiti, quelli che, come Buscetta, hanno dato più indicazioni utili che depistaggi.
“Una riforma della gestione dei pentiti è ora necessaria, oltre che utile. Ma prima bisognerà sgomberare il campo dalle implicazioni politiche cui la stessa gestione è stata soggetta. L'antimafia politica, quella cioè che privilegia come bersaglio non i mafiosi ma la funzione pubblica, è venuta a trovarsi dalla parte della mafia - a copertura, certo non voluta, delle trame mafiose. C’è stata trascinata attraverso la disponibilità dei pentiti a fare piazza pulita di ogni passata e presente funzione pubblica, politica, amministrativa o altro.
“Un gioco peraltro scoperto, nel quale l’antimafia politica s’è lasciata trascinare senza nemmeno recalcitrare. L'errore di un uso privilegiato dei pentiti è stato peraltro sempre evidente. Ciò lascia qualche dubbio su chi sia il Pupo e chi il Puparo, in termini palermitani, di questa tragedia degli equivoci. Ci potrebbe essere un beneficio dall'incredibile guerra tra magistrati e CC, se essa segnasse, almeno per qualche tempo, una pausa nel feroce uso politico della giustizia in questi anni”.

domenica 22 agosto 2010

Dreyfus, il primo golpe giudiziario

Il falso processo a Dreyfus fu il primo golpe giudiziario moderno (Cicerone ne conosceva altri), e l’innesco dell’antisemitismo radicale del secolo ventesimo, di cui poi “I protocolli dei Savi di Sion” getteranno i dettagli: la base è il complotto ebraico di dominazione mondiale, nello scandalo Dreyfus definito “sindacato”, mentre la Russia, che redigerà e avallerà i “Protocolli”, è nello scandalo Dreyfus, dice Zola, “la nostra migliore alleata, che sa bene la verità su Dreyfus”.
Questa è la raccolta di tutti gli scritti di Zola sul processo Dreyfus, di cui aveva trascurato il primo episodio, la prima condanna nel 1894, che da Roma, dove trascorse quell’anno, seguì distrattamente. Il processo Dreyfus fu in realtà sei processi, due di condanna di Dreyfus benché lo si sapesse innocente, uno di assoluzione di un altro ufficiale, il comandante Esterhazy, che invece era spia acclarata dei tedeschi, uno a carico del colonnello Picquart, il capo dei servizi segreti che scoprì il tradimento di Esterhazy, e due contro Zola, entrambi conclusi con la condanna, a un anno quello penale su querela del ministro della Guerra e del Consiglio di guerra, e a trentamila franchi di multa quello civile intentato dai tre grafologi che avevano autenticato le lettere false di Dreyfus. Processi per modo di dire, in realtà procedure di condanna, in esecuzione degli ordini del governo e dello Stato Maggiore. Zola evitò il carcere fuggendo a Londra. Sullo scandalo poi scese l’amnistia, contro cui lo scrittore protesta in questa raccolta vivacemente (“il mostro”, “la legge scellerata”, “una legge di strangolazione”, la definisce in una vigorosa “Lettera al Senato”). Ma i tre grafologi falsificatori non gli resero i trentamila euro.
Il caso, è bene ricordarlo, non fu solo di politica giudiziaria. Fu un tentativo di golpe giudiziario della destra – Georges Sorel incluso, che in Italia ha avuto diversa fama. I nazionalisti, affermerà Daniel Halévy nel 1941, avevano fatto “venire degli assassini da Algeri”: Halévy, l'amico di Proust al liceo, era stato dreyfusardo battagliero, al contrario del futuro scrittore, ma nel 1941 si era messo e scriveva all'ombra di Vichy. Il golpe giudiziario si sgonfiò nell’agosto 1898, quando Cavaignac, un ministro civile della Difesa, indusse alla confessione il tenente-colonnello Henry, che aveva redatto materialmente il falso documento tedesco in cui si nominava Dreyfus quale spia. Ma non si sgonfiò subito. Il 18 luglio 1898 Zola fu condannato a un anno e partì per Londra. Il 26 luglio fu sospeso dalla Legione d’onore. Il 10 agosto fu condannato in appello per diffamazione contro i grafologi, con la multa raddoppiata a trentamila franchi. Il 31 agosto Henry confessò il falso – dopodiché si suicidò. La procedura di revisione in Cassazione del processo di Zola partì solo il 26 settembre, e si trascinò per nove mesi, con l’ordine d’istruire un nuovo processo. Dall’8 agosto al 9 settembre 1899, un anno dopo la confessione di Henry, Dreyfus, rimpatriato appositamente dall’Isola del Diavolo, verrà giudicato su accuse ormai dichiarate false, e condannato nuovamente.
Tutte le tappe dello scandalo si svolsero con grande clamore. Anche il rimpatrio e la seconda condanna di Dreyfus dopo la confessione del colonnello Henry. Zola, convinto alla causa di Dreyfus da Marcel Prevost, si era occupato del caso già da un anno prima del “J’accuse…!”, con articoli su “Le Figaro”, il maggior giornale di Parigi, e con pamphlet pubblicati in proprio, per evitare di coinvolgere il giornale nelle sue opinioni, prima della celebre “Lettera a Félix Faure”, il presidente della Repubblica, di cui aveva preparato la pubblicazione in proprio e che invece Clemenceau volle per il giornale “Aurore” di cui era redattore capo, pubblicandola a grande tiratura col titolo poi famoso a caratteri cubitali. Ovunque andasse, Zola era circondato da folle inferocite contro il suo presunto antipatriottismo. A un certo punto si dovette difendere dall’accusa di essere italiano, essendo suo padre di origine veneta.
Il “J’accuse…” è la protesta contro l’assoluzione scontata di Esterhazy, scritta a caldo nelle stesse ore in cui il Tribunale si pronunciava, un’udienza per il dibattimento e venti minuti di camera di consiglio, per l’assoluzione. L’“io so” di Zola non è quello di Pasolini, l’umore sdegnato, ma l’esito di un imbroglio scoperto, quasi esibito: non è frutto d’immaginazione ma di chi la politica poco poco conosce, che non ha segreti, o ne larvati. Con questo falso processo, è l’argomentazione principale di Zola, la Francia si con fessa debole. Non solo con la nemica Germania ma anche con l’amica Russia.
Emile Zola, J’accuse…! La vérité en marche, Complexe, pp. 246, € 9,90

Il mondo com'è - 42

astolfo

Ambientalismo - È il sogno di un grande giardino all’italiana. Ci restano da ammaestrare il vento e l’acqua. È l’uomo di Arnheim nel racconto di Poe, che vuole perfezionare la natura, abbellirla.

Cattolicesimo – È da un paio di secoli in realtà il povero al banchetto del ricco epulone, anche se non raggruppa propriamente gli umili. In Germania, Usa, Gran Bretagna e ingenerale nell’Anglosassonia sta ai bordi del tavolo. Anche in Italia, in Francia, in Spagna, nel resto dell’Europa e nell’America latina dove sarebbe maggioranza, non è dominante: non nella scuola, nella cultura, nell’informazione e, con l’eccezione dell’Italia, nella finanza. Più spesso è costretto all’elemosina della corruzione.
Furi di Cristo, la chiesa è inevitabilmente saprofita. È la condizione della sua sopravvivenza. A meno di una scelta profana, come i protestanti.

Città – Distingue il Nord dal Sud, più che ogni altra morfologia. Al Nord è una capanna, copertura, al Sud è apertura. Il Sud si protegge con la piazza. Che però è poco rimedio, che incessantemente catapulta fuori – è in questa mancanza di riserbo la “nevrosi” del Sud?

Comunismo – Il crollo del sovietismo è la prima vera rivoluzione spontanea – Marx ne avrebbe riso? L’ineluttabile corso della storia, senza spintoni e senza manovre, haportato non al comunismo ma alla caduta del comunismo.

Permane in Asia, nell’Asia buddista e confuciana. Ed è altrettanto determinato negli affari come lo è stato nelle purghe e nelle guerre: è capitale morale, anche se non etico. L’identificazione in unum, l’ecclesia come militanza. Le ramificazione buddiste portano a questa unione identitaria, seppure politica – a differenza dell’islam, rimasto impenetrabile.

(Ex) Comunisti – Più si allontanano dalla caduta del Muro meno trovano un’idea e uno stimolo. Formidabile la loro assenza nella costituzione in corso delle vecchie-nuove oligarchie: banche (tutte Centro, insomma “Dc”), Procure della Repubblica, giornali. Ma più si fanno astiosi, e forse infami (dossier, manipolazioni, intercettazioni). L’intrigo, arma politica caratteristica della destra, è da un quindicennio prerogativa esclusiva degli (ex) comunisti.
Mai storia di perdenti è stata peraltro più disprezzabile. Per gli eccidi, di altri comunisti, dei poveri, l’ipocrisia, la miseria umana (la servitù volontaria, la delazione, il gregarismo, l’inumanità)? O perché questo “comunismo” è ancora tra noi?

(Ex) Democrazia Cristiana - È da trent’anni la politica della non politica: degli sgambetti e dell’occupazione del potere. Rincrudita dopo il golpe del 1992-1994, anche se in forme sotterranee, nel tentativo di riscattarsi (di gingere che non ci fosse). Di ribattere cioè al golpe comujnistam, anche s efavorito dai quisling Borrelli, Scalfaro, Martinazzoli. Ma, in questo tentativolm adagiata sul metodo comunista: quindi da lepre a inseguitrice: tasse, posti pubblici, appalti rigidicdamente controllati, il “metodo” delle giunte rosse, e la gestione dura dell’apparato repressivo, giudici e carabinieri.

Fascismo - È la realtà virtuale, quando ha la forza dell’apparato repressivo. La realtà virtuale è di per sé fascista. Qua ndo ha con sé i carabinieri e i procuratori della Repubblica è violenza pura.

Oggi è l’ingiustizia – la cattiva gestione della giustizia. In America può essere la propaganda. L’opinione pubblica cioè, che vi è corriva e non critica – intelligente, libera, veritiera. Ma in Europa è il potere giudiziario, l’ingiustizia dei magistrati. Che vogliono essere accusatori e anche giudici. Nel nome dell’autonomia: l’autonomia dei giudici da che cosa? Dall’obbligo di verità e giustizia, il potere giudiziario in quanto tale è tutelato. L’ordinamento che lascia la polizia all’apparato repressivo, ai giudici chiedendo la funzione di giudicare, è quanto mai democratico. Gli apparati del resto, le eccellenze, gli ermellini, gli “anni giudiziari” in pompa, e la rissosità denotano anche esteriormente la mancata defascistizzazione di questo potere. La giustizia vuol’essere equanime, ma soprattutto ponderata, non ostile. Deve ristabilire le condizioni, non affermare un potere.

Nazionalismo – Ha radicato la storia. Divide, ma amalgamando numerose altre storie.

Rappresaglia – La tecnica di presenza militare sul territorio, in Afghanistan come già in Iraq, è la rappresaglia. Che non è valida come difesa, e non è certo pacificatoria. A ogni attacco, sia pure di un cecchino o un kamikaze, una rappresaglia viene lanciata con elicotteri o aerei. Chiamata “risposta misurata”, e applicata in una strategia di liberazione, è della stessa natura della decimazione hitleriana contro i fronti d resistenza e la popolazione dei paesi occupati.
È una tecnica fallimentare. Ripete, con pochi o nulla affinamenti, qjuella messa in atto dalla francia In Indocina e in Algeria, in guerre cruentissime e mai vincenti (dove più hanno fallito, in ogni momento, a costo di centinaia di migliaia di morti, e di una radicalizzazione crescente delle forze in campo: elicotteri e aerei bombardavano i luoghi sospetti, nascondigli, centri operativi, luoghi di addestramento, senza nessuna efficacia, anche quando andavano a segno. In nessun momento le guerre della Francia sono state vincenti. Mentre la tecnica della rappresaglia massiccia ha radicalizzato gli odi.

Sport - È l’unica attività di una qualche verità nell’epoca. A fronte dell’inconsistenza dell’arte, dello spettacolo, della comunicazione, eccessiva, vaga, avvelenata, delle deviazioni della scienza, medicina inclusa, e dell’industria, che ricorrono al falso, e naturalmente dell’economia (mai tanti soldi sono stati fatti sparire come dopo la moltiplicazione democratica del risparmio). Nello sport ogni atleta vale per quello che vince, e finché vince: l’agonismo vi è vero, le rendite minime.