La rinascita araba sta nelle donne, e questo libro spiega perché non avviene. L’autrice, bibliotecaria a Parigi, parte liberata celebrando la trasgressione, lo hammam, le confidenze tra amiche, i poeti e filosofi erotomani della tradizione. Ma finisce quasi subito sommersa dalla “generalizzata miseria sessuale araba”. Sarà una “Shéhérazade (perché alla francese?) contemporanea” come vuole l’editore, sa di “Sex & the City” e “Desperate Housewives” – sempre surrogati per il mondo arabo.
Salwa Al-Neimi, La prova del miele, Feltrinelli, pp. 103, € 10
sabato 18 settembre 2010
Il mondo com'è - 45
astolfo
Capitalismo – Eugenio d’Ors in “Barroco” accomuna “luteranesimo, controriforma e francescanesimo come rivalutatori del senso, e in ciò ben opposti all’intransigenza calvinistica e giansenista”, Montale riepiloga in un articolo pubblicato sul “Mondo”. Il senso delle cose, contro l’astensione, il rifiuto, l’alterigia – il risparmio e il rigore intesi come austerità.
Lo spirito del capitalismo Max Weber trovava, nella sua opera più citata e meno letta in Italia, nel luteranesimo pietista (cui la grande “Storia della letteratura tedesca” di Mittner dà il giusto rilievo), il più vicino al cattolicesimo.
Gheddafi – Condivide con Berlusconi il bisogno di teatro, di presenza scenica. E quindi del “parlate pure di me”, anche se per dirne male: nulla lo smonta. Quando “L’Europeo” nel 1976 lo mise in copertina, su un cavallo bianco, nominandolo “il duce del Mediterraneo”, la posa mussoliniana gli piacque tanto che ne fece comprare tutte le copie che poté per distribuirle gratuitamente negli uffici.
Più di Berlusconi è però imperturbato in questa sua bulimia di scena: la maggiora esperienza del potere, oltre quarant’anni, dopo l’accademia militare in Inghilterra, l’avrà dotato della necessaria freddezza. Specie di fronte alle incapacità o alle fronde interne. Si è presa la responsabilità degli attentati di Lockerbie per non riconoscersi pasticcione o incompetente – Gheddafi è quello che negli anni 1970, e oltre, patrocinava ogni causa persa, dall’Ira ai Sahraui, senza mai contribuire un dollaro o un’arma. Ha contrato duramente, senza dirlo, i mullah all’inizio del fondamentalismo, una trentina d’anni fa: le moschee si spostavano di notte, di chiudevano e si riaprivano. Punisce, minaccia di punire, il comandante della vedetta che ha sparato contro gli italiani, ma giusto per far capire al fronte antitaliano che lui è sempre in comando – questo fronte è l’aggiornamento dell’opposizione nazionalista-fondamentalista, sorda ma instancabile.
Moralismo – Vince nelle società in declino, in Italia, Gran Bretagna, Germania, nel Giappone anche. Non in Francia per esempio, o negli Usa. Qui ha accompagnato il declino,m da Nixon a carter, ma è stato accantonato nella fase ascendente, da Reagan in poi.
Non porta benefici, favorisce la curiosità malsana e la depressione, ingigantisce il ruolo del piccolo (petty) borghese, il cui senso della giustizia è misurato dall’appropriazione. È una prevaricazione della giustizia, da società arretrate, o decadenti.
Sotto tiro mette prima le donne, quelle che si segnalano non essendo attrici, cantanti, modelle. Italia e Inghilterra, anche gli Usa per tradizione, sono spietate contro le donne in politica o in affari, belle o brutte che siano, e contro le moglie degli uomini importanti. Se hanno qualche appeal sono troie, e comunque sono avide e stupide.
Nazismo – Sarà stato una grossa fucina di metodologie per le Pr e il marketing, l’uso strumentale della falsificazione (comunicazione di massa) nel nazismo è stupefacente. Non era lo Stato dittatoriale e cupo del silenzio, tutto al contrario vi veniva detto e amplificato, comprese le cose più turpi, con l’abilità di farne germogliare l’entusiasmo.
Novecento – Sarà stato il secolo del processo, costante, indistinto, interminabile (Kafka). Per la demoralizzazione dell’Occidente (Spengler, J.P.Aron). Per la decadenza (S.Mazzarino).
E del complotto anche. Per via della guerra, costante, generale, suicida (senza limiti). Le due cose sono legate.
Va in archivio proiettato sul futuro, per il balzo nella tecnica, sanità, elettronica, avionica. Mentre è stato l’esaltazione, l’esasperazione, del passato: ideologie, ragione di Stato, guerre di religione, odio di razza, tutte cose note per la loro negatività. Il passato che non vuole passare, per il culto della storia?, rende il futuro impossibile. Il secolo si è per questo chiuso con l’età dell’Acquario, il dilagare della’astrologia e le scienze occulte, passione che è sicuro in dice di confusione mentale. Forse un modo per evitare la follia e la violenza - pulsioni dunque perduranti?
Storicamente l’occulto segna l’inizio, o la fine, di una civiltà. L’inizio di una civiltà è un salto nel buio, che porta terrori (violenze) e religioni. Ma inizio e fine sono un continuum. Se la paura si esprime con i segni della certezza, sia pure astrale, allora è la fine, per quanto lunga, di qualcosa. Per esempio dell’Europa.
Roma – Il suo pittore è Poussin, un francese.
È città molteplice. Un paese da manuale nella Piazza del Ghetto: industriosità regolata, lunghe frequentazioni, tepore, tradizioni. È la selva fuori dalla sinagoga: gabbiani, il fiume, l’isola nel fiume, alberi d’alto fusto d’ogni tipo, nuvole basse nitide e cangianti. Guardando a Nord. A Sud è il Medio Evo. Pochi passi e si è nel Rinascimento: palazzi, piazze, giardini, strade squadrate con vigore. È un’altra Roma anche pochi passi a Nord, è Trastevere. Quartiere di case a cui si aggancia la fastosa rinascenza scientista del Seicento. Che confina con la tonda e calda, misteriosa anche, metropoli vaticana, che esibisce santi e cela biblioteche e pinacoteche, sapienza e bellezza. Ma un censimento è inutile, i dati mutano spesso.
Società di massa – È la società del welfare, del benessere pubblico. Senza scuola, sanità, pensioni e casa pubbliche non è possibile la società di massa: urbanizzazioni accelerate e contingenti, produzioni di massa. Non è possibile neanche la società industriale?
Se arretra lo Stato sociale si disarticola la società di massa. E la società industriale. Altrimenti si produrrebbe un impoverimento generale e un disordine che renderebbero ugualmente perenta la società industriale, ordinata cioè e produttiva.
Totalitarismo – È la forma politica della società di massa, anche in democrazia? Totalitaria è la società, il regime è dittatoriale. Una dittatura si può sovrapporre a una società libera. Una società totalitaria (di massa) può avere istituzioni libere, che considera sovrastruttura. Sono totalitari il linguaggio (semplificazione, demagogia, persuasione occulta), l’etica (del branco), la èpolitica (ridotta all’avere, i “diritti”)
Trapianti – Generalizzati per legge in caso di morte, riportano anche l’uomo nel dominio amorfo della tecnica. Tutto il processo vitale in effetti vi tende: inseminazione artificiale, embriologia, affidamento, chirurgia dei trapianti. Tende alla riproduzione della massa umana in sé.
astolfo@antiit.eu
Capitalismo – Eugenio d’Ors in “Barroco” accomuna “luteranesimo, controriforma e francescanesimo come rivalutatori del senso, e in ciò ben opposti all’intransigenza calvinistica e giansenista”, Montale riepiloga in un articolo pubblicato sul “Mondo”. Il senso delle cose, contro l’astensione, il rifiuto, l’alterigia – il risparmio e il rigore intesi come austerità.
Lo spirito del capitalismo Max Weber trovava, nella sua opera più citata e meno letta in Italia, nel luteranesimo pietista (cui la grande “Storia della letteratura tedesca” di Mittner dà il giusto rilievo), il più vicino al cattolicesimo.
Gheddafi – Condivide con Berlusconi il bisogno di teatro, di presenza scenica. E quindi del “parlate pure di me”, anche se per dirne male: nulla lo smonta. Quando “L’Europeo” nel 1976 lo mise in copertina, su un cavallo bianco, nominandolo “il duce del Mediterraneo”, la posa mussoliniana gli piacque tanto che ne fece comprare tutte le copie che poté per distribuirle gratuitamente negli uffici.
Più di Berlusconi è però imperturbato in questa sua bulimia di scena: la maggiora esperienza del potere, oltre quarant’anni, dopo l’accademia militare in Inghilterra, l’avrà dotato della necessaria freddezza. Specie di fronte alle incapacità o alle fronde interne. Si è presa la responsabilità degli attentati di Lockerbie per non riconoscersi pasticcione o incompetente – Gheddafi è quello che negli anni 1970, e oltre, patrocinava ogni causa persa, dall’Ira ai Sahraui, senza mai contribuire un dollaro o un’arma. Ha contrato duramente, senza dirlo, i mullah all’inizio del fondamentalismo, una trentina d’anni fa: le moschee si spostavano di notte, di chiudevano e si riaprivano. Punisce, minaccia di punire, il comandante della vedetta che ha sparato contro gli italiani, ma giusto per far capire al fronte antitaliano che lui è sempre in comando – questo fronte è l’aggiornamento dell’opposizione nazionalista-fondamentalista, sorda ma instancabile.
Moralismo – Vince nelle società in declino, in Italia, Gran Bretagna, Germania, nel Giappone anche. Non in Francia per esempio, o negli Usa. Qui ha accompagnato il declino,m da Nixon a carter, ma è stato accantonato nella fase ascendente, da Reagan in poi.
Non porta benefici, favorisce la curiosità malsana e la depressione, ingigantisce il ruolo del piccolo (petty) borghese, il cui senso della giustizia è misurato dall’appropriazione. È una prevaricazione della giustizia, da società arretrate, o decadenti.
Sotto tiro mette prima le donne, quelle che si segnalano non essendo attrici, cantanti, modelle. Italia e Inghilterra, anche gli Usa per tradizione, sono spietate contro le donne in politica o in affari, belle o brutte che siano, e contro le moglie degli uomini importanti. Se hanno qualche appeal sono troie, e comunque sono avide e stupide.
Nazismo – Sarà stato una grossa fucina di metodologie per le Pr e il marketing, l’uso strumentale della falsificazione (comunicazione di massa) nel nazismo è stupefacente. Non era lo Stato dittatoriale e cupo del silenzio, tutto al contrario vi veniva detto e amplificato, comprese le cose più turpi, con l’abilità di farne germogliare l’entusiasmo.
Novecento – Sarà stato il secolo del processo, costante, indistinto, interminabile (Kafka). Per la demoralizzazione dell’Occidente (Spengler, J.P.Aron). Per la decadenza (S.Mazzarino).
E del complotto anche. Per via della guerra, costante, generale, suicida (senza limiti). Le due cose sono legate.
Va in archivio proiettato sul futuro, per il balzo nella tecnica, sanità, elettronica, avionica. Mentre è stato l’esaltazione, l’esasperazione, del passato: ideologie, ragione di Stato, guerre di religione, odio di razza, tutte cose note per la loro negatività. Il passato che non vuole passare, per il culto della storia?, rende il futuro impossibile. Il secolo si è per questo chiuso con l’età dell’Acquario, il dilagare della’astrologia e le scienze occulte, passione che è sicuro in dice di confusione mentale. Forse un modo per evitare la follia e la violenza - pulsioni dunque perduranti?
Storicamente l’occulto segna l’inizio, o la fine, di una civiltà. L’inizio di una civiltà è un salto nel buio, che porta terrori (violenze) e religioni. Ma inizio e fine sono un continuum. Se la paura si esprime con i segni della certezza, sia pure astrale, allora è la fine, per quanto lunga, di qualcosa. Per esempio dell’Europa.
Roma – Il suo pittore è Poussin, un francese.
È città molteplice. Un paese da manuale nella Piazza del Ghetto: industriosità regolata, lunghe frequentazioni, tepore, tradizioni. È la selva fuori dalla sinagoga: gabbiani, il fiume, l’isola nel fiume, alberi d’alto fusto d’ogni tipo, nuvole basse nitide e cangianti. Guardando a Nord. A Sud è il Medio Evo. Pochi passi e si è nel Rinascimento: palazzi, piazze, giardini, strade squadrate con vigore. È un’altra Roma anche pochi passi a Nord, è Trastevere. Quartiere di case a cui si aggancia la fastosa rinascenza scientista del Seicento. Che confina con la tonda e calda, misteriosa anche, metropoli vaticana, che esibisce santi e cela biblioteche e pinacoteche, sapienza e bellezza. Ma un censimento è inutile, i dati mutano spesso.
Società di massa – È la società del welfare, del benessere pubblico. Senza scuola, sanità, pensioni e casa pubbliche non è possibile la società di massa: urbanizzazioni accelerate e contingenti, produzioni di massa. Non è possibile neanche la società industriale?
Se arretra lo Stato sociale si disarticola la società di massa. E la società industriale. Altrimenti si produrrebbe un impoverimento generale e un disordine che renderebbero ugualmente perenta la società industriale, ordinata cioè e produttiva.
Totalitarismo – È la forma politica della società di massa, anche in democrazia? Totalitaria è la società, il regime è dittatoriale. Una dittatura si può sovrapporre a una società libera. Una società totalitaria (di massa) può avere istituzioni libere, che considera sovrastruttura. Sono totalitari il linguaggio (semplificazione, demagogia, persuasione occulta), l’etica (del branco), la èpolitica (ridotta all’avere, i “diritti”)
Trapianti – Generalizzati per legge in caso di morte, riportano anche l’uomo nel dominio amorfo della tecnica. Tutto il processo vitale in effetti vi tende: inseminazione artificiale, embriologia, affidamento, chirurgia dei trapianti. Tende alla riproduzione della massa umana in sé.
astolfo@antiit.eu
venerdì 17 settembre 2010
Hoffmann a Milano col birignao
Calchi di Hoffmann. Che si possono leggere come Hoffmann, saltando, non ha urgenza la scrittura, non ha urgenza il racconto. Esercizi di maniera nel 1990, in un mondo di ferro e fumo, che consuma la musica ma non sa inventarla, riadattamenti del birignao. Il “rapporto” tra il violino e il pianoforte ne “Il gigante” potrebbe essere Kleist, “La marchesa di O”, ma si vuole metafisico.
Paola Capriolo, La grande Eulalia
Paola Capriolo, La grande Eulalia
Letture - 40
letterautore
Allusione - È il metodo descrittivo più in uso. È uno svicolamento dalla crisi e dalla depressione, dalla caduta del Muro principalmente, poiché è l’unico accenno scultoreo tollerato. Ha anche una sua sensualità. Ma che ne direbbero Kipling e Conan Doyle? Che è ipocrita. E se insistita neppure divertente: L’ombra, l’indistinzione, portano all’assopimento.
Amicizia – Ne hanno un senso fortissimo gli anglosassoni. Per esempio Hemingway per Pound, o Pound per mezzo mondo (ma non reciprocano i cattolici Joyce e Eliot per Pound, non senza riserve). I Lawrence, T.E. e D.H., Chatwin, et al. Senza far gridare alla mafiosità, come fra i meridionali o per Sciascia – magari a opera dello stesso Sciascia. Semmai all’omosessualità latente, cioè colpevolizzata. Povera amicizia, perché tanto astio?
Si gusta, non si spende. È un banchetto intimo, inesauribile. Ma vuole palato fino.
Fantascienza - È l’iperburocrazia, la burocrazia moltiplicata per mille, la riduzione di ogni evento, tempo, passione, natura, a organizzazione. Fredda perciò, repellente. La fantascienza di successo è quella che introduce i sentimenti, cioè l’individuo: il rapporto col padre (la Forza), l’angelo custode (Schwarzenegger), l’agnizione tra fratelli, amici, innamorati: in un mondo siderale questi rapporti semplici diventano emozionanti.
Flaubert – “Alla virtù delle donne, ci credo più io di tanti campioni di moralità, perché credo all’indifferenza, alla freddezza e alla vanità di cui quei Signori non tengono conto”. È uno dei primi appunti di Flaubert adolescente. Forse scorretto – ma chissà, un secolo e mezzo di psicologia non ha dato di meglio – ma ben precoce: un critico di “Madame Bovary” non potrebbe essere più appropriato.
Letteratura – “La vita letteraria”, dice Baudelaire a proposito di Poe nei “Paradisi artificiali”, è il solo elemento in cui possono respirare certi essere declassati”.
Lettura - Si legge molto ai bambini, ne sono ingordi. Si legge, pare, ai malati – Arbasino racconta che gli amici si davano il cambio per leggere a Gadda sul letto di morte, che li guardava con gli occhi sbarrati. Si legge, per intendersi, narrazioni, non notizie o altri articoli di giornale. Ad alta voce. A opera di qualcuno per qualcun altro. Si leggeva ad alta voce, le mamme leggevano, le nonne, in famiglia la sera prima dell’elettricità. Si leggeva nei collegi salesiani a mensa a pranzo, per i primi quindici minuti. A pranzo e non alla cena, più breve. Uno leggeva su un palchetto, gli altri dovevano mangiare in silenzio.
Ho vissuto le letture familiari. E sono stato uno dei lettori ai pranzi in collegio, per anni, ma non ricordo null’altro di quelle letture. Se non, vagamente, che erano letture di avventure, certamente non di edificazione, fossero pure le vite di san Domenico Savio o di san Luigi Gonzaga (ma questa era tutta la pedagogia salesiana allora: non edificante). Erano forme di colloquio muto? O un ronron, una musica di sottofondo? Un modo per evitare, con gli schiamazzi, le turbolenze, e l’inevitabile rifiuto del cibo? La lettura si assapora silenziosa.
Anche il coinvolgimento degli altri, familiari, amici, nelle proprie letture non funziona. Si divaga, e si finisce nella disattenzione, si perde il filo. La lettura è un colloquio di se con se stessi, divagante, annoiato, svagato.
Manzoni – Secondo Pound (“Lettere da Parigi”, p.48) è a Flaubert che bisogna affiancarlo: “Dal quale confronto risulterebbe inferiore, o almeno credo, essendo il suo principale e unico difetto di essere piuttosto noioso, anche se eminentemente meritorio”. Aveva lo stesso gusto della passione giusta, e la passione fredda. Senza il cinismo, però, né la fregola.
Ma è Stendhal il suo specchio, col quale condivide l’età, storica se non anagrafica, il gusto romantico della storia, e la passione per Milano e Parigi insieme. Uno è però napoleonico, provinciale, avventuroso e sradicato, l’altro cosmopolita radicato, provincializzato perfino, per passione conservatrice, per rifiuto del mondo. “Il francese risorse dopo Stendhal”, nota lo stesso Pound (“Carte da visita”, 53), “che scriveva male”. L’italiano inaridì col perfezionista Manzoni.
Nietzsche – Non crede in Dio, ma nel diavolo sì. Nichilismo povero, erede di Hegel e Hölderlin ragazzi.
Proust – I proustiani non si lasciano toccare, rifuggono il contatto fisco. Ma amano le cose: sedie, fiori, quadri, gioielli. Non si può dire cioè che vivono di fantasia. Anche i personaggi devono essere “qualcuno”, a chiave vaga, per il diletto della ricerca. Sono solipsisti ancorati al possesso, che onorano, borghesi.
Il Novecento sarà stato Proust - con Joyce e Musil: l’alluvione incontenibile dell’io narrante, prospettiva, entità e tutto, nella quale ovviamente la storia e gli eventi, pure tragici, inverecondi, si stemperano. Non bastano cinquecento pagine per dare rilievo a Albertine, oltre alle centinaia sparse qua e là, al di fuori della psico-sociologia dell’epoca, fine secolo datatissimo, soprattutto nel modo d’essere delle passioni, dalla gelosia allo snobismo, on aggiunte di maschiettiamo dopoguerra. Alle genericità rimediandosi con le trasgressioni da campionario clinico, alla Krafft-Ebing.
Romanzo – Quello italiano è debole perché l’Italia è elusiva. Da Gianni Agnelli al parroco di paese è una gara a nascondersi, dissimulare il proprio ruolo, le ambizioni e le passioni. Il romanzo nazionale italiano, quello di Manzoni, naviga tra figure di scarto e moraleggia, perfino nelle parti liriche. Manzoni rispecchia l’Italia, o l’ha fatta?
È francese, ed è d’amore. Dopo essere stato per alcuni secoli di cavalleria, e di galanteria.
Anche altre letterature hanno ottimi romanzi, e su più generi, d’avventura, storico, poliziesco, ma li chiamano in altro modo, novel, tale, novela. Italiano e tedesco hanno ripreso la locuzione francese per recente sudditanza culturale. In inglese e in spagnolo romance ha significato limitato alla locuzione originale franco-provenzale, di romanz come genere cavalleresco e di fantasia.
Saba – Scrittore melenso – e personalità perfino poco simpatica. Tipico caso di autore che è il suo critico: Saba in realtà è Giacomo Debenedetti.
Sciascia - È manzoniano, quindi antimeridionalista: è narratore raziocinante, costruito. Come Manzoni, è il problema del potere che lo agita, non la violenza, o la bellezza, l’amore, la natura, la morte.
Sciascia non aveva la grazia. Ma neppure Manzoni, se lo si guarda dentro, ce l’ha. Manzoni in più ha una buona dose di humour. E grande cultura storica, nonché esperienza di vita e cosmopolita. Mentre Sciascia sa raccontare.
Ma perché Sciascia dovrebbe essere Manzoni? È lui che se la tira.
Stendhal – L’amore vuole estetico – la cristallizzazione: “Basta pensare a una perfezione per vederla nella persona amata”. E riservato ai gentiluomini, con rendita: ne esclude chi non ha cultura e chi non ha loisir: il selvaggio, l’affannato. Purché di sesso femminile: solo la “donna sensibile” è capace di “non provare piacere fisico se non con l’uomo amato”, l’uomo no, “perché egli non si trova a dover sacrificare il proprio pudore che per pochi momenti”. Compreso il secentesco colpo di fulmine: “La donna che ama trova troppa gioia nel sentimento che prova per riuscire a fingere”, a fingere l’indifferenza, mentre “la diffidenza rende impossibile il colpo di fulmine – la virtù maschile, cioè”.
Galanteria? Stendhal è il romanziere-uomo, per il quale l’amore, e le storie d’amore, sono l’unica storia possibile.
Teatro – È il miglior mezzo di propaganda, la rappresentazione convince meglio dell’argomentazione. Anche fuori scena: sulla strada, alla tv. Tutto il contrario della razionalizzazione weberiana. Aveva ragione Rousseau, il teatro corrompe. Rousseau che scrisse per il teatro. Anche Marx ci ha tentato.
letterautore@antiit.eu
Allusione - È il metodo descrittivo più in uso. È uno svicolamento dalla crisi e dalla depressione, dalla caduta del Muro principalmente, poiché è l’unico accenno scultoreo tollerato. Ha anche una sua sensualità. Ma che ne direbbero Kipling e Conan Doyle? Che è ipocrita. E se insistita neppure divertente: L’ombra, l’indistinzione, portano all’assopimento.
Amicizia – Ne hanno un senso fortissimo gli anglosassoni. Per esempio Hemingway per Pound, o Pound per mezzo mondo (ma non reciprocano i cattolici Joyce e Eliot per Pound, non senza riserve). I Lawrence, T.E. e D.H., Chatwin, et al. Senza far gridare alla mafiosità, come fra i meridionali o per Sciascia – magari a opera dello stesso Sciascia. Semmai all’omosessualità latente, cioè colpevolizzata. Povera amicizia, perché tanto astio?
Si gusta, non si spende. È un banchetto intimo, inesauribile. Ma vuole palato fino.
Fantascienza - È l’iperburocrazia, la burocrazia moltiplicata per mille, la riduzione di ogni evento, tempo, passione, natura, a organizzazione. Fredda perciò, repellente. La fantascienza di successo è quella che introduce i sentimenti, cioè l’individuo: il rapporto col padre (la Forza), l’angelo custode (Schwarzenegger), l’agnizione tra fratelli, amici, innamorati: in un mondo siderale questi rapporti semplici diventano emozionanti.
Flaubert – “Alla virtù delle donne, ci credo più io di tanti campioni di moralità, perché credo all’indifferenza, alla freddezza e alla vanità di cui quei Signori non tengono conto”. È uno dei primi appunti di Flaubert adolescente. Forse scorretto – ma chissà, un secolo e mezzo di psicologia non ha dato di meglio – ma ben precoce: un critico di “Madame Bovary” non potrebbe essere più appropriato.
Letteratura – “La vita letteraria”, dice Baudelaire a proposito di Poe nei “Paradisi artificiali”, è il solo elemento in cui possono respirare certi essere declassati”.
Lettura - Si legge molto ai bambini, ne sono ingordi. Si legge, pare, ai malati – Arbasino racconta che gli amici si davano il cambio per leggere a Gadda sul letto di morte, che li guardava con gli occhi sbarrati. Si legge, per intendersi, narrazioni, non notizie o altri articoli di giornale. Ad alta voce. A opera di qualcuno per qualcun altro. Si leggeva ad alta voce, le mamme leggevano, le nonne, in famiglia la sera prima dell’elettricità. Si leggeva nei collegi salesiani a mensa a pranzo, per i primi quindici minuti. A pranzo e non alla cena, più breve. Uno leggeva su un palchetto, gli altri dovevano mangiare in silenzio.
Ho vissuto le letture familiari. E sono stato uno dei lettori ai pranzi in collegio, per anni, ma non ricordo null’altro di quelle letture. Se non, vagamente, che erano letture di avventure, certamente non di edificazione, fossero pure le vite di san Domenico Savio o di san Luigi Gonzaga (ma questa era tutta la pedagogia salesiana allora: non edificante). Erano forme di colloquio muto? O un ronron, una musica di sottofondo? Un modo per evitare, con gli schiamazzi, le turbolenze, e l’inevitabile rifiuto del cibo? La lettura si assapora silenziosa.
Anche il coinvolgimento degli altri, familiari, amici, nelle proprie letture non funziona. Si divaga, e si finisce nella disattenzione, si perde il filo. La lettura è un colloquio di se con se stessi, divagante, annoiato, svagato.
Manzoni – Secondo Pound (“Lettere da Parigi”, p.48) è a Flaubert che bisogna affiancarlo: “Dal quale confronto risulterebbe inferiore, o almeno credo, essendo il suo principale e unico difetto di essere piuttosto noioso, anche se eminentemente meritorio”. Aveva lo stesso gusto della passione giusta, e la passione fredda. Senza il cinismo, però, né la fregola.
Ma è Stendhal il suo specchio, col quale condivide l’età, storica se non anagrafica, il gusto romantico della storia, e la passione per Milano e Parigi insieme. Uno è però napoleonico, provinciale, avventuroso e sradicato, l’altro cosmopolita radicato, provincializzato perfino, per passione conservatrice, per rifiuto del mondo. “Il francese risorse dopo Stendhal”, nota lo stesso Pound (“Carte da visita”, 53), “che scriveva male”. L’italiano inaridì col perfezionista Manzoni.
Nietzsche – Non crede in Dio, ma nel diavolo sì. Nichilismo povero, erede di Hegel e Hölderlin ragazzi.
Proust – I proustiani non si lasciano toccare, rifuggono il contatto fisco. Ma amano le cose: sedie, fiori, quadri, gioielli. Non si può dire cioè che vivono di fantasia. Anche i personaggi devono essere “qualcuno”, a chiave vaga, per il diletto della ricerca. Sono solipsisti ancorati al possesso, che onorano, borghesi.
Il Novecento sarà stato Proust - con Joyce e Musil: l’alluvione incontenibile dell’io narrante, prospettiva, entità e tutto, nella quale ovviamente la storia e gli eventi, pure tragici, inverecondi, si stemperano. Non bastano cinquecento pagine per dare rilievo a Albertine, oltre alle centinaia sparse qua e là, al di fuori della psico-sociologia dell’epoca, fine secolo datatissimo, soprattutto nel modo d’essere delle passioni, dalla gelosia allo snobismo, on aggiunte di maschiettiamo dopoguerra. Alle genericità rimediandosi con le trasgressioni da campionario clinico, alla Krafft-Ebing.
Romanzo – Quello italiano è debole perché l’Italia è elusiva. Da Gianni Agnelli al parroco di paese è una gara a nascondersi, dissimulare il proprio ruolo, le ambizioni e le passioni. Il romanzo nazionale italiano, quello di Manzoni, naviga tra figure di scarto e moraleggia, perfino nelle parti liriche. Manzoni rispecchia l’Italia, o l’ha fatta?
È francese, ed è d’amore. Dopo essere stato per alcuni secoli di cavalleria, e di galanteria.
Anche altre letterature hanno ottimi romanzi, e su più generi, d’avventura, storico, poliziesco, ma li chiamano in altro modo, novel, tale, novela. Italiano e tedesco hanno ripreso la locuzione francese per recente sudditanza culturale. In inglese e in spagnolo romance ha significato limitato alla locuzione originale franco-provenzale, di romanz come genere cavalleresco e di fantasia.
Saba – Scrittore melenso – e personalità perfino poco simpatica. Tipico caso di autore che è il suo critico: Saba in realtà è Giacomo Debenedetti.
Sciascia - È manzoniano, quindi antimeridionalista: è narratore raziocinante, costruito. Come Manzoni, è il problema del potere che lo agita, non la violenza, o la bellezza, l’amore, la natura, la morte.
Sciascia non aveva la grazia. Ma neppure Manzoni, se lo si guarda dentro, ce l’ha. Manzoni in più ha una buona dose di humour. E grande cultura storica, nonché esperienza di vita e cosmopolita. Mentre Sciascia sa raccontare.
Ma perché Sciascia dovrebbe essere Manzoni? È lui che se la tira.
Stendhal – L’amore vuole estetico – la cristallizzazione: “Basta pensare a una perfezione per vederla nella persona amata”. E riservato ai gentiluomini, con rendita: ne esclude chi non ha cultura e chi non ha loisir: il selvaggio, l’affannato. Purché di sesso femminile: solo la “donna sensibile” è capace di “non provare piacere fisico se non con l’uomo amato”, l’uomo no, “perché egli non si trova a dover sacrificare il proprio pudore che per pochi momenti”. Compreso il secentesco colpo di fulmine: “La donna che ama trova troppa gioia nel sentimento che prova per riuscire a fingere”, a fingere l’indifferenza, mentre “la diffidenza rende impossibile il colpo di fulmine – la virtù maschile, cioè”.
Galanteria? Stendhal è il romanziere-uomo, per il quale l’amore, e le storie d’amore, sono l’unica storia possibile.
Teatro – È il miglior mezzo di propaganda, la rappresentazione convince meglio dell’argomentazione. Anche fuori scena: sulla strada, alla tv. Tutto il contrario della razionalizzazione weberiana. Aveva ragione Rousseau, il teatro corrompe. Rousseau che scrisse per il teatro. Anche Marx ci ha tentato.
letterautore@antiit.eu
giovedì 16 settembre 2010
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (68)
Giuseppe Leuzzi
Un solo Procuratore della Repubblica a Enna, per settemila procedimenti penali l’anno, 35 per ogni giorno di lavoro, in una zona mafiogena. Mentre a Trani, alla periferia di Bari, nove Procuratori si crogiolano aspettando d’intercettare il nome di Berlusconi al telefono.
La città distingue il Nord dal Sud, più che ogni altra morfologia. Al Nord è una capanna, copertura, al Sud è apertura. Il Sud si protegge con la piazza. Che però è poco rimedio, che incessantemente catapulta fuori – è in questa mancanza di riserbo la “nevrosi” del Sud?
Le generalizzazioni etniche sono più spesso negative, la similitudine, la napoletanità, anche se inalberate con orgoglio. Sono scarti regressivi, innestandosi in una situazione di dipendenza che non ribaltano e anzi aggravano. La differenza si connota positivamente nell’unità di intenti, o civile, o sociale, o culturale. Altrimenti è separatezza, fondamentalmente ostile.
Le generalizzazioni, rileva Gershom Scholem in “Teologia e Utopia”, sottintendono o sottolineano non la diversità ma un senso di ostilità. È vero e rilevabile di ogni stereotipia, non solo di quella (anti)semita. Un napoletano e un toscano sono diversi e l’hanno sempre saputo La napoletanità scatta quando il toscano non ne può più.
Scrivendo nel 1957 per il “Corriere della sera” le impressioni di un suo viaggio in Calabria, Bernard Berenson novantenne, ha una fresca idea: il problema del Meridione è il contadino. “Il tipico Mezzogiorno, cioè l’Italia al di sotto di una linea idealmente tirata da Salerno a Lucera, soffre più del fatto che vi manca il contadino vero e proprio che non dell’assenteismo del padrone dei fondi… Buon numero di aziende agricole darebbero migliori risultati se nel Mezzogiorno esistesse un effettivo contadinato. E con ciò intendo gente che di genere razione in generazione vive volentieri sopra al pezzo di terra al quale presta la propria opera manuale, che lo ama e lo preferisce a qualsiasi altro… In Toscana, non è raro che poderi siano coltivati dalla medesima famiglia per più di due secoli; poco di simile si riscontra nel Mezzogiorno”. Il Sud ama il possesso, non la terra – l’agricoltura.
Come creare un legame con la terra, si chiede poi Berenson. Con la riforma agraria ci vorranno tre generazioni, si risponde. Cioè oggi. Oggi effettivamente si comincia a vedere gente che ama la terra che coltiva, e sta imparando a fare l’olio e il vino che sempre ha prodotto.
“Questi boschi così temuti, in effetti non solo sono poi così tanto,e questi famosi briganti calabresi sono come i bastoni ruotanti di La Fontaine: da lontano sono qualcosa, da vicino non sono niente”. A un certo punto del suo viaggio a piedi, quattromila miglia nel 1830, per la Calabria e la Sicilia, il ventiseienne ginevrino Charles Didier colloca questa osservazione. Che è sbagliata, i briganti ci sono e c’erano, ma è vero che da vicino sono solo briganti. Il timore-che-non-è-vero-timore, però, il pregiudizio o voce pubblica, non è senza effetto: “Il terrore che ispira rende il calabrese cattivo, perché niente demoralizza di più popoli e individui del disprezzo e dell’odio pubblico”.
Pentiti
Lo sbirro e il criminale s’incontrano, si sa. Ma Juenger sa che s’incontrano in modo speciale (“Entretiens” con J.Hervier, p.133): le due figure “si ricongiungono nella figura dell’onorevole corrispondente, del confidente, come lo si chiama, che è metà poliziotto e metà criminale”
C’è sempre un superteste nel giustizialismo, ma a confermarne la natura perversa (illegale, golpista). Se il superteste è una persona onesta, che ha denunciato i delitti per tempo e non è stato creduto, è in realtà un testimone a carico dell'apparato repressivo, forze dell'ordine, giudici, giornalisti a cui si è rivolto. Se è un supertestimone dell’ultima ora è, nella migliore delle ipotesi un mitomane – ma di solito è un profittatore. Oppure è l’equivalente della lettera anonima: uno che apre e tiene vive alcune tracce, senza l'obbligo di certificare le sue affermazioni. E anzi tanto più può aggravarle in quanto è garantito dall'impunità.
“Testis unus testis nullus” è – era - uno dei principi fondamentali del diritto.
Calabria
“Ricordiamo lo sperimentalismo di Francesco Leonetti” è quanto il poeta cosentino, animatore di “Officina”, corrispondente di Pasolini, si merita nella pur attenta “La letteratura calabrese” di Antonio Piromalli. Scarsa è l’autostima dei calabresi.
Giovanni Paolo Parisio (“Aulo Giano Parrasio”) insegna a Milano otto anni. Molti calabresi nel Cinquecento, e ancora nel Seicento, sono precettori nelle famiglie ducali dei Farnese e dei Gonzaga, e nelle università di Milano, Padova, Roma. E ancora nel Settecento – Casanova (recalcitrante) e Metastasio (riconoscente e perfino sentimentale) vi fecero parte della loro educazione, localmente, recandosi in Calabria.
Nessun milanese o padovano è mai venuto a insegnare in Calabria. Giusto Lombroso, che insolentiva i calabresi, e Morselli, che ci fece il servizio militare, di guardia al bidone.
Galluppi ha riaperto l’Italia alla filosofia. Introducendo in Italia Kant, seppure con lettura “faticata e parziale” (Firpo). La cattedra di filosofia a Bologna fu tenuta dal 1862 per mezzo secolo da tre calabresi: Francesco Fiorentino di Sambiase, Francesco Acri di Catanzaro, G.M. Ferrari di Soriano.
Verga giovane, con il denaro datogli dal padre per concludere gli studi, pubblicò a sue spese il romanzo "I carbonari della montagna" (1861- 1862), un romanzo storico che si ispira alle imprese della Carboneria calabrese contro il dispotismo napoleonico di Murat. Che più non si edita.
Umberto Zanotti Bianco, il miglior conoscitore dei problemi della Calabria, in particolare dell’Aspromonte, negli anni 1910-1920, è un piemontese. Che si avvicinò alla regione un po’ sull’emozione per il terremoto del 1908, e un po’ per l’archeologia, col suo amico Paolo Orsi.
Del patrimonio bizantino in Calabria trattano per la prima volta negli anni 1820 August Friedrich Pott, il pioniere della linguistica, futuro specialista del romanì, la lingua degli zingari, e Karl Witte, che sarà famoso cultore di Dante. Un secolo dopo ne tratta Gerhard Rohlfs. Tre tedeschi.
I greci di Calabria erano liquidati come “tamarri”, parola poi entrata nell’italiano corrente, e “pajechi” o “paddechi”. Due termini che il vocabolario di Rohlfs registra nel significato di “uomini rozzi, villani zotici, e stupidi” – e di cui non sa trovare l’etimo (ma il secondo non è uno spregiativo per ragazzo, pais-paidòs?)
La grecità si riscopre in questo scorcio di millennio con i fondi europei propiziati dalla Grecia per festival e restauri.
C’è una cospicua “materia d’Aspromonte”, un ciclo cavalleresco attorno alla montagna, intesa come ultimo baluardo della presenza bizantina da conquistare, nei secc. IX-XI, poi sfruttato dai normanni, e nel tardo Quattrocento-primo Cinquecento, dagli Estensi e da altre signorie quando si vollero trovare antenati illustri. Un ciclo pieno di versioni e diversioni, sull’originale di un troviero normanno, come i più noti Reali di Francia e la materia di Bretagna, o arturiana. Ma è ignoto in Calabria. Lo hanno studiato un giovane olandese per la sua tesi di dottorato nel 1937, Roelof van Waard, “Études sur l’origine et la formation de la chanson d’Aspremont”, Groninga, e il toscano Marco Boni sessant’anni fa, nella volgarizzazione di Andrea da Barberino. L’uno lo inquadra nell’itinerario del pellegrinaggio in Terra Santa, Boni nel ritorno al volgare dopo l’umanesimo dotto, nella scorrevole ottava toscana.
Carmelina Siclari, che da Reggio ne ha tentato la lettura e la contestualizzazione storica, non è potuta andare oltre un breve saggio per le edizioni Novecento, e un’edizione (autoedizione?) sconclusionata di una delle edizioni del Quattro-Cinquecento - quella, si presume, redatta per gli Estensi.
leuzzi@antiit.eu
Un solo Procuratore della Repubblica a Enna, per settemila procedimenti penali l’anno, 35 per ogni giorno di lavoro, in una zona mafiogena. Mentre a Trani, alla periferia di Bari, nove Procuratori si crogiolano aspettando d’intercettare il nome di Berlusconi al telefono.
La città distingue il Nord dal Sud, più che ogni altra morfologia. Al Nord è una capanna, copertura, al Sud è apertura. Il Sud si protegge con la piazza. Che però è poco rimedio, che incessantemente catapulta fuori – è in questa mancanza di riserbo la “nevrosi” del Sud?
Le generalizzazioni etniche sono più spesso negative, la similitudine, la napoletanità, anche se inalberate con orgoglio. Sono scarti regressivi, innestandosi in una situazione di dipendenza che non ribaltano e anzi aggravano. La differenza si connota positivamente nell’unità di intenti, o civile, o sociale, o culturale. Altrimenti è separatezza, fondamentalmente ostile.
Le generalizzazioni, rileva Gershom Scholem in “Teologia e Utopia”, sottintendono o sottolineano non la diversità ma un senso di ostilità. È vero e rilevabile di ogni stereotipia, non solo di quella (anti)semita. Un napoletano e un toscano sono diversi e l’hanno sempre saputo La napoletanità scatta quando il toscano non ne può più.
Scrivendo nel 1957 per il “Corriere della sera” le impressioni di un suo viaggio in Calabria, Bernard Berenson novantenne, ha una fresca idea: il problema del Meridione è il contadino. “Il tipico Mezzogiorno, cioè l’Italia al di sotto di una linea idealmente tirata da Salerno a Lucera, soffre più del fatto che vi manca il contadino vero e proprio che non dell’assenteismo del padrone dei fondi… Buon numero di aziende agricole darebbero migliori risultati se nel Mezzogiorno esistesse un effettivo contadinato. E con ciò intendo gente che di genere razione in generazione vive volentieri sopra al pezzo di terra al quale presta la propria opera manuale, che lo ama e lo preferisce a qualsiasi altro… In Toscana, non è raro che poderi siano coltivati dalla medesima famiglia per più di due secoli; poco di simile si riscontra nel Mezzogiorno”. Il Sud ama il possesso, non la terra – l’agricoltura.
Come creare un legame con la terra, si chiede poi Berenson. Con la riforma agraria ci vorranno tre generazioni, si risponde. Cioè oggi. Oggi effettivamente si comincia a vedere gente che ama la terra che coltiva, e sta imparando a fare l’olio e il vino che sempre ha prodotto.
“Questi boschi così temuti, in effetti non solo sono poi così tanto,e questi famosi briganti calabresi sono come i bastoni ruotanti di La Fontaine: da lontano sono qualcosa, da vicino non sono niente”. A un certo punto del suo viaggio a piedi, quattromila miglia nel 1830, per la Calabria e la Sicilia, il ventiseienne ginevrino Charles Didier colloca questa osservazione. Che è sbagliata, i briganti ci sono e c’erano, ma è vero che da vicino sono solo briganti. Il timore-che-non-è-vero-timore, però, il pregiudizio o voce pubblica, non è senza effetto: “Il terrore che ispira rende il calabrese cattivo, perché niente demoralizza di più popoli e individui del disprezzo e dell’odio pubblico”.
Pentiti
Lo sbirro e il criminale s’incontrano, si sa. Ma Juenger sa che s’incontrano in modo speciale (“Entretiens” con J.Hervier, p.133): le due figure “si ricongiungono nella figura dell’onorevole corrispondente, del confidente, come lo si chiama, che è metà poliziotto e metà criminale”
C’è sempre un superteste nel giustizialismo, ma a confermarne la natura perversa (illegale, golpista). Se il superteste è una persona onesta, che ha denunciato i delitti per tempo e non è stato creduto, è in realtà un testimone a carico dell'apparato repressivo, forze dell'ordine, giudici, giornalisti a cui si è rivolto. Se è un supertestimone dell’ultima ora è, nella migliore delle ipotesi un mitomane – ma di solito è un profittatore. Oppure è l’equivalente della lettera anonima: uno che apre e tiene vive alcune tracce, senza l'obbligo di certificare le sue affermazioni. E anzi tanto più può aggravarle in quanto è garantito dall'impunità.
“Testis unus testis nullus” è – era - uno dei principi fondamentali del diritto.
Calabria
“Ricordiamo lo sperimentalismo di Francesco Leonetti” è quanto il poeta cosentino, animatore di “Officina”, corrispondente di Pasolini, si merita nella pur attenta “La letteratura calabrese” di Antonio Piromalli. Scarsa è l’autostima dei calabresi.
Giovanni Paolo Parisio (“Aulo Giano Parrasio”) insegna a Milano otto anni. Molti calabresi nel Cinquecento, e ancora nel Seicento, sono precettori nelle famiglie ducali dei Farnese e dei Gonzaga, e nelle università di Milano, Padova, Roma. E ancora nel Settecento – Casanova (recalcitrante) e Metastasio (riconoscente e perfino sentimentale) vi fecero parte della loro educazione, localmente, recandosi in Calabria.
Nessun milanese o padovano è mai venuto a insegnare in Calabria. Giusto Lombroso, che insolentiva i calabresi, e Morselli, che ci fece il servizio militare, di guardia al bidone.
Galluppi ha riaperto l’Italia alla filosofia. Introducendo in Italia Kant, seppure con lettura “faticata e parziale” (Firpo). La cattedra di filosofia a Bologna fu tenuta dal 1862 per mezzo secolo da tre calabresi: Francesco Fiorentino di Sambiase, Francesco Acri di Catanzaro, G.M. Ferrari di Soriano.
Verga giovane, con il denaro datogli dal padre per concludere gli studi, pubblicò a sue spese il romanzo "I carbonari della montagna" (1861- 1862), un romanzo storico che si ispira alle imprese della Carboneria calabrese contro il dispotismo napoleonico di Murat. Che più non si edita.
Umberto Zanotti Bianco, il miglior conoscitore dei problemi della Calabria, in particolare dell’Aspromonte, negli anni 1910-1920, è un piemontese. Che si avvicinò alla regione un po’ sull’emozione per il terremoto del 1908, e un po’ per l’archeologia, col suo amico Paolo Orsi.
Del patrimonio bizantino in Calabria trattano per la prima volta negli anni 1820 August Friedrich Pott, il pioniere della linguistica, futuro specialista del romanì, la lingua degli zingari, e Karl Witte, che sarà famoso cultore di Dante. Un secolo dopo ne tratta Gerhard Rohlfs. Tre tedeschi.
I greci di Calabria erano liquidati come “tamarri”, parola poi entrata nell’italiano corrente, e “pajechi” o “paddechi”. Due termini che il vocabolario di Rohlfs registra nel significato di “uomini rozzi, villani zotici, e stupidi” – e di cui non sa trovare l’etimo (ma il secondo non è uno spregiativo per ragazzo, pais-paidòs?)
La grecità si riscopre in questo scorcio di millennio con i fondi europei propiziati dalla Grecia per festival e restauri.
C’è una cospicua “materia d’Aspromonte”, un ciclo cavalleresco attorno alla montagna, intesa come ultimo baluardo della presenza bizantina da conquistare, nei secc. IX-XI, poi sfruttato dai normanni, e nel tardo Quattrocento-primo Cinquecento, dagli Estensi e da altre signorie quando si vollero trovare antenati illustri. Un ciclo pieno di versioni e diversioni, sull’originale di un troviero normanno, come i più noti Reali di Francia e la materia di Bretagna, o arturiana. Ma è ignoto in Calabria. Lo hanno studiato un giovane olandese per la sua tesi di dottorato nel 1937, Roelof van Waard, “Études sur l’origine et la formation de la chanson d’Aspremont”, Groninga, e il toscano Marco Boni sessant’anni fa, nella volgarizzazione di Andrea da Barberino. L’uno lo inquadra nell’itinerario del pellegrinaggio in Terra Santa, Boni nel ritorno al volgare dopo l’umanesimo dotto, nella scorrevole ottava toscana.
Carmelina Siclari, che da Reggio ne ha tentato la lettura e la contestualizzazione storica, non è potuta andare oltre un breve saggio per le edizioni Novecento, e un’edizione (autoedizione?) sconclusionata di una delle edizioni del Quattro-Cinquecento - quella, si presume, redatta per gli Estensi.
leuzzi@antiit.eu
Flaubert Bovary a diciott’anni
“Il racconto dei primi battiti del cuore”, a quindici anni, scritto a diciotto, con trasporto, dà questo risultato tra i pensieri: “Quanto alla virtù delle donne, ci credo più io di tanti campioni di moralità, perché credo all’indifferenza, alla freddezza e alla vanità di cui quei Signori non tengono conto”. Fra tante banalità – la letteratura teen-ager non decolla, scritta dai teenager – il giovane “pazzo” sapeva già Bovary. In quanto Federico, nell’“Educazione sentimentale”, sarà “l’uomo di tutte le debolezze”, sfrontato ma timido. E, aggiunge Thibaudet, “l’uomo che sogna la sua vita”.
Gustave Flaubert, Memorie di un pazzo, Ricordi, appunti, pensieri intimi
Gustave Flaubert, Memorie di un pazzo, Ricordi, appunti, pensieri intimi
mercoledì 15 settembre 2010
Problemi di base - 37
spock
Se Dio è creazione dell’uomo, come si sa, perché pretende di averlo creato?
La prova dell’esistenza di Dio non sarà la prova dell’esistenza dell’uomo?
Lo scrittore scrive. È dunque intransitivo?
Gli studenti scrivono: non c’è cesso di studenti, della Biblioteca nazionale di Roma, della nuovissima Lettere di Catania, dell’Accademia di Brera, che non inneggi a cazzi, puttane e culi, con contorno di ispidi graffiti, malgrado i costanti lavaggi e le colate di cementite. Sono freudiani. E le studentesse?
Sono gli studenti al cesso che hanno creato Freud, o è Freud che ha plasmato gli studenti?
Il partito del Sud di Berlusconi ci è o ci fa (il canovaccio, la commedia dell’arte)?
Che fine ha fatto la famiglia di Fini? Hanno rivinto la lotteria?
Chi paga gli arbitri, adesso che la Juventus è in disgrazia, contro le squadre di Berlusconi e di Moratti? Il Chievo? O il Catania, la mafia?
Perché i campionati li vince solo Milano?
Moratti e Berlusconi vogliono dare ragione a Moggi – “i campionati li può vincere solo Milano”?
spock@antiit.eu
Se Dio è creazione dell’uomo, come si sa, perché pretende di averlo creato?
La prova dell’esistenza di Dio non sarà la prova dell’esistenza dell’uomo?
Lo scrittore scrive. È dunque intransitivo?
Gli studenti scrivono: non c’è cesso di studenti, della Biblioteca nazionale di Roma, della nuovissima Lettere di Catania, dell’Accademia di Brera, che non inneggi a cazzi, puttane e culi, con contorno di ispidi graffiti, malgrado i costanti lavaggi e le colate di cementite. Sono freudiani. E le studentesse?
Sono gli studenti al cesso che hanno creato Freud, o è Freud che ha plasmato gli studenti?
Il partito del Sud di Berlusconi ci è o ci fa (il canovaccio, la commedia dell’arte)?
Che fine ha fatto la famiglia di Fini? Hanno rivinto la lotteria?
Chi paga gli arbitri, adesso che la Juventus è in disgrazia, contro le squadre di Berlusconi e di Moratti? Il Chievo? O il Catania, la mafia?
Perché i campionati li vince solo Milano?
Moratti e Berlusconi vogliono dare ragione a Moggi – “i campionati li può vincere solo Milano”?
spock@antiit.eu
Il bacio a Riina e l’eredità di Berlinguer
Il 26 settembre di quindici anni fa cominciava il processo per mafia a Andreotti. Durerà una dozzina d’anni e si concluderà con un’assoluzione. Che si poteva prevedere. Ecco cosa ne poteva scrivere a ragion veduta alla vigilia del dibattimento:
“Il processo a Andreotti capo della mafia è in realtà un processo al Pci. È grazie al Pci di Berlinguer, al suo gioco di sponda, e grazie alle innumerevoli trattative sottobanco condotte tra fine 1973 e la morte di Berlinguer nel 1984, che Andreotti, notabile romano, è diventato un grande uomo politico nazionale, onorato in Sicilia come in tutta Italia. È Andreotti che richiama Lima, non la mafia (Lima) che cattura Andreotti….
“Il Procuratore Capo Caselli, che ha avviato l’istruttoria contro Andreotti come primo atto del suo nuovo incarico nel 1993, è sostenuto da Luciano Violante, suo ex collega a Torino e oggi leader influente del Pds. È stato Caselli a indirizzare personalmente la richiesta di autorizzazione a procedere contro Andreotti alla Camera dei deputati il 27 marzo 1993. Su indizi labili: solo tre settimane più tardi il pentito Di Maggio parlerà di un bacio tra Andreotti e Riina, e due anni di istruttoria non hanno trovato prove più consistenti di questo bacio. Balduccio Di Maggio, ex autista di Riina, si era peraltro “pentito” mesi prima col colonnello dei carabinieri di Torino Delfino, senza accennare a Andreotti. Si può anche dire il processo a Andreotti una resa dei conti all’interno del Pci-Pds, tra i delfini di Berlinguer e gli uomini nuovi…
“I pubblici ministri del processo a Andreotti, che il capo della Procura, l’onesto torinese Caselli, protegge, i sostituti Sciacchitano e Lo Forte, erano accusati da Rocco Chinnici, il giudice a capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo nel quale erano impiegati, di essere i “manutengoli” di un potentato democristiano che faceva il giudice ed era, a suo giudizio, un mafioso. Lo Forte era chiacchierato per essere legato al Capo della Procura di Palermo che ha preceduto Caselli, Giammanco, lasciando pessima opinione. Ed era stato nominativamente criticato nei diari pubblicati di Antonino Caponnetto e Rocco Chinnici, che invece quella posizione hanno ricoperto con la stima di tutti. Caponnetto indica in Lo Forte uno degli ostacoli, nella Procura di Palermo, all’azione di Falcone e di Borsellino. Chinnici imputava al magistrato, con pessimi epiteti, la mancata attuazione di certe indagini (“Sciacchitano e Lo Forte della Procura”, annota Chinnici in data 30 marzo 1979, “emissari del grande vigliacco e servo della mafia Scozzari”). Si può quindi dire il processo a Andreotti anche una vendetta trasversale Dc. Chinnici, che era un buon cristiano e lui stesso democristiano, è stato fatto saltare nel 1983 con un’autobomba, subito dopo che aveva avviato indagini sui legami tra Procura e mafia di Corleone…”.
Quattro anni dopo, il 7 aprile 1999, Roberto Scarpinato chiederà 15 anni di reclusione per Andreotti. Dopo una requisitoria avviata il 19 gennaio, e svolta per una diecina di sedute alternandosi con Guido Lo Forte.
“Il processo a Andreotti capo della mafia è in realtà un processo al Pci. È grazie al Pci di Berlinguer, al suo gioco di sponda, e grazie alle innumerevoli trattative sottobanco condotte tra fine 1973 e la morte di Berlinguer nel 1984, che Andreotti, notabile romano, è diventato un grande uomo politico nazionale, onorato in Sicilia come in tutta Italia. È Andreotti che richiama Lima, non la mafia (Lima) che cattura Andreotti….
“Il Procuratore Capo Caselli, che ha avviato l’istruttoria contro Andreotti come primo atto del suo nuovo incarico nel 1993, è sostenuto da Luciano Violante, suo ex collega a Torino e oggi leader influente del Pds. È stato Caselli a indirizzare personalmente la richiesta di autorizzazione a procedere contro Andreotti alla Camera dei deputati il 27 marzo 1993. Su indizi labili: solo tre settimane più tardi il pentito Di Maggio parlerà di un bacio tra Andreotti e Riina, e due anni di istruttoria non hanno trovato prove più consistenti di questo bacio. Balduccio Di Maggio, ex autista di Riina, si era peraltro “pentito” mesi prima col colonnello dei carabinieri di Torino Delfino, senza accennare a Andreotti. Si può anche dire il processo a Andreotti una resa dei conti all’interno del Pci-Pds, tra i delfini di Berlinguer e gli uomini nuovi…
“I pubblici ministri del processo a Andreotti, che il capo della Procura, l’onesto torinese Caselli, protegge, i sostituti Sciacchitano e Lo Forte, erano accusati da Rocco Chinnici, il giudice a capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo nel quale erano impiegati, di essere i “manutengoli” di un potentato democristiano che faceva il giudice ed era, a suo giudizio, un mafioso. Lo Forte era chiacchierato per essere legato al Capo della Procura di Palermo che ha preceduto Caselli, Giammanco, lasciando pessima opinione. Ed era stato nominativamente criticato nei diari pubblicati di Antonino Caponnetto e Rocco Chinnici, che invece quella posizione hanno ricoperto con la stima di tutti. Caponnetto indica in Lo Forte uno degli ostacoli, nella Procura di Palermo, all’azione di Falcone e di Borsellino. Chinnici imputava al magistrato, con pessimi epiteti, la mancata attuazione di certe indagini (“Sciacchitano e Lo Forte della Procura”, annota Chinnici in data 30 marzo 1979, “emissari del grande vigliacco e servo della mafia Scozzari”). Si può quindi dire il processo a Andreotti anche una vendetta trasversale Dc. Chinnici, che era un buon cristiano e lui stesso democristiano, è stato fatto saltare nel 1983 con un’autobomba, subito dopo che aveva avviato indagini sui legami tra Procura e mafia di Corleone…”.
Quattro anni dopo, il 7 aprile 1999, Roberto Scarpinato chiederà 15 anni di reclusione per Andreotti. Dopo una requisitoria avviata il 19 gennaio, e svolta per una diecina di sedute alternandosi con Guido Lo Forte.
martedì 14 settembre 2010
La giustizia vittima della giudiziaria
La lettura delle cronache giudiziarie è l’aspetto più deprimente della lettura del giornale. Non le mettessero in prima pagina uno volentieri le salterebbe, meglio perfino la cronaca nera, che di solito viene dopo. In una giornata qualsiasi tocca di leggere almeno una mezza dozzina d’infamie. Il Tribunale di Milano commina l’ergastolo a un diciottenne che ha fatto da palo a un’aggressione finita in un assassinio, e ha ammesso la sua colpa, mentre gli assassini li condanna a diciott’anni, scontabili. Un direttore Rai nominato dal Tar (sì, il Tribunale amministrativo del Lazio nomina i direttore Rai) vuole cacciare il consiglio d’amministrazione. I nuotatori olimpici e mondiali occupano una piscina che la Procura di Roma non finisce da anni di sequestrare, ma ancora non ha detto perché. E poi c’è la berlusconeide. L’incredibile Capaldo insiste che le pale eoliche in Sardegna hanno generato la P 3. I giudici di Palermo fanno sapere che il figlio del mafioso Ciancimino ha dato agli stessi giudici altre carte autografe del padre contro Berlusconi (il padre, invece, come i lettori di questo sito sanno, si era fermato ad accusare Andreotti e il Pci, ma eravamo nel 1995). A Milano l’ennesimo giudice dell’ennesimo processo contro Berlusconi investe la Corte Costituzionale dell’ennesimo caso di legittimo impedimento. Non basta investirla una volta sola? O non potrebbe, uno di questi giudici, condannare infine Berlusconi, e risparmiarci l’afflizione?
Si dice che la giustizia è vittima dei giudici. Del loro misoneismo, dell’autoritarismo, della superficialità, del leguleismo, della loro incapacità di governarsi, insomma della loro incapacità. Ma è demenziale al punto che viene da dubitare dei giudici: impossibile che siano così poveri di spirito. E se invece la giustizia fosse vittima della giudiziaria, delle cronache dei giornali, insomma dei giornali? Perché sono troppe le indicazioni in questo senso. Si sa che le malattie e l’assassinio sempre “tirano”, ma si pensava, fino a qualche tempo fa, che la Rai e i grandi giornali li maneggiassero con prudenza. Vent’anni fa la Rai ci pensava due volte prima di sparare che il tal ministro è un concussore e un ladro. Non per piaggeria, per prudenza. Ora si “spara” di tutto. Anche che, forse, chissà, non si può escludere, potrebbe essere perché no, papa Ratzinger da giovane parroco amò troppo i ragazzi. O da vescovo non punì un pedofilo. O da cardinale coprì i pedofili. E comunque è colpevole di essere papa. Non sul “Grand Hotel”, che peraltro non si pubblica più schiacciato dalla concorrenza, ma su “Repubblica” – la moneta cattiva scaccia la buona? tanto più se queste cronache, invece che "tirare", scoraggiano la lettura del giornale.
Si dice che la giustizia è vittima dei giudici. Del loro misoneismo, dell’autoritarismo, della superficialità, del leguleismo, della loro incapacità di governarsi, insomma della loro incapacità. Ma è demenziale al punto che viene da dubitare dei giudici: impossibile che siano così poveri di spirito. E se invece la giustizia fosse vittima della giudiziaria, delle cronache dei giornali, insomma dei giornali? Perché sono troppe le indicazioni in questo senso. Si sa che le malattie e l’assassinio sempre “tirano”, ma si pensava, fino a qualche tempo fa, che la Rai e i grandi giornali li maneggiassero con prudenza. Vent’anni fa la Rai ci pensava due volte prima di sparare che il tal ministro è un concussore e un ladro. Non per piaggeria, per prudenza. Ora si “spara” di tutto. Anche che, forse, chissà, non si può escludere, potrebbe essere perché no, papa Ratzinger da giovane parroco amò troppo i ragazzi. O da vescovo non punì un pedofilo. O da cardinale coprì i pedofili. E comunque è colpevole di essere papa. Non sul “Grand Hotel”, che peraltro non si pubblica più schiacciato dalla concorrenza, ma su “Repubblica” – la moneta cattiva scaccia la buona? tanto più se queste cronache, invece che "tirare", scoraggiano la lettura del giornale.
Secondi pensieri - (52)
zeulig
Dio – “Dio è nei fiori”, dice Sherlock Holmes a un certo punto. E in Sherlock Holmes? Dio è nella domanda di Dio – nel “discorso” di Dio.
Libertà – È conquista e maturazione: responsabilità, senso civico.
Se concessa alla persona è inquinata dalla riconoscenza (mafia).
Se concessa in massa è merda (sottogoverno, vittimismo), quando non è violenza.
Luce – L’ozono ci protegge da morte sicura che verrebbe dalla luce. La morte arriva attraverso la luce? Simbolo della purezza e dell’ascesi, la luce ha in realtà bisogno di filtri: di ombre, chiaroscuri, intermittenze. La luce diretta è letale.
Piero della Francesca Berenson dice “impersonale”, “impassibile”, come è nella tradizione della migliore pittura, per “l’effetto luce”. È impersonale l’ultima arte, il cinema, dove le presenze sono un fatto di luce.
Materialismo – Si è presunto razionale, Marx, Freud, un po’ anche Darwin, e la scienza moderna applicata (non la fisica teorica, naturalmente). Mentre è l’opposto: una utile, ma oiccola, semplificazione.
Moderno – Il rifiuto o la revisione del moderno porta indietro, a prima della razionalizzazione (M.Weber), dell’economicismo (A.Smith), della secolarizzazione dell’Occidente (Riforma). Ma l’unità preesistente non è più possibile – era già fittizia, e ora sarebbe imitata, l’Europa è piccola cosa, seppure con la coda americana. Ci vorrebbe una nuova “unità”. Come mobilitazione delle “masse”, concetto della meccanica, consumi di massa, comunicazioni di massa, trasporti di massa, non regge più – non regge economicamente, fisicamente.
Morte – Andarci bisognerebbe come un buon mussulmano, ringraziando Allah di ogni evento o cosa la preceda. Non a fronte avanti, come ogni buon occidentale, ma a ritroso. La morte colpirà sempre alle spalle, ma si avrà davanti a sé tutto quello che si è avuto e si è stati, non il nulla. Volendo adottare una postura positiva, che è solo giusta.
La postura occidentale (cristiana) nasce da una scssone dell’originale postura ebraica. Questa è frontale perché, l’ebreo annullandosi in Dio, la vita è anche la morte, non c’è scarto ma semplice trapasso. Per il cristiano invece, la vta essendo una preparazione all’aldilà, cioè all’ignoto, che ha preso le forme d’inferno, purgatorio, paradiso, perfino limbo, la morte è terrificante perché è la porta all’incertezza del giudizio. Da qui anche le antinomie corpo-anima, carne-spirito, vita-aldilà.
Fa paura a molti in quanto è un irrompere dell’imprevedibile. Una sorpresa comunque: forse l’imputridimento (ma senza pena), forse un bell’orizzonte. È u a sorpresa perché per i molti la vita è già morta, abitudinaria, ripetitiva, senza slancio (desiderio, speranza), senza intelligenza.
Nostalgia – È insensata: se uno va via tante ragioni di restare non ne aveva. Con l’eccezione del coscritto e dell’emigrato per necessità. Ne soffriva Ulisse, nomade guerriero bien malgré lui, er di più atteso a casa da una moglie fantastica – fantastica cosmologia quel fare e disfare la tela.
È consolatoria. La memoria opuò anche incattivire: va per accumulo, sia in senso positivo che negagtivo. La nostalgia seleziona al bello, il senso di mancanza riempiendo di consolazioni.
Passioni – Quelle grandi, senza limiti legali o morali, sono realistiche, contadine, popolari, Sono animali, e desuete. Nell’urbanità evaporano: gli amori sono proustiani, stimoli immaginari e inconclusi (autoerotismo), l’incesto è patologico, l’odio materia di avvocati e procedure. La società è formale e non materiale, il singolo e la coppia sono isolati, stretti fra il condominio e il pendolarismo.
Le passioni urbane girano attorno al potere e al prepotere (dal traffico al condominio), le ruberie, la corruzione, l’intrigo, le figlie in carriera.
Purezza – Atto di purezza è la pulizia etnica. Per esempio l’Olocausto. “Inutile” economicamente, politicamente, militarmente, e anzi dannoso. Una “pura” espressione di volontà. Che è razionalmente imbecille: uno spreco immenso di organizzazione e di odio. Ogni atto puro è spreco, cioè imbecille?
Misura della purezza non è, ancora, l’utilità (razionalità pratica)?
Spinoza – È Galileo, l’ordine geometrico, filosofico.
Il suo Dio è piuttosto Socrate, che morì in pace.
Tempo – È il tempo dei tempi, i millenni, i milioni, i miliardi, di millenni: quanto ne richiede la più piccola e ordinaria trasformazione nell’universo. Una misura senza metro.
La sua scomparsa è il segno del tempo (dei tempi).
Mille miliardi di anni luce sono un tempo infinito. Che è un ossimoro: il tempo cioè non esiste. L’infinito è indistinto, come le galassie e i “vuoti” intergalattici, e non ha tempo. Il tempo è lì ma inerte, non trascorre.
Tradizione – Dà l’imprinting. Che è tanto più marcato quanto più forte è la tradizione. La Germania si celebra da mille anni ma è ancora un paese di passaggio: cerca sempre una tradizione solida, dopo essere stata latina, gotica, sassone, franca, liberale, prussiana e imperialista, permissiva, hitleriana. Gli Usa, crogiolo di razze e paese di frontiera, conservano il solido imprinting britannico e puritano.
Era scomparsa cinquant’anni fa. Ora non c’è altro, altro che la tradizione, qualsiasi cosa essa sia, dalla ricerca delle radici alla conservazione delle pietre. È consolatoria: la tradizione è “una bella cosa2, anche se più spesso è trucida.
Uniformità – Ci dev’essere in essa qualche recondito segreto, una resistenza. Un particolare impalpabile, un suono, un’energia, un’onda d’urto, un odore. Ogni cinese riconosce la sua bicicletta nella miriade di biciclette nere parcheggiate attorno allo stadio.
zeulig@antiit.eu
Dio – “Dio è nei fiori”, dice Sherlock Holmes a un certo punto. E in Sherlock Holmes? Dio è nella domanda di Dio – nel “discorso” di Dio.
Libertà – È conquista e maturazione: responsabilità, senso civico.
Se concessa alla persona è inquinata dalla riconoscenza (mafia).
Se concessa in massa è merda (sottogoverno, vittimismo), quando non è violenza.
Luce – L’ozono ci protegge da morte sicura che verrebbe dalla luce. La morte arriva attraverso la luce? Simbolo della purezza e dell’ascesi, la luce ha in realtà bisogno di filtri: di ombre, chiaroscuri, intermittenze. La luce diretta è letale.
Piero della Francesca Berenson dice “impersonale”, “impassibile”, come è nella tradizione della migliore pittura, per “l’effetto luce”. È impersonale l’ultima arte, il cinema, dove le presenze sono un fatto di luce.
Materialismo – Si è presunto razionale, Marx, Freud, un po’ anche Darwin, e la scienza moderna applicata (non la fisica teorica, naturalmente). Mentre è l’opposto: una utile, ma oiccola, semplificazione.
Moderno – Il rifiuto o la revisione del moderno porta indietro, a prima della razionalizzazione (M.Weber), dell’economicismo (A.Smith), della secolarizzazione dell’Occidente (Riforma). Ma l’unità preesistente non è più possibile – era già fittizia, e ora sarebbe imitata, l’Europa è piccola cosa, seppure con la coda americana. Ci vorrebbe una nuova “unità”. Come mobilitazione delle “masse”, concetto della meccanica, consumi di massa, comunicazioni di massa, trasporti di massa, non regge più – non regge economicamente, fisicamente.
Morte – Andarci bisognerebbe come un buon mussulmano, ringraziando Allah di ogni evento o cosa la preceda. Non a fronte avanti, come ogni buon occidentale, ma a ritroso. La morte colpirà sempre alle spalle, ma si avrà davanti a sé tutto quello che si è avuto e si è stati, non il nulla. Volendo adottare una postura positiva, che è solo giusta.
La postura occidentale (cristiana) nasce da una scssone dell’originale postura ebraica. Questa è frontale perché, l’ebreo annullandosi in Dio, la vita è anche la morte, non c’è scarto ma semplice trapasso. Per il cristiano invece, la vta essendo una preparazione all’aldilà, cioè all’ignoto, che ha preso le forme d’inferno, purgatorio, paradiso, perfino limbo, la morte è terrificante perché è la porta all’incertezza del giudizio. Da qui anche le antinomie corpo-anima, carne-spirito, vita-aldilà.
Fa paura a molti in quanto è un irrompere dell’imprevedibile. Una sorpresa comunque: forse l’imputridimento (ma senza pena), forse un bell’orizzonte. È u a sorpresa perché per i molti la vita è già morta, abitudinaria, ripetitiva, senza slancio (desiderio, speranza), senza intelligenza.
Nostalgia – È insensata: se uno va via tante ragioni di restare non ne aveva. Con l’eccezione del coscritto e dell’emigrato per necessità. Ne soffriva Ulisse, nomade guerriero bien malgré lui, er di più atteso a casa da una moglie fantastica – fantastica cosmologia quel fare e disfare la tela.
È consolatoria. La memoria opuò anche incattivire: va per accumulo, sia in senso positivo che negagtivo. La nostalgia seleziona al bello, il senso di mancanza riempiendo di consolazioni.
Passioni – Quelle grandi, senza limiti legali o morali, sono realistiche, contadine, popolari, Sono animali, e desuete. Nell’urbanità evaporano: gli amori sono proustiani, stimoli immaginari e inconclusi (autoerotismo), l’incesto è patologico, l’odio materia di avvocati e procedure. La società è formale e non materiale, il singolo e la coppia sono isolati, stretti fra il condominio e il pendolarismo.
Le passioni urbane girano attorno al potere e al prepotere (dal traffico al condominio), le ruberie, la corruzione, l’intrigo, le figlie in carriera.
Purezza – Atto di purezza è la pulizia etnica. Per esempio l’Olocausto. “Inutile” economicamente, politicamente, militarmente, e anzi dannoso. Una “pura” espressione di volontà. Che è razionalmente imbecille: uno spreco immenso di organizzazione e di odio. Ogni atto puro è spreco, cioè imbecille?
Misura della purezza non è, ancora, l’utilità (razionalità pratica)?
Spinoza – È Galileo, l’ordine geometrico, filosofico.
Il suo Dio è piuttosto Socrate, che morì in pace.
Tempo – È il tempo dei tempi, i millenni, i milioni, i miliardi, di millenni: quanto ne richiede la più piccola e ordinaria trasformazione nell’universo. Una misura senza metro.
La sua scomparsa è il segno del tempo (dei tempi).
Mille miliardi di anni luce sono un tempo infinito. Che è un ossimoro: il tempo cioè non esiste. L’infinito è indistinto, come le galassie e i “vuoti” intergalattici, e non ha tempo. Il tempo è lì ma inerte, non trascorre.
Tradizione – Dà l’imprinting. Che è tanto più marcato quanto più forte è la tradizione. La Germania si celebra da mille anni ma è ancora un paese di passaggio: cerca sempre una tradizione solida, dopo essere stata latina, gotica, sassone, franca, liberale, prussiana e imperialista, permissiva, hitleriana. Gli Usa, crogiolo di razze e paese di frontiera, conservano il solido imprinting britannico e puritano.
Era scomparsa cinquant’anni fa. Ora non c’è altro, altro che la tradizione, qualsiasi cosa essa sia, dalla ricerca delle radici alla conservazione delle pietre. È consolatoria: la tradizione è “una bella cosa2, anche se più spesso è trucida.
Uniformità – Ci dev’essere in essa qualche recondito segreto, una resistenza. Un particolare impalpabile, un suono, un’energia, un’onda d’urto, un odore. Ogni cinese riconosce la sua bicicletta nella miriade di biciclette nere parcheggiate attorno allo stadio.
zeulig@antiit.eu
lunedì 13 settembre 2010
Cosa manca ai cattolici? La capacità politica
E se i cattolici italiano fossero incapaci di buona politica? In fondo è di questo che hanno preso atto il cardinale Ruini (grande politico cattolico, però, il cardinale…) e Giovanni Paolo II vent’anni fa con lo sciogliete le righe. Sì, De Gasperi, con la scelta della Nato e dell’Europa, ma De Gasperi era di Trento, e quasi un asburgico. Sì Fanfani, ma il politico del fare, l’unico del resto, è sempre stato indigesto e alieno ai cattolici, Che si crogiolavano, e ancora si crogiolano, di Moro e Andreotti, politici nefasti in ogni altra esperienza, gli archetipi del ponziopilatismo – la sbarra tra le ruote, non vedo e non sento, non c’ero, lo dico e lo nego, le verifiche, il quadro politico, il rinvio, le crisi governative di tre mesi.
De Rita e Antiseri hanno posto sul “Corriere della sera” la “questione cattolica”: un mondo attivissimo alla base ma disimpegnato dalla politica. Il che non è vero, i cattolici sono sempre attivissimi in politica, nel partito Democratico e in quello di Berlusconi incluso. M, questo è il punto, con effetti sempre nefasti, del dire e non dire, del rinvio, del ripensamento, dei rituali vuoti se non per far valere un potere d’interdizione – il potere negativo, di distruggere. Mentre è sotto gli occhi di tutti che i cattolici non sono scomparsi, sono anzi più “padroni” che mai del sociale, dal terzo settore alle banche. Lo sono diventati: la conquista del terzo settore e delle banche è degli ultimi venti anni, quelli della depoliticizzazione.
Con più verità andrebbe detto insomma che i cattolici hanno tutto in Italia, tutte le forme di potere, minimo (associazioni, fondazioni, assessorati), medio (burocrazia locale e nazionale), grande (banche, energia, grandi opere, Rai, assistenza sociale), eccetto che nella politica nazionale. Dove si segnalano, però, questo è importante, per la capacità persistente di distruggere: verifiche, crisi, rinvii, lottizzazioni, corruzioni. Antiseri ipotizza che i cattolici non abbiano più un grande partito perché i migliori tra loro non si impegnano in politica. Ma questo è forse l’unico atto di onestà “politica” dei cattolici, lasciare scoperta la propria negatività.
La chiesa ha maturato tutte le forme politiche moderne (A.Passerin d’Entrèves, Chabod, Arendt) l’auctoritas e la rappresentanza, il voto per testa e le assemblee, il merito e il premio. Ma non ha espresso, nell’epoca delle democrazie costituzionali, ceti politici di spessore. In Italia ma anche ovunque sia presente, in America Latina e negli Usa, e in Europa nella penisola iberica e nell’asse centrale, tedesco e slavo. Governicchia, più male che bene, in Austria, in Belgio è riuscita a dividere il paese, si sono divisi perfino la biblioteca di Lovanio, dalla A alla L, e dalla M alla Z., in Olanda, in Germania, dove s’identifica con metà dell’elettorato, non esprime più niente, e così in Polonia e in Slovacchia.
O forse si può dire così, reiquandrando la questione cattolica con la Germania di Adenauer, col Benelux di Paul-Henri Spaak e Jan Willem Beyen, con la Francia del Servo di Dio Schuman: dove hanno avuto un ruolo di battaglia, di contenimento del sovietismo, i cattolici sono diventati attivi e produttivi. Fino alla Grande Sovversione di Walesa e Solidarnosc. La scelta europeista, che è quella epocale del secondo Novecento in Europa, sarà stato l’ultimo – più recente – atto dell’intelligenza politica della chiesa. Ma il grande federatore sarà stato Stalin. Perché l’Europa è, sì, un progetto di superamento dell’odio tra Francia e Germania, che però è maturato sotto la minaccia sovietica – il primo piano di Jean Monnet, nel 1945 e ancora nel 1946, la cosiddetta Dottrina dell’ingranaggio, era in chiave revanscista e punitiva, col passaggio alla Francia delle miniere di carbone tedesche, a partire dalla Sarre (dopo il passaggio del carbone della Slesia alla Polonia).
De Rita e Antiseri hanno posto sul “Corriere della sera” la “questione cattolica”: un mondo attivissimo alla base ma disimpegnato dalla politica. Il che non è vero, i cattolici sono sempre attivissimi in politica, nel partito Democratico e in quello di Berlusconi incluso. M, questo è il punto, con effetti sempre nefasti, del dire e non dire, del rinvio, del ripensamento, dei rituali vuoti se non per far valere un potere d’interdizione – il potere negativo, di distruggere. Mentre è sotto gli occhi di tutti che i cattolici non sono scomparsi, sono anzi più “padroni” che mai del sociale, dal terzo settore alle banche. Lo sono diventati: la conquista del terzo settore e delle banche è degli ultimi venti anni, quelli della depoliticizzazione.
Con più verità andrebbe detto insomma che i cattolici hanno tutto in Italia, tutte le forme di potere, minimo (associazioni, fondazioni, assessorati), medio (burocrazia locale e nazionale), grande (banche, energia, grandi opere, Rai, assistenza sociale), eccetto che nella politica nazionale. Dove si segnalano, però, questo è importante, per la capacità persistente di distruggere: verifiche, crisi, rinvii, lottizzazioni, corruzioni. Antiseri ipotizza che i cattolici non abbiano più un grande partito perché i migliori tra loro non si impegnano in politica. Ma questo è forse l’unico atto di onestà “politica” dei cattolici, lasciare scoperta la propria negatività.
La chiesa ha maturato tutte le forme politiche moderne (A.Passerin d’Entrèves, Chabod, Arendt) l’auctoritas e la rappresentanza, il voto per testa e le assemblee, il merito e il premio. Ma non ha espresso, nell’epoca delle democrazie costituzionali, ceti politici di spessore. In Italia ma anche ovunque sia presente, in America Latina e negli Usa, e in Europa nella penisola iberica e nell’asse centrale, tedesco e slavo. Governicchia, più male che bene, in Austria, in Belgio è riuscita a dividere il paese, si sono divisi perfino la biblioteca di Lovanio, dalla A alla L, e dalla M alla Z., in Olanda, in Germania, dove s’identifica con metà dell’elettorato, non esprime più niente, e così in Polonia e in Slovacchia.
O forse si può dire così, reiquandrando la questione cattolica con la Germania di Adenauer, col Benelux di Paul-Henri Spaak e Jan Willem Beyen, con la Francia del Servo di Dio Schuman: dove hanno avuto un ruolo di battaglia, di contenimento del sovietismo, i cattolici sono diventati attivi e produttivi. Fino alla Grande Sovversione di Walesa e Solidarnosc. La scelta europeista, che è quella epocale del secondo Novecento in Europa, sarà stato l’ultimo – più recente – atto dell’intelligenza politica della chiesa. Ma il grande federatore sarà stato Stalin. Perché l’Europa è, sì, un progetto di superamento dell’odio tra Francia e Germania, che però è maturato sotto la minaccia sovietica – il primo piano di Jean Monnet, nel 1945 e ancora nel 1946, la cosiddetta Dottrina dell’ingranaggio, era in chiave revanscista e punitiva, col passaggio alla Francia delle miniere di carbone tedesche, a partire dalla Sarre (dopo il passaggio del carbone della Slesia alla Polonia).
L’autore è un Draculino
Il Viaggiatore come Voyeur: Canetti fa un esercizio lieve di voyeurismo, a mezzo di una lingua non capita, di visi velati, di figure informi – la forma dell’invizibile. Il Grande Viaggiatore nutre il desiderio. Accostando suoni indistinti, profili, sguardi, affascinanti ma-perché non penetrabili, i turbamenti puberali, della ragazzine e dei ragazzini, senza fermarsi. Lavora per alimentare la memoria, che è la sola traccia visibile dell’autore. Dell’uomo che non lascia altrimenti ombra. E dell’autore che è un Draculino, un piccolo Dracula – un succhiasangue.
Elias Canetti, Le voci di Marrakesh
Elias Canetti, Le voci di Marrakesh
domenica 12 settembre 2010
La democrazia Usa degli interessi rigetta Obama
L’Eletto di Internet sconfitto dal passaparola? Per Barack Obama la caduta sembra libera, nei commenti della rete: è Internet inaffidabile, un vento capriccioso? è Obama un falso leader? In realtà, Obama è un vero leader – e Internet non è una brezza o un brusio, se ha deciso un’elezione presidenziale. È troppo leader per il sistema americano, il presidente dell’America, che a torto viene ritenuto un Cesare o un Augusto, seppure soggetto al voto. Il presidente americano è, per stare al paragone romano, un console, essendo il suo operato sottoposto al voto ogni pochi mesi, e il mandato soggetto a forte continua concorrenza. Obama non sembra averne tenuto conto.
Ma, poi, Roma c’entra poco o nulla: il sistema politico americano è unico, fondandosi sui poteri intermedi. Territoriali o settoriali. Che sono gruppi di interesse, anche quelli territoriali. Il processo politico americano è mediato a tutti i livelli dai gruppi organizzati, si tratti della società della lontra, o del fondamentalismo cristiano. Oltre ai gruppi d’interesse classici della ragione critica, liberale o marxista: i monopoli, le lobbies, i sindacati, la finanza, l’immobiliare. Obama ha inteso il suo mandato come un mandato a solvere, a decidere, a governare per il meglio, senza sottostare agli interessi particolari, da capo piuttosto che da mediatore, e ora è espulso dal sistema, che ha smaltito la sorpresa elettorale. Obama, a giudizio anche dei suoi critici, non aveva scelta, dovendo gestire la peggiore crisi economica e politica (l’11 settembre) della storia degli Usa. Doveva solo smarcarsi dal condizionamento delle banche, delle assicurazioni, della spesa pubblica, dei sindacati, del Pentagono, di Israele, del fondamentalismo cristiano ereditato da Bush. Ma ora che lo ha fatto si ritrova solo.
È stato il destino in America del populismo, che molte volte ha tentato di liberare la politica dal condizionamento dei poteri intermedi, e sempre ha fallito. Con l’eccezione di Andrew Jackson, i populisti del resto mai erano riusciti a vincere le presidenziali, prima di Obama, lo spento James Weaver e il tre volte candidato brillantissimo William Jennings Bryan – tutti ammazza banchieri (Jackson anche ammazza indiani). Obama non è un populista: non di formazione, venendo dalla base del partito Democratico, né nelle scelte di governo, nette ma non demagogiche. L’opinione comune anzi tende a dirlo vittima del populismo montante, specie dei gruppi di destra. Ha tuttavia infranto il sistema politico americano della rappresentanza degli interessi, che ora tende a ricostituirsi a suo danno.
Ma, poi, Roma c’entra poco o nulla: il sistema politico americano è unico, fondandosi sui poteri intermedi. Territoriali o settoriali. Che sono gruppi di interesse, anche quelli territoriali. Il processo politico americano è mediato a tutti i livelli dai gruppi organizzati, si tratti della società della lontra, o del fondamentalismo cristiano. Oltre ai gruppi d’interesse classici della ragione critica, liberale o marxista: i monopoli, le lobbies, i sindacati, la finanza, l’immobiliare. Obama ha inteso il suo mandato come un mandato a solvere, a decidere, a governare per il meglio, senza sottostare agli interessi particolari, da capo piuttosto che da mediatore, e ora è espulso dal sistema, che ha smaltito la sorpresa elettorale. Obama, a giudizio anche dei suoi critici, non aveva scelta, dovendo gestire la peggiore crisi economica e politica (l’11 settembre) della storia degli Usa. Doveva solo smarcarsi dal condizionamento delle banche, delle assicurazioni, della spesa pubblica, dei sindacati, del Pentagono, di Israele, del fondamentalismo cristiano ereditato da Bush. Ma ora che lo ha fatto si ritrova solo.
È stato il destino in America del populismo, che molte volte ha tentato di liberare la politica dal condizionamento dei poteri intermedi, e sempre ha fallito. Con l’eccezione di Andrew Jackson, i populisti del resto mai erano riusciti a vincere le presidenziali, prima di Obama, lo spento James Weaver e il tre volte candidato brillantissimo William Jennings Bryan – tutti ammazza banchieri (Jackson anche ammazza indiani). Obama non è un populista: non di formazione, venendo dalla base del partito Democratico, né nelle scelte di governo, nette ma non demagogiche. L’opinione comune anzi tende a dirlo vittima del populismo montante, specie dei gruppi di destra. Ha tuttavia infranto il sistema politico americano della rappresentanza degli interessi, che ora tende a ricostituirsi a suo danno.
Ombre - 61
Giuseppe Scaraffia rifà sul “Sole” la storia degli impubblicabili della Prima Repubblica, Nietzsche, Jünger, Èliade, Céline, Tolkien, Zolla eccetera. Per colpa, dice, del ’68. Nietzsche? Drieu? Tolkien? Céline? Ma il ’68 non è venuto dopo, dieci anni dopo, venti anni dopo? Scaraffia, non abbia paura, ancora uno sforzo!
Tre bambini su quattro rifiutano la refezione scolastica, secondo un’indagine della Coldiretti. Ma è una cosa che si sa dal 1972, o 1974, dall’introduzione del tempo prolungato e dei consigli scolastici: chi ha avuto figli a scuola o vi ha insegnato sa che da subito, e poi sempre, il primo e unico problema dei genitori alle assemblee era la refezione. E che tre bambini su quattro buttavano, e buttano, il pasto tra i rifiuti – lo stesso pasto apprezzato dagli insegnanti. Forse in Italia il cibo è troppo importante. O forse l’inciviltà delle famiglie è grande – la democrazia è troppo recente. Ma perché tanti insegnanti fanno del tempo prolungato una battaglia di civiltà? È giusto tenere a scuola un bambino otto ore?
La scuola Pisacane di Tor Pignattara a Roma la preside Marciano voleva intitolare a Tsunesaburo Makiguchi. Dopo aver creato, suo fiore all’occhiello, due o tre sezioni di tutti bambini figli di immigrati.
Si fa di tutto per fare un dispetto alla Gelmini, che è cattolica, ministro di Berlsuconi, eccetera. Ma che pedagogia è creare un ghetto? Dove non s’impara niente se non a giocare? Una mamma italiana che ci ha provato dice sconsolata: “Mio figlio non sa fare un dettato. E su un’addizione passa una settimana”. Perché certe persone insegnano, invece di andare a tirare i pomodori alla Gelmini, che è una professione anche quella.
Makiguchi è un pedagogo giapponese. Di una nazione cioè che non emigra, e anzi molto ricca. La preside Marciano voleva intitolargli la sua scuola per esotismo terzomondista. Che è la peggiore ingiuria per un giapponese e per il Giappone.
“Senza la Calabria e mezza Campania l’Italia sarebbe la più ricca in Europa”, dice il ministro Brunetta. È vero. Ma perché? Cinquant’anni fa la Calabria non era così barbara com’è adesso. Inerte. Piena di pensioni sociali e lavoro nero. Di giovani presuntuosi e incapaci.
I giornalisti economici applaudivano l’Avvocato Agnelli ogni anno alla presentazione del bilancio. Come i giornalisti del Partito applaudivano Berlinguer, nel corso e alla fine del discorso – dividendosi per correnti poi, per D’Alema, Veltroni, eccetera: alcuni applaudivano, altro voltavano le spalle. I critici cinematografici applaudono o fischiano i film al festival di Venezia. E un po’ tutti inviano apprezzati contributi alla rivista di Piera Detassis, che dirige il festival di Roma, e contemporaneamente il servizio cinema dell’Ansa. Si capisce che il conflitto d’interessi non sia materia appassionante, la prevenzione cioè del conflitto. Ma il problema è: i critici applaudono perché sono italiani, o perché sono (ex) sovietizzanti?
Ieri la Cassazione dice che la loggia P 3 non sembra una loggia, e non è una P3. Oggi, venerdi, il giudice della P 3 diffonde una testimonianza di uno degli accusati contro Berlusconi. Uno che dice tutto e il contrario di tutto, e quindi che Berlusconi è il capo della P 3. Il “Corriere della sera” diligente sabato dedica a questa testimonianza una pagina, facendone la verità. Poi dicono che Berlusconi vince le elezioni. Criticando i giudici, come ha fatto a Mosca mentre il giudice Capaldo diffondeva i verbali.
“Se le andava cercando” dice l’onorevole Andreotti in tv dell’avvocato Ambrosoli, che
in qualità di liquidatore delle banche di Sindona fu fatto assassinare dallo stesso Sindona. Bonariamente, certo, Andreotti parla solo bonariamente, anche se nessuno di quelli a cui tira le orecchie poi gli sopravvive. Compreso Sindona, di cui pure era amico, nonché cobanchiere in Vaticano, per conto del papa luciferino Paolo VI.
Resta da sapere perché Andreotti fu lo statista del Pci di Berlinguer. Che nel 1984, proprio su Sindona e i conti vaticani, ne impedì la censura alla Camera uscendo dall’aula al momento del voto. E sì che Andreotti era ministro allora dell’odiato Craxi (sarebbe bastato uno sgambetto a Andreotti per far crollare Craxi).
Un solo Procuratore della Repubblica a Enna, per settemila procedimenti penali l’anno, 35 per ogni giorno di lavoro, in una zona mafiogena. Mentre a Trani, alla periferia di Bari, nove Procuratori si crogiolano aspettando d’intercettare il nome di Berlusconi al telefono.
D’Alema offre a Casini la presidenza del consiglio. In un centrosinistra senza Idv e senza Rifondazione. Non è uno scherzo, stanno trattando.
Fini dice Berlusconi “stalinista”.
Il processo breve prevede tre anni per il giudizio di primo grado, due per il secondo e sei mesi per il terzo. Uno che va sotto processo senza colpa due volte nella vita ci spreca insomma dodici anni. Ma questo non basta alle vestali della legalità, ai giudici cioè e a Di Pietro, Travaglio, Flores d’Arcais eccetera. Che legalità è questa?
Per la terza, o quarta, volta in un mese Cicchitto e Calderisi devono scrivere una lettera al “Corriere della sera” per spiegare i progetti di legge del Pdl, il loro partito. Non hanno diritto di presenza tra i redattori del politico del giornale?
Per la terza, o quarta, volta il direttore de Bortoli pubblica la loro lettera in evidenza, come un articolo. Nemmeno lui riesce a parlare con i redattori del politico?
Tre bambini su quattro rifiutano la refezione scolastica, secondo un’indagine della Coldiretti. Ma è una cosa che si sa dal 1972, o 1974, dall’introduzione del tempo prolungato e dei consigli scolastici: chi ha avuto figli a scuola o vi ha insegnato sa che da subito, e poi sempre, il primo e unico problema dei genitori alle assemblee era la refezione. E che tre bambini su quattro buttavano, e buttano, il pasto tra i rifiuti – lo stesso pasto apprezzato dagli insegnanti. Forse in Italia il cibo è troppo importante. O forse l’inciviltà delle famiglie è grande – la democrazia è troppo recente. Ma perché tanti insegnanti fanno del tempo prolungato una battaglia di civiltà? È giusto tenere a scuola un bambino otto ore?
La scuola Pisacane di Tor Pignattara a Roma la preside Marciano voleva intitolare a Tsunesaburo Makiguchi. Dopo aver creato, suo fiore all’occhiello, due o tre sezioni di tutti bambini figli di immigrati.
Si fa di tutto per fare un dispetto alla Gelmini, che è cattolica, ministro di Berlsuconi, eccetera. Ma che pedagogia è creare un ghetto? Dove non s’impara niente se non a giocare? Una mamma italiana che ci ha provato dice sconsolata: “Mio figlio non sa fare un dettato. E su un’addizione passa una settimana”. Perché certe persone insegnano, invece di andare a tirare i pomodori alla Gelmini, che è una professione anche quella.
Makiguchi è un pedagogo giapponese. Di una nazione cioè che non emigra, e anzi molto ricca. La preside Marciano voleva intitolargli la sua scuola per esotismo terzomondista. Che è la peggiore ingiuria per un giapponese e per il Giappone.
“Senza la Calabria e mezza Campania l’Italia sarebbe la più ricca in Europa”, dice il ministro Brunetta. È vero. Ma perché? Cinquant’anni fa la Calabria non era così barbara com’è adesso. Inerte. Piena di pensioni sociali e lavoro nero. Di giovani presuntuosi e incapaci.
I giornalisti economici applaudivano l’Avvocato Agnelli ogni anno alla presentazione del bilancio. Come i giornalisti del Partito applaudivano Berlinguer, nel corso e alla fine del discorso – dividendosi per correnti poi, per D’Alema, Veltroni, eccetera: alcuni applaudivano, altro voltavano le spalle. I critici cinematografici applaudono o fischiano i film al festival di Venezia. E un po’ tutti inviano apprezzati contributi alla rivista di Piera Detassis, che dirige il festival di Roma, e contemporaneamente il servizio cinema dell’Ansa. Si capisce che il conflitto d’interessi non sia materia appassionante, la prevenzione cioè del conflitto. Ma il problema è: i critici applaudono perché sono italiani, o perché sono (ex) sovietizzanti?
Ieri la Cassazione dice che la loggia P 3 non sembra una loggia, e non è una P3. Oggi, venerdi, il giudice della P 3 diffonde una testimonianza di uno degli accusati contro Berlusconi. Uno che dice tutto e il contrario di tutto, e quindi che Berlusconi è il capo della P 3. Il “Corriere della sera” diligente sabato dedica a questa testimonianza una pagina, facendone la verità. Poi dicono che Berlusconi vince le elezioni. Criticando i giudici, come ha fatto a Mosca mentre il giudice Capaldo diffondeva i verbali.
“Se le andava cercando” dice l’onorevole Andreotti in tv dell’avvocato Ambrosoli, che
in qualità di liquidatore delle banche di Sindona fu fatto assassinare dallo stesso Sindona. Bonariamente, certo, Andreotti parla solo bonariamente, anche se nessuno di quelli a cui tira le orecchie poi gli sopravvive. Compreso Sindona, di cui pure era amico, nonché cobanchiere in Vaticano, per conto del papa luciferino Paolo VI.
Resta da sapere perché Andreotti fu lo statista del Pci di Berlinguer. Che nel 1984, proprio su Sindona e i conti vaticani, ne impedì la censura alla Camera uscendo dall’aula al momento del voto. E sì che Andreotti era ministro allora dell’odiato Craxi (sarebbe bastato uno sgambetto a Andreotti per far crollare Craxi).
Un solo Procuratore della Repubblica a Enna, per settemila procedimenti penali l’anno, 35 per ogni giorno di lavoro, in una zona mafiogena. Mentre a Trani, alla periferia di Bari, nove Procuratori si crogiolano aspettando d’intercettare il nome di Berlusconi al telefono.
D’Alema offre a Casini la presidenza del consiglio. In un centrosinistra senza Idv e senza Rifondazione. Non è uno scherzo, stanno trattando.
Fini dice Berlusconi “stalinista”.
Il processo breve prevede tre anni per il giudizio di primo grado, due per il secondo e sei mesi per il terzo. Uno che va sotto processo senza colpa due volte nella vita ci spreca insomma dodici anni. Ma questo non basta alle vestali della legalità, ai giudici cioè e a Di Pietro, Travaglio, Flores d’Arcais eccetera. Che legalità è questa?
Per la terza, o quarta, volta in un mese Cicchitto e Calderisi devono scrivere una lettera al “Corriere della sera” per spiegare i progetti di legge del Pdl, il loro partito. Non hanno diritto di presenza tra i redattori del politico del giornale?
Per la terza, o quarta, volta il direttore de Bortoli pubblica la loro lettera in evidenza, come un articolo. Nemmeno lui riesce a parlare con i redattori del politico?
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