Fini stabilisce un record nelle inchieste penali: è iscritto tra gli indagati e due ore è “archiviato”. È il nuovo protettore dei privilegi dei giudici, come già dei sottufficiali dell'Aeronautica nell'eroica tenzone contro Tremonti, che voleva fargli pagare l'alloggio di servizio, benché con lo sconto del 40 per cento: san Fini di Montecitorio. Senza bisogno di processo, non di canonizzazione, il suo antifascismo militante è già roba divino.
La prevista archiviazione dell’appartamento di Montecarlo non ha potuto evitare di notare – i giudici sono furbi – che l’affare poteva valere di più, e anche molto di più, che la vendita fu decisa e eseguita personalmente da Fini, e che il locatore e il venditore “sembrano” coincidere – il cognato Tulliani. Ma non succede nulla. Fini non si dimette, e nessuno si scandalizza. Nessuno si scandalizza, nei grandi giornali, della sentenza.
Il Procuratore di Roma Ferrara ha trovato poi senza problema il giorno giusto per l’archiviazione: non il prossimo alluvione ma le feste di Berlusconi con le minorenni.
sabato 30 ottobre 2010
Stili di vita milanesi: Berlusconi e i suoi giudici
La cosa più atroce è che la ragazza dice la verità: che la pagavano settemila euro per presenziare alle cene a inviti a casa di Berlusconi. Come una cantante di nome, o un’ottima intrattenitrice, per una serata. Ingaggiata attraverso un agente, Lele Mora, o l’igienista dentale onorevole Minetti – magari i due sono in ditta? Nello stesso clima estetico, se Lele Mora se la voleva affiliare (forse per tenere in casa il malloppo?) si capisce che la Minetti se la sia fatta affidare, anche a costo di scomodare Berlusconi per una telefonata d’imperio.
La cosa atroce non è, come dicono i preti, che Berlusconi abbia la mania delle ragazze. No, in questo è fortunato. Squallido è lo “stile di vita” che Berlusconi rivendica con orgoglio: che pratica persone mai viste, che non gli danno nulla a parte la bella presenza (le troie di Bari nemmeno quello, erano proprio donne di strada), né conversazione, né eleganza, né sesso, giusto per “pagarle”. Come possiede dodici o ventiquattro ville, in molte delle quali non è mai stato.
Politicamente, questo certo pesa: il fatto che Berlusconi non si renda minimamente conto dello squallore di questo stile di vita. Un anno dopo la visita di cortesia con relativo scandalo a Naomi: è un politico che non capisce, non recepisce. Ma il fatto politico vero è il controllo minuto di Berlusconi. Attraverso gli uomini della scorta e attraverso i telefoni, come si vede. In questo caso con una serie di telefonate di agenti e carabinieri di cui non si dà l’identità (non c’è processo…) e che tutti sanno veri, anonimi veri e non inventati. Con una selezione accurata, al pettine fine, dei motivi possibili d’incolpazione. Fino a trovare la telefonata alla questura, sulla quale è possibile poi mettere in scena tutta la sceneggiata. E senza più nessuna scusa apparente: Berlusconi non è più intercettato accidentalmente, è intercettato e basta. La copertura è solo formale, e anzi sprezzante: Bruti Liberati che nega le indagini, nel mentre che le diffonde con spreco di informative, e poi accusa di sfruttamento della prostituzione Emilio Fede, oltre al solito Mora… Se non fosse il solito golpe del non-governo, sarebbe un’operetta. Molto mitteleuropea, lombarda.
Ma tutto è (bene) organizzato, come si vede. E all’opera, altra evidenza, è un complesso molto numeroso: di giornalisti, anche non della giudiziaria, di giudici, e di militari di vario tipo, in servizio e non. Con antenne ovunque, nei trasferimenti di Berlusconi attraverso la Campania, caso Noemi, in tutte le sue case, tra la prostituzione di Bari e, evidentemente, a palazzo Chigi. Molto selettiva, specie i giornalisti, senza nessun timore di venire sbugiardati. In una delle tante interviste di cui la nuova eroina beneficia, tutte pagate, afferma che il magistrato era interessato a sapere da lei soltanto di Berlusconi. Ma questo non c’è nei maggiori giornali.
La cosa atroce non è, come dicono i preti, che Berlusconi abbia la mania delle ragazze. No, in questo è fortunato. Squallido è lo “stile di vita” che Berlusconi rivendica con orgoglio: che pratica persone mai viste, che non gli danno nulla a parte la bella presenza (le troie di Bari nemmeno quello, erano proprio donne di strada), né conversazione, né eleganza, né sesso, giusto per “pagarle”. Come possiede dodici o ventiquattro ville, in molte delle quali non è mai stato.
Politicamente, questo certo pesa: il fatto che Berlusconi non si renda minimamente conto dello squallore di questo stile di vita. Un anno dopo la visita di cortesia con relativo scandalo a Naomi: è un politico che non capisce, non recepisce. Ma il fatto politico vero è il controllo minuto di Berlusconi. Attraverso gli uomini della scorta e attraverso i telefoni, come si vede. In questo caso con una serie di telefonate di agenti e carabinieri di cui non si dà l’identità (non c’è processo…) e che tutti sanno veri, anonimi veri e non inventati. Con una selezione accurata, al pettine fine, dei motivi possibili d’incolpazione. Fino a trovare la telefonata alla questura, sulla quale è possibile poi mettere in scena tutta la sceneggiata. E senza più nessuna scusa apparente: Berlusconi non è più intercettato accidentalmente, è intercettato e basta. La copertura è solo formale, e anzi sprezzante: Bruti Liberati che nega le indagini, nel mentre che le diffonde con spreco di informative, e poi accusa di sfruttamento della prostituzione Emilio Fede, oltre al solito Mora… Se non fosse il solito golpe del non-governo, sarebbe un’operetta. Molto mitteleuropea, lombarda.
Ma tutto è (bene) organizzato, come si vede. E all’opera, altra evidenza, è un complesso molto numeroso: di giornalisti, anche non della giudiziaria, di giudici, e di militari di vario tipo, in servizio e non. Con antenne ovunque, nei trasferimenti di Berlusconi attraverso la Campania, caso Noemi, in tutte le sue case, tra la prostituzione di Bari e, evidentemente, a palazzo Chigi. Molto selettiva, specie i giornalisti, senza nessun timore di venire sbugiardati. In una delle tante interviste di cui la nuova eroina beneficia, tutte pagate, afferma che il magistrato era interessato a sapere da lei soltanto di Berlusconi. Ma questo non c’è nei maggiori giornali.
I paladini del “papello”
I giornali locali non si appassionano molto, anche “Repubblica”, che conosce i suoi giudici, è piuttosto tiepida. Ma per il “Corriere della sera” e per “La Stampa” dell’infausto La Licata, celebratore della “saga dei Ciancimino” per l’editore Feltrinelli, la questione del papello è di vitale importanza. La prima notizia di cronaca. La questione cioè se non fu “lo Stato” a far ammazzare i giudici Falcone e Borsellino. Lo Stato, cioè Mancino, Martelli, gente così. Chi dice il contrario merita una riga, chi sostiene la tesi ha paginate. La tesi, cioè, che al Sud l’ignominia non è mai abbastanza. Sostenuta, come sempre, con la fattiva partecipazione di gente del Sud, nella fattispecie le Procure di Palermo e Caltanissetta.
Roba da opera dei pupi, da “vile fellone, tirati di panza!”, i paladini parlano così, ornato, se non fosse roba da far accapponare la pelle. Ciancimino jr., che non è un pentito, da tempo avrebbe dovuto essere inquisito come mafioso, per mille e uno motivi, e invece viene portato a testimone d’accusa. Non ha nessuna credibilità, e invece gli viene attribuita la massima credibilità. Promette da due anni carte che non ha, ma è come se le avesse prodotte. Adesso i giudici hanno scovato un maresciallo che ha sequestrato delle carte in casa di Ciancimino padre, ma non saprebbe dire di che parlavano. Avevano però attaccati vari post-it gialli, e Ciancimino jr. ha detto che al papello originale era attaccato un post-it giallo. E dunque il complotto c’è stato… Ciancimino jr. è il martello dei giudici di Palermo contro alcuni loro personali obiettivi, l’avvocato Mormino e Dell’Utri i più noti. Senza scandalo.
Tutto sarebbe ridicolo, opera dei pupi,se non fosse inteso a scoraggiare la combattività delle forze dell’ordine – “Stampa” e “Corriere della sera” si limitano a inzuppare il pane. Nessuna ignominia è sconosciuta nelle Procure e nell’antimafia siciliane. Basta ricordare come Falcone soprattutto (ma anche Borsellino) fu messo nel mirino delle cosche siciliane da Leoluca Orlando e Michele Santoro in tv, più di una volta. Col fattivo supporto di sostituti procuratori “concorrenti” di Falcone, e poi di Borsellino.
Roba da opera dei pupi, da “vile fellone, tirati di panza!”, i paladini parlano così, ornato, se non fosse roba da far accapponare la pelle. Ciancimino jr., che non è un pentito, da tempo avrebbe dovuto essere inquisito come mafioso, per mille e uno motivi, e invece viene portato a testimone d’accusa. Non ha nessuna credibilità, e invece gli viene attribuita la massima credibilità. Promette da due anni carte che non ha, ma è come se le avesse prodotte. Adesso i giudici hanno scovato un maresciallo che ha sequestrato delle carte in casa di Ciancimino padre, ma non saprebbe dire di che parlavano. Avevano però attaccati vari post-it gialli, e Ciancimino jr. ha detto che al papello originale era attaccato un post-it giallo. E dunque il complotto c’è stato… Ciancimino jr. è il martello dei giudici di Palermo contro alcuni loro personali obiettivi, l’avvocato Mormino e Dell’Utri i più noti. Senza scandalo.
Tutto sarebbe ridicolo, opera dei pupi,se non fosse inteso a scoraggiare la combattività delle forze dell’ordine – “Stampa” e “Corriere della sera” si limitano a inzuppare il pane. Nessuna ignominia è sconosciuta nelle Procure e nell’antimafia siciliane. Basta ricordare come Falcone soprattutto (ma anche Borsellino) fu messo nel mirino delle cosche siciliane da Leoluca Orlando e Michele Santoro in tv, più di una volta. Col fattivo supporto di sostituti procuratori “concorrenti” di Falcone, e poi di Borsellino.
mercoledì 27 ottobre 2010
Il Grande Fratello al Partito
Maria Teresa Meli scopre che il partito Democratico scheda i giornalisti. Niente a che vedere, precisa, con “certe pratiche della polizia”. Niente vizi sessuali, per dire, abusi di alcol o droghe. “Semplicemente”, dice, dei “rappresentanti della stampa” si specificano “le tendenza politiche”. Una cosa più fastidiosa che pericolosa, e che tuttavia riporta all’antico vizio del Pci, dice la giornalista. E porta a inquadrare le cronache politiche in un’ottica Amico\Nemico, di pregiudizio.
È vero, il vizio è vecchio, da Terza Internazionale. Ma ne ha sempre le perversioni, seppure alleviate dai vaccini intanto intercorsi, prima e dopo la caduta del Muro. L’ottica Amico\Nemico è viva e perversa, e non innocua come dice Meli, per almeno due motivi. Uno è che non si parla con certi giornalisti e anzi si considerano nemici a priori. Non c’è vera informazione, e anzi non c’è dialettica con l’informazione, ma solo degli ordini dati, a cui i cronisti si devono conformare – e a cui evidentemente si conformano, almeno una parte di essi, gli “amici”. I cronisti si devono conformare, e anche i giornali: Maria Tersa Meli questa notizia per tanti aspetti interessanti non l’ha potuta dare sul suo giornale, il “Corriere della sera”, ma sul supplemento femminile “Io Donna”, e non in un articolo, che avrebbe meritato, ma in un a rubrichino perduta tra le fruscianti pubblicità.
Il secondo motivo è che le informazioni (ma sono veri dossier) del Partito vengono da altri giornalisti. Dai compagni cioè di lavoro. Non si tratta della normale attività di un ufficio stampa, che parla volentieri con alcuni giornalisti e con altri no, ma della raccolta sistematica di odiose informazioni. Una raccolta non organizzata, ciò comporterebbe una struttura e un costo, e tuttavia automatica, per un riflesso condizionato che è un imprinting. Di cui non si può non vedere l’anomalia, per non dire la miseria morale.
C’è da aggiungere che con i Nemici il Partito era nel vecchio sistema spietato: non solo non ci aveva scambio, ma li isolava e li annichiliva. Cosa che naturalmente non si può imputare al buon Bersani, ma che tuttavia continua ad avvenire, alla Rai e nei grandi giornali. Inoltre si è Nemici spesso senza volerlo, il sistema è ancora autoreferente, come il vecchio Partito: i Nemici sono imprevedibili – magari uno è colpevole di aver fatto una volta un’intervista a Veltroni, oppure a D’Alema. Per Stalin erano nemici soprattutto i socialisti, mentre i capitalisti, e a lungo i nazisti, furono utili e affidabili – uno schema che, addolcito dai vaccini, sembra dominare questa Seconda Repubblica: meglio Bossi e Dini di Bertinotti, meglio Fini di Vendola.
È vero, il vizio è vecchio, da Terza Internazionale. Ma ne ha sempre le perversioni, seppure alleviate dai vaccini intanto intercorsi, prima e dopo la caduta del Muro. L’ottica Amico\Nemico è viva e perversa, e non innocua come dice Meli, per almeno due motivi. Uno è che non si parla con certi giornalisti e anzi si considerano nemici a priori. Non c’è vera informazione, e anzi non c’è dialettica con l’informazione, ma solo degli ordini dati, a cui i cronisti si devono conformare – e a cui evidentemente si conformano, almeno una parte di essi, gli “amici”. I cronisti si devono conformare, e anche i giornali: Maria Tersa Meli questa notizia per tanti aspetti interessanti non l’ha potuta dare sul suo giornale, il “Corriere della sera”, ma sul supplemento femminile “Io Donna”, e non in un articolo, che avrebbe meritato, ma in un a rubrichino perduta tra le fruscianti pubblicità.
Il secondo motivo è che le informazioni (ma sono veri dossier) del Partito vengono da altri giornalisti. Dai compagni cioè di lavoro. Non si tratta della normale attività di un ufficio stampa, che parla volentieri con alcuni giornalisti e con altri no, ma della raccolta sistematica di odiose informazioni. Una raccolta non organizzata, ciò comporterebbe una struttura e un costo, e tuttavia automatica, per un riflesso condizionato che è un imprinting. Di cui non si può non vedere l’anomalia, per non dire la miseria morale.
C’è da aggiungere che con i Nemici il Partito era nel vecchio sistema spietato: non solo non ci aveva scambio, ma li isolava e li annichiliva. Cosa che naturalmente non si può imputare al buon Bersani, ma che tuttavia continua ad avvenire, alla Rai e nei grandi giornali. Inoltre si è Nemici spesso senza volerlo, il sistema è ancora autoreferente, come il vecchio Partito: i Nemici sono imprevedibili – magari uno è colpevole di aver fatto una volta un’intervista a Veltroni, oppure a D’Alema. Per Stalin erano nemici soprattutto i socialisti, mentre i capitalisti, e a lungo i nazisti, furono utili e affidabili – uno schema che, addolcito dai vaccini, sembra dominare questa Seconda Repubblica: meglio Bossi e Dini di Bertinotti, meglio Fini di Vendola.
Il best-seller si vuole di Partito?
Un legal thriller in cui non c’è nessuna trovata legale. Né suspense. Né una vicenda, trecento pagine di niente. Un avvocato cialtrone che la moglie giustamente caccia di casa, personaggi inerti, divagazioni noiose (i racchettoni odiati, il corso anti-alcool, cinque pagine, l’amica grassa, tre pagine, una collega, cinque…), e un errore giudiziario evitato casualmente. Senza che il morto – un bambino! – via abbia alcun rilievo. È il best-seller del Millennio. Per la piattezza? Per complicità – Carofiglio si premura di dirsi comunista, in corsivo?
È la storia di un caso irrisolto, ormai tipico della cronaca giudiziaria. Che a questo punto, se si vende in quaranta edizioni, è quello che piace al pubblico: l’indagine sbagliata. Per la barriera che s’è creata, se non è disprezzo, con gli sbirri e i giudici. Carofiglio, scrittore giudice, potrebbe esserne una riprova.
Gianfranco Carofiglio, Testimone inconsapevole
È la storia di un caso irrisolto, ormai tipico della cronaca giudiziaria. Che a questo punto, se si vende in quaranta edizioni, è quello che piace al pubblico: l’indagine sbagliata. Per la barriera che s’è creata, se non è disprezzo, con gli sbirri e i giudici. Carofiglio, scrittore giudice, potrebbe esserne una riprova.
Gianfranco Carofiglio, Testimone inconsapevole
martedì 26 ottobre 2010
Quando la destra si fa sinistra
Da un lato lo scalcinato Lavitola, e le carte di uno staterello scalcinato. Dall’altro il montezemolo napoletano Woodcock, la Procura di Roma e il Principato di Monaco, una serie di procuratori della Repubblica che ogni giorno riempiono le cronache con indagini su Berlusconi, i giornali “Repubblica”, “La Stampa” e il “Corriere della sera”, Bazoli, i fratelli Elkann, il Montezemolo vero, Carlo De Benedetti, un Ordine e un Sindacato dei giornalisti che non muovono ciglio quando i carabinieri, per la prima volta nella storia della Repubblica, prendono d’assalto un giornale, il “Giornale” di Berlusconi. Non c’è partita. Anche Feltri, che dal “Giornale” aveva tentato la dissidenza, mostra di accettare infine la realtà: c’è un’organizzazione molto strutturata e ramificata che produce dossier, è in grado di produrne e diffonderne anche uno al giorno, grazie alle antenne che ha nei migliori giornali, all’Ansa e nella Rai, probabilmente nello stesso “Giornale”, in grado di “uccidere” (si dice così in inglese, “kill the news”) qualsiasi notizia scomoda.
Non è una novità. Questo sito in pochi anni ha avuto una diecina d’occasioni di denunciare questo malcostume. Ma è un po’ di più che un fatto di costume, a questo punto. Per l’Ordine e la Federazione della stampa è una questione grave di (mancata) deontologia professionale, accettare supinamente che un giornale venga preso d’assalto dai carabinieri, di cui gli iscritti dovrebbero chiedere conto. Per la politica è la certificazione che le carte sono imbrogliate in questa “Seconda Repubblica”: manipolate, alterate, e ora scambiate. Con una serie di fascisti e neo fascisti anche recenti proposti a emblemi e leader della sinistra – Fini che vuole tassare i Bot al 25 per cento non è un’eccezione, anche se è talmente sciocco da imbarazzare i suoi nuovi alleati.
Anche questo fenomeno non è nuovo. Il caso classico si ebbe in Germania nei primi anni Venti, in cui i “Proscritti” del famoso libro di Ernst von Salomon che Giaime Pintor tanto amava, gli ultranazionalisti dei Corpi Liberi, terrorizzavano il paese in combutta con i primi comunisti sovietizzanti. Ma quella destra e quella sinistra unite attendevano la rivoluzione. In questa Seconda Repubblica invece la confusione è un malcostume diffuso e pacchiano, troppo disinvolto. Specie tra i giudici. Di Pietro, per intenderci, Cordova, Woodcock, De Magistris, Boccassini, e quello del pedalino rivoltato che ascese subito in Cassazione, tanti sono di destra, alcuni anche del Msi, che si riciclano a sinistra. Ora, è vero che Fini rinnova i fasti del partito di lotta e di governo, ma è semrpe lui, Fini.
L’occupazione da parte della destra è certo il segno più amaro della crisi della sinistra, aperta dal “muoia Sansone con tutti i filistei” decretato da Occhetto alla caduta del Muro. La sinistra è ora una prateria, senza argini e senza orientamenti, aperta alle scorrerie dei furbi. Di cui i giudici sono la cima dell’iceberg, o la parte manifesta. Il grosso sono gli interessi del “non governo”, o del “governo attraverso la crisi”, killer dalla mani pulite ma micidiali. Anche perché controllano e gestiscono i giornali e, come si vede, i giornalisti.
Non è una novità. Questo sito in pochi anni ha avuto una diecina d’occasioni di denunciare questo malcostume. Ma è un po’ di più che un fatto di costume, a questo punto. Per l’Ordine e la Federazione della stampa è una questione grave di (mancata) deontologia professionale, accettare supinamente che un giornale venga preso d’assalto dai carabinieri, di cui gli iscritti dovrebbero chiedere conto. Per la politica è la certificazione che le carte sono imbrogliate in questa “Seconda Repubblica”: manipolate, alterate, e ora scambiate. Con una serie di fascisti e neo fascisti anche recenti proposti a emblemi e leader della sinistra – Fini che vuole tassare i Bot al 25 per cento non è un’eccezione, anche se è talmente sciocco da imbarazzare i suoi nuovi alleati.
Anche questo fenomeno non è nuovo. Il caso classico si ebbe in Germania nei primi anni Venti, in cui i “Proscritti” del famoso libro di Ernst von Salomon che Giaime Pintor tanto amava, gli ultranazionalisti dei Corpi Liberi, terrorizzavano il paese in combutta con i primi comunisti sovietizzanti. Ma quella destra e quella sinistra unite attendevano la rivoluzione. In questa Seconda Repubblica invece la confusione è un malcostume diffuso e pacchiano, troppo disinvolto. Specie tra i giudici. Di Pietro, per intenderci, Cordova, Woodcock, De Magistris, Boccassini, e quello del pedalino rivoltato che ascese subito in Cassazione, tanti sono di destra, alcuni anche del Msi, che si riciclano a sinistra. Ora, è vero che Fini rinnova i fasti del partito di lotta e di governo, ma è semrpe lui, Fini.
L’occupazione da parte della destra è certo il segno più amaro della crisi della sinistra, aperta dal “muoia Sansone con tutti i filistei” decretato da Occhetto alla caduta del Muro. La sinistra è ora una prateria, senza argini e senza orientamenti, aperta alle scorrerie dei furbi. Di cui i giudici sono la cima dell’iceberg, o la parte manifesta. Il grosso sono gli interessi del “non governo”, o del “governo attraverso la crisi”, killer dalla mani pulite ma micidiali. Anche perché controllano e gestiscono i giornali e, come si vede, i giornalisti.
I carabinieri e il terrore a Rignano Flaminio
La scuola di Rignano Flaminio aveva un’uscita secondaria, il registro delle presenze non era accurato. Una giornata di deposizione al processo, dopo un anno di indagini, non ha estratto dal capitano dei Carabinieri Capobianco di Bracciano, che ha formulato il capo d’accusa, altre verità. Come se i registri delle presenze nelle scuole degli ottomila comuni italiani fossero tavole della legge, e l’uscita secondaria non fosse al catasto, ma un segreto degli orchi. È l’altro buco nero della giustizia italiana: la capacità, o incapacità, di indagine. Singolarmente carente anche in casi ben più tragici, soddisfacendosi solitamente di allinearsi e coprirsi con le nevrosi e le fobie del momento: per sei mesi si perseguono i pedofili, per sei gli usurai, per sei gli stupratori, per sei gli impiegati del catasto che prendono troppi caffè, e questo assolve da ogni prevenzione o repressione di specifici delitti.
Benché anche il caso di Rignano non sia lieve: tre o quattro generazioni di bambini ne resteranno marchiati a vita. Per l’impudenza di un paio di genitori, che hanno scaricato sulle maestre, e sui figli, le loro fantasie perverse. E per l’incapacità di chi ha voluto e condotto le indagini, fin dall’inizio con un intento dichiaratamente colpevolista: bisogna assolutamente che ci siano dei casi di pedofilia in ogni Procura. Di questo caso peraltro si può parlare perché non ci sarà risarcimento: i giudici e gli inquirenti non saranno chiamati a rispondere della loro vanità, le maestre saranno solo contente di liberarsi dalle loro grinfie. Né i bambini potranno mai chiederne conto ai genitori. I bambini sono sempre vittime degli adulti, naturalmente, è una dipendenza inscalfibile. Ma una vera giustizia dovrebbe ogni tanto chiederne conto agli adulti, quando peccano di leggerezza, o di perversione.
Benché anche il caso di Rignano non sia lieve: tre o quattro generazioni di bambini ne resteranno marchiati a vita. Per l’impudenza di un paio di genitori, che hanno scaricato sulle maestre, e sui figli, le loro fantasie perverse. E per l’incapacità di chi ha voluto e condotto le indagini, fin dall’inizio con un intento dichiaratamente colpevolista: bisogna assolutamente che ci siano dei casi di pedofilia in ogni Procura. Di questo caso peraltro si può parlare perché non ci sarà risarcimento: i giudici e gli inquirenti non saranno chiamati a rispondere della loro vanità, le maestre saranno solo contente di liberarsi dalle loro grinfie. Né i bambini potranno mai chiederne conto ai genitori. I bambini sono sempre vittime degli adulti, naturalmente, è una dipendenza inscalfibile. Ma una vera giustizia dovrebbe ogni tanto chiederne conto agli adulti, quando peccano di leggerezza, o di perversione.
lunedì 25 ottobre 2010
Fini a Berlino, l’impresentabile Seconda Repubblica
È lui che ha salvato la Fiat, con “i sacrifici degli italiani”. Non Marchionne, che è “un canadese” – si vede che il Canada non si è prestato al suo tour diplomatico. E ora va a Berlino a salvare le relazioni dell’Italia con la Germania, niente di meno. Occupa la scena internazionale, non sapendo fare altro oltre ai viaggi, grazie alle sudditanze diplomatiche acquisite da ministro degli Esteri, ma, seppure la rappresenta bene, rappresenta l’impresentabile Seconda Repubblica. Di piccoli opportunisti, avocatori della questione morale che calpestano a ogni passo, e incapaci più che molesti, ma per questo dannosissimi alla Repubblica, che hanno portato allo stremo. Una Repubblica che è sotto gli occhi di tutti: mediocre e cinica, e anche corrotta, che giustamente è tutta per Fini. Ne è il leader “naturale”, e in questo senso il vero erede di Andreotti cinico e baro: Fini non è altro - non ha mai saputo che cos'è, ma è proprio questo.
Si ricostruisce l'ennesima nuova faccia politica all’insegna della guerra al partito del capo o carismatico. Ma non ha fatto altro dacché esiste, quando capitanava il Fronte della gioventù neofascista. Uno che non ha mai fatto nulla in vita sua, salvo coltivare la sua immaginetta. Ora più che mai che dal Msi violento si vuole passato all’estrema sinistra. Vuole dare la casa e il voto agli immigrati, e vuole tassare i Bot al 25 per cento. Dopo aver fatto una legge spregevole, la sola cosa che ha fatto in quasi sessant’anni, contro gli immigrati, e le famiglie che ne hanno bisogno.
Fa ora visite “di Stato”, cioè a spese dello Stato, ogni tre giorni. Indifferentemente, dall’Africa a Londra, basta che comportino il diritto di comparire ai telegiornali. Che va bene poiché ci libera dall'incubo del suo fidato Bocchino ogni giorno sui tg, ma è solo espediente al culto della persona. L’ambiziosa missione a Berlino, per una fotina con la cancelliera Merkel, è d’altra parte l’unica iniziativa in due anni nella capitale tedesca del fedelissimo ambasciatore Valensise, uno che, dice il curriculum , “oltre alla lingua madre”, parla quattro lingue. Da ex ministro degli Esteri, mette a frutto i “movimenti” di diplomatici, ora impegnatissimi a cercargli interlocutori ai quali possa stringere la mano. È il tipico esercizio di potere del piccolo politicante. Come già aveva messo in moto i Procuratori Capo da lui favoriti come vicepresidente del consiglio, dall’Aquila a Firenze e Roma. Li aveva messi in moto contro i suoi amici politici, Berlusconi e soci.
Tutto questo, è vero, lo fa un grande politico andreottiano. Anzi di più: se c’è uno che impersona l’impresentabile Seconda Repubblica è lui. Più cinico, incapace e profittatore dei Casini e gli altri rottami che l’alluvione Berluusconi ha portato a galla, e dei tanti spezzoni del Pci che Prodi sempre con difficoltà e per poco è riuscito a tenere a freno. Sempre al coperto della questione morale, Uno che sposta gli ambasciatori, con la pingue cooperazione allo sviluppo. E i giudici, il napoletano Woodcok, che ha preso d’assalto Feltri e l’ha messo a tacere, il Procuratore di Roma Ferrara che aspetta l’occasione – uno sciopero dei giornalisti per la libertà d’espressione, così minacciata? – per archiviare l’inchiesta sulla casa di Montecarlo che non ha fatto. E usa la Rai per i suoi parenti, acquisiti.
Si ricostruisce l'ennesima nuova faccia politica all’insegna della guerra al partito del capo o carismatico. Ma non ha fatto altro dacché esiste, quando capitanava il Fronte della gioventù neofascista. Uno che non ha mai fatto nulla in vita sua, salvo coltivare la sua immaginetta. Ora più che mai che dal Msi violento si vuole passato all’estrema sinistra. Vuole dare la casa e il voto agli immigrati, e vuole tassare i Bot al 25 per cento. Dopo aver fatto una legge spregevole, la sola cosa che ha fatto in quasi sessant’anni, contro gli immigrati, e le famiglie che ne hanno bisogno.
Fa ora visite “di Stato”, cioè a spese dello Stato, ogni tre giorni. Indifferentemente, dall’Africa a Londra, basta che comportino il diritto di comparire ai telegiornali. Che va bene poiché ci libera dall'incubo del suo fidato Bocchino ogni giorno sui tg, ma è solo espediente al culto della persona. L’ambiziosa missione a Berlino, per una fotina con la cancelliera Merkel, è d’altra parte l’unica iniziativa in due anni nella capitale tedesca del fedelissimo ambasciatore Valensise, uno che, dice il curriculum , “oltre alla lingua madre”, parla quattro lingue. Da ex ministro degli Esteri, mette a frutto i “movimenti” di diplomatici, ora impegnatissimi a cercargli interlocutori ai quali possa stringere la mano. È il tipico esercizio di potere del piccolo politicante. Come già aveva messo in moto i Procuratori Capo da lui favoriti come vicepresidente del consiglio, dall’Aquila a Firenze e Roma. Li aveva messi in moto contro i suoi amici politici, Berlusconi e soci.
Tutto questo, è vero, lo fa un grande politico andreottiano. Anzi di più: se c’è uno che impersona l’impresentabile Seconda Repubblica è lui. Più cinico, incapace e profittatore dei Casini e gli altri rottami che l’alluvione Berluusconi ha portato a galla, e dei tanti spezzoni del Pci che Prodi sempre con difficoltà e per poco è riuscito a tenere a freno. Sempre al coperto della questione morale, Uno che sposta gli ambasciatori, con la pingue cooperazione allo sviluppo. E i giudici, il napoletano Woodcok, che ha preso d’assalto Feltri e l’ha messo a tacere, il Procuratore di Roma Ferrara che aspetta l’occasione – uno sciopero dei giornalisti per la libertà d’espressione, così minacciata? – per archiviare l’inchiesta sulla casa di Montecarlo che non ha fatto. E usa la Rai per i suoi parenti, acquisiti.
La politica che non fu salesiana
L’arbitro Trentalange ha introdotto una nota diversa alla “Domenica Sportiva”, incoraggiando i bambini a iscriversi, e le famiglie a iscrivere i bambini, ai corsi per allievi arbitri di cui è incaricato. Irriso dai burattini della trasmissione, che l’hanno subito ingaggiato a giudicare se Krasic, il solito calciatore della Juventus, non è un simulatore, da squalificare e lapidare. Nulla di eccezionale la ricetta di Trentalange, ma quanto promettente: “Farete una sana attività sportiva, senza alcun rischi per la salute. E imparerete a giudicare, presto e bene, che è la funzione più elevata che un essere umano possa esercitare”, ha detto rivolto agli aspiranti arbitri e ai genitori. “Avrete l’occasione di conoscere l’Italia viaggiando, e avrete anche i biglietti per le manifestazioni sportive”, ha aggiunto, insomma: vedrete la partita gratis. È la ricetta salesiana, Trentalange insegna in scuole salesiane, del buono che non è necessariamente il meglio o l’ottimo, ma è funzionale. E, senza vergogna, redditizio, dà insomma soddisfazioni. Un misto di uso intelligente delle risorse a disposizione e di lassismo, potrebbero dire gli intransigenti lamalfiani dell’etica italica, o “etica protestante”, e tuttavia semplice, produttivo, democratico.
È una pedagogia che molti hanno praticato, sia pure esteriormente, all’oratorio il pomeriggio, ma di cui non si parla, tanto sembra banale. E invece è socializzante, l’unica tra quelle religiose, non volendo né ascesi né intrigo. Che esercita l’understatement, “povero ma pulito”, “poco ma buono”, figura retorica che non c’è in italiano, don Bosco l’avrà trovata in campagna. E il giusto mezzo. Che in politica fa il cretino - sarà per questo che Huysmans confidava dei salesiani all’abate Mugnier: “Sono di bassissimo livello intellettuale”. E tuttavia di socialità diretta, innestata sulla pulizia, e sull’affabilità, l’umore stabile, la sprezzatura. Doti in realtà non nocive né indifferenti in politica.
La scuola, che è autoritaria, i salesiani fanno liberale, senza nemici – non le leggi Siccardi un tempo, non il comunismo poi. Con una sorta di obbligo del gruppo: ben prima della sociologia comportamentale, don Bosco non voleva lupi solitari. Lo sport elevando così a coronamento di una quieta psicologia. Le pulsioni questa pedagogia stempera in una modesta ma libera conflittualità, anche competitiva: è giusto essere buoni calciatori, attori, cantori, studenti - anche devoti, ma con sospetto.
Poiché Berlusconi ha rivendicato, tra le altre, le ascendenze salesiane, questo blog va a proscritto al “Berlusconi 4 – l’uomo del non fare”. È un capitale che Berlusconi ha dilapidato. Perfino mentre aveva, e ha, un salesiano a capo del Vaticano, il cardinale Bertone. Non semplice e fattivo, ma litigioso al chiuso con gli avvocati, tra cause che gli fanno e cause che fa o minaccia. Non propositivo ma indispettito e antagonista. Si capisce che sia rimasto vittima di nullità come Fini, Casini gli altri suoi innumerevoli beneficati.
È una pedagogia che molti hanno praticato, sia pure esteriormente, all’oratorio il pomeriggio, ma di cui non si parla, tanto sembra banale. E invece è socializzante, l’unica tra quelle religiose, non volendo né ascesi né intrigo. Che esercita l’understatement, “povero ma pulito”, “poco ma buono”, figura retorica che non c’è in italiano, don Bosco l’avrà trovata in campagna. E il giusto mezzo. Che in politica fa il cretino - sarà per questo che Huysmans confidava dei salesiani all’abate Mugnier: “Sono di bassissimo livello intellettuale”. E tuttavia di socialità diretta, innestata sulla pulizia, e sull’affabilità, l’umore stabile, la sprezzatura. Doti in realtà non nocive né indifferenti in politica.
La scuola, che è autoritaria, i salesiani fanno liberale, senza nemici – non le leggi Siccardi un tempo, non il comunismo poi. Con una sorta di obbligo del gruppo: ben prima della sociologia comportamentale, don Bosco non voleva lupi solitari. Lo sport elevando così a coronamento di una quieta psicologia. Le pulsioni questa pedagogia stempera in una modesta ma libera conflittualità, anche competitiva: è giusto essere buoni calciatori, attori, cantori, studenti - anche devoti, ma con sospetto.
Poiché Berlusconi ha rivendicato, tra le altre, le ascendenze salesiane, questo blog va a proscritto al “Berlusconi 4 – l’uomo del non fare”. È un capitale che Berlusconi ha dilapidato. Perfino mentre aveva, e ha, un salesiano a capo del Vaticano, il cardinale Bertone. Non semplice e fattivo, ma litigioso al chiuso con gli avvocati, tra cause che gli fanno e cause che fa o minaccia. Non propositivo ma indispettito e antagonista. Si capisce che sia rimasto vittima di nullità come Fini, Casini gli altri suoi innumerevoli beneficati.
Sotto il vulcano, la Fiat e i suoi padroni
Non un euro in due anni dal governo alla Fiat, ha detto Marchionne a Fazio. Anni di durissima opposizione dei padroni della Fiat, i fratelli Elkann, nei salotti e sulla “Stampa”, direttamente e tramite l’inverosimile Montezemolo. Divertendosi a magnificare Nichi Vendola e l’Italia dei diritti (“l’Italia della felicità”…) o l’Italia dei rottamatori, o il presidente Fini, che pretende di avere salvato la Fiat con i soldi degli italiani, tutte le scemenze che vanno in giro, e anzi creandone, tutto pur di mettere in difficoltà il governo. Questo come qualsiasi altro.
Marchionne, italiano cresciuto in Canada, non obietta ma non capisce – benché, anche lui, perché paga un così lauto stipendio a Montezemolo? La Fiat si sa ormai da qualche anno, potrebbe fare a meno degli stabilimenti italiani, guadagnerebbe dal cinquanta al cento per cento di più producendo in Sud America e all’Est. Resta in Italia giusto per mantenere, con l’immagine italiana, la quota di mercato, benché ridotta ormai al trenta per cento. E questo è l’unico dilemma di Marchionne. Che però per il resto, come si è visto da Fazio, non capisce bene, non con altrettanta chiarezza.
Se non le macchine, la Fiat potrebbe fare in Italia lo sviluppo tecnico: le tecnologie hanno ancora accesso ai finanziamenti pubblici. Ma non fa nemmeno questo. E il motivo può essere uno solo: la borghesia italiana non lotta per una macchina venduta in più, ma per poter “lavorare” liberamente ai suoi piccoli e grandi traffici, guadagnare senza lavorare. Da qualsiasi punto si rigiri la questione non si trova altra soluzione. Un po’ come i napoletani che vogliono solo costruire sotto il vulcano. Questi banchieri e “industriali” che rimestano in continuazione le acque per intorbidarle non hanno altro orizzonte che un po di finanza, di soldi gratis. Per i quali la “crisi continua” è opportuna. Non per altro i loro eroi soni i Montezemolo, Fini, Casini, quelli del “morto un governo se ne fa un altro”, indifferentemente tecnico, istituzionale, di solidarietà, a termine – meglio se di pensionati o giovani ruspanti come i famosi governicchi dell’onorevole Andreotti.
Marchionne, italiano cresciuto in Canada, non obietta ma non capisce – benché, anche lui, perché paga un così lauto stipendio a Montezemolo? La Fiat si sa ormai da qualche anno, potrebbe fare a meno degli stabilimenti italiani, guadagnerebbe dal cinquanta al cento per cento di più producendo in Sud America e all’Est. Resta in Italia giusto per mantenere, con l’immagine italiana, la quota di mercato, benché ridotta ormai al trenta per cento. E questo è l’unico dilemma di Marchionne. Che però per il resto, come si è visto da Fazio, non capisce bene, non con altrettanta chiarezza.
Se non le macchine, la Fiat potrebbe fare in Italia lo sviluppo tecnico: le tecnologie hanno ancora accesso ai finanziamenti pubblici. Ma non fa nemmeno questo. E il motivo può essere uno solo: la borghesia italiana non lotta per una macchina venduta in più, ma per poter “lavorare” liberamente ai suoi piccoli e grandi traffici, guadagnare senza lavorare. Da qualsiasi punto si rigiri la questione non si trova altra soluzione. Un po’ come i napoletani che vogliono solo costruire sotto il vulcano. Questi banchieri e “industriali” che rimestano in continuazione le acque per intorbidarle non hanno altro orizzonte che un po di finanza, di soldi gratis. Per i quali la “crisi continua” è opportuna. Non per altro i loro eroi soni i Montezemolo, Fini, Casini, quelli del “morto un governo se ne fa un altro”, indifferentemente tecnico, istituzionale, di solidarietà, a termine – meglio se di pensionati o giovani ruspanti come i famosi governicchi dell’onorevole Andreotti.
I Gran Premi della pioggia
Alonso è l’unica consolazione: pilota vero, scattante, audace, preciso. A Yeongam, in Corea del Sud e altrove. In una Formula Uno in cui tutto il resto è circo, la forma più sbracata di ludi circensi, quella dei gladiatori, un po’ veri e un po’ finti, e sempre atroci, con corse a trecento all’ora sotto piogge battenti al buio di primo pomeriggio. È un circo britannico, allettante e mortale per i concorrenti, come un tempo per i gladiatori, con in più il business ex impero: mettere in cascina le immense risorse dell’Asia, sia pure tra i monsoni, a prezzo di Gran Premi in cui vince la pioggia improvvisa e violenta. Dove la concorrenza è peraltro fittizia, come al wrestling modernamente e nelle altre gare truccate. Perché la Ferrari a Yeongam, come già a Valencia, ha fatto quello che poteva per non vincere (quel bullone avvitato a mano…). Mentre le Red Bull, che avevano vinto, hanno fatto di tutto per perdere. Dice: ma poi la Ferrari ha vinto. Ma quello è Alonso: la Ferrari sta vincendo contro se stessa. Ci voleva un po’ di predominio britannico, dopo i tre-quattro anni Renault-Benetton, e i tre-quattro anni Ferrari-Schumacher. L’incognita Alonso potrebbe anticipare di un anno il ciclo Ferrari.