Alla domanda: "La sua persecuzione quotidiana", del settimanale "D", Alessandro Piperno risponde: "Ogni volta che suona il citofono temo sia la polizia". Sintomatico. Non dell'ottima Piperno certo, di questa Italia kafkiana.
“Caso Ruby, scoppia il giallo dei computer spiati in Procura”, titola “il Messaggero”. Non c’è giallo, e non ci sono computer spiati. Ma è vero che, ogni due giorni, qualcosa scoppia alla Procura di Milano. Troppi gas?
Paolo Mieli, pluridirettore del “Corriere della sera”, va da Santoro e non ha paura di dire che tutte queste battone sparano “su precisa indicazione”. Perché Mieli è romano e non milanese?
Nadia Macrì, che “Repubblica” e il ”Corriere” rappresentano “beata” nella sua casetta in Emilia, in pose lusinghiere da bella giardiniera, vuole fare una conferenza stampa sulle sue trombate con Brunetta e Berlusconi, e la giudice Boccassini deve intervenire per impedirglielo. La puttana è naturalmente più furba del giudice, anche in fatto di pubblicità. Ma ci sono giudici in questa vicenda?
Chiunque abbia usato internet al caffè sa quanto inutile e fastidiosa è la registrazione. Che nessuno mai controlla. Che è incontrollabile. E se anche lo fosse non porterebbe a nessun esito. Ma per il Procuratore antimafia Grasso la sua eliminazione “comprometterà le intercettazioni e le indagini”. Il cuore dei giudici batte solo per le spiate? E che indagini ha fatto il Procuratore Grasso di cui si abbia memoria? L’efficienza è sempre quella dei carabinieri, che controllano il territorio chiedendo i documenti.
All’aeroporto di Malpensa mandano in giro una valigia due minuti dopo che l’aereo è atterrato. Una valigia col cartellino di provenienza ma di cui nessuno è proprietario. A ogni giro sul nastro la valigia è registrata in arrivo dagli specifici voli di cui porta il cartellino, riducendo i tempi medi di consegna dei bagagli. Il tempo medio di consegna dei bagagli è uno dei criteri internazionali per valutare l’efficienza di un aeroporto.
Si aspetta ora di sapere se l’artefice di questa furbata non è un funzionario, o un facchino, napoletano. Potrebbe anche essere siciliano, perché no. Malpensa è un capolavoro di efficienza, non si discute, anche se è l’opera pubblica italiana più costosa, e continua a non funzionare.
John Elkann e Marchionne fanno il giro degli uffici romani senza incontrare Berlusconi. Berlusconi non ha tempo, troppo preso dalle ragazze? O la Fiat continua l’opposizione pura e dura al governo, tentando di convertire al montezemolismo i ministri di Berlusconi?
Delle dieci notizie più lette su Corriere.it nella settimana al 2 novembre quattro sono sul delitto di Avetrana. Emilio Fede viene al terzo posto, in quanto indagato per prostituzione. “La minorenne maghrebina, e la sua vita in fuga” vengono al quinto. Che c’entrano gli italiani con gli scandali?
Tutti assolti al processo calabrese di De Magistris, “Why not”. Dopo aver messo in crisi il governo Prodi. Non tutti sono assolti, trentasei. Tra i cinque che vanno a giudizio spicca l’ex capo del Pd in Calabria, Adamo: l’unica parte seria dell’inchiesta riguarderebbe lui. È la nuova sinistra che attacca il Pd? È la destra?
C’è un business delle esumazioni? Da Caravaggio al bandito Giuliano. Sono le imprese delle esumazioni che pagano i giudici che le ordinano? O pagano i giudici che le ordinano? Per farsi belli un paio di giorni. A spese del magro bilancio, che quel cialtrone di Tremonti non fa che tagliare.
Si parla di Perla Genovesi, la drogata pentita della dottoressa Principato, come se fosse un’eccezione tra le assistenti parlamentari, uno dei tanti piccoli mostri dell’invasione berlusconiana. Mentre è la normalità: è normale tra i parlamentari l’assunzione di droghe, e gli assistenti ne sono intermediari e fornitori. Questo lo sanno anche le pietre a Roma nella cittadella della politica, tra piazza Colonna e l’Argentina. Ma non se ne parla. Le più attive sono le assistenti, che normalmente hanno quel ruolo non per cultura giuridica ma per velinismo, la cosiddetta zona grigia.
Cronache da brividi dalle inchieste contro Berlusconi. In data recente, quando il dottor Forno già si lavorava Ruby, la ragazza va da Genova a Segrate, condotta da un autista di cui si tace il nome, all’ingresso delle aziende berlusconiane ritira una busta da un personaggio anonimo, e al ritorno a Genova viene per caso fermata da una pattuglia di Ps, per essersi allontanata senza permesso dalla casa d’accoglienza in cui è confinata. La stessa pattuglia sa, sempre per caso, che la ragazza ha una busta con denaro. Ruby “Rubacuori” morirà presto? È l’unico tassello che manca a una trama scontata.
A Napoli invece si intercettano, si trascrivono e si pubblicizzano le conversazioni al telefono di una onorevole berlusconiana, di nessuna rilevanza penale, e neppure gossippara. Per far sapere che “Dio ti vede”? O giusto così, perché Napoli è Napoli, senza fondo.
Molto rispetto di Mourinho per il Milan. E nessuna provocazione, non come quelle, ripetute, contro Juventus e Roma. Perché Berlusconi paga superingaggi? Molto milanese, si capisce che il multimilionario Mourinho piaccia molto in città.
Il centravanti della Lazio Sergio Floccari festeggia, il giorno dopo l’ennesima vittoria della sua squadra, il primo anno della morte di Natuzza Evolo a Paravati in Calabria. “Averla incontrata, poco prima della morte, mi ha cambiato la vita”, dice della mistica veggente. Liquidato dal Genoa e preso a niente dalla Lazio a gennaio, ha salvato la squadra dalla retrocessone. E quest’anno l’ha portata al primo posto in classifica.
Non è vero, ma per il “Corriere della sera” il 30 per cento degli italiani vuole il Terzo Polo (come fa a volerlo? sa per caso cos’è?). Lo fa dire a Mannheimer, che tanto non ha nulla da perdere. Domani gli darà dire che il Terzo Polo è Montezemolo. E allora?
Emilio Fede passa per il “Corriere della sera”, che ha inventato Ruby e ci sguazza, e per "Repubblica" indifferentemente dal reato di favoreggiamento della prostituzione a quello di sfruttamento. Ora, Fede sarà antipatico al giornale, ma una cosa non è l'altra.
sabato 6 novembre 2010
Lombardo è mafioso e clientelare, ma non fa niente
La Procura di Catania accusa Angelo Lombardo, fratello del presidente della Regione Sicilia, di essere stato ed essere tramite costante con la mafia per conto del fratello Raffaele. Lo accusa in atti ufficiali, non in indiscrezioni, pettegolezzi, malignità. Ma per il partito Democratico Raffaele Lombardo, uno che ha cambiato in due anni e mezzo tre schieramenti, e ora si regge a sinistra, non è colpevole di niente. Non solo di mafia, non è colpevole nemmeno del supeorclientelismo, sommamente improduttivo, di cui è stato maestro in questi trenta mesi. Molti democratici siciliani, che sanno di che si tratta, vorrebbero staccarsene tempestivamente, ma il Partito obietta che Raffaele Lombardo non è imputato di niente. La partita sarebbe politica, ma anche la giustizia conta e il Pd, quando vuole, è garantista.
È pure vero che la Procura di Catania, malgrado tutte le “prove inconfutabili” che dice di avere contro i fratelli Lombardo, non incrimina Raffaele. Neanche di concorso esterno, un reato che ormai al Sud non si nega a nessuno. È un atto di rispetto verso il partito Democratico, sotto il cui ombrello Lombardo si è da poco messo? Sarebbe una conferma che il Pd è, o sia avvia rapidamente a essere, un partito non più di masse ma di notabili. I notabili del non fare come sono i giudici. Perché altrimenti dovremmo dirli complici, di un mafioso, a loro stesso dire, “accertato”.
È pure vero che la Procura di Catania, malgrado tutte le “prove inconfutabili” che dice di avere contro i fratelli Lombardo, non incrimina Raffaele. Neanche di concorso esterno, un reato che ormai al Sud non si nega a nessuno. È un atto di rispetto verso il partito Democratico, sotto il cui ombrello Lombardo si è da poco messo? Sarebbe una conferma che il Pd è, o sia avvia rapidamente a essere, un partito non più di masse ma di notabili. I notabili del non fare come sono i giudici. Perché altrimenti dovremmo dirli complici, di un mafioso, a loro stesso dire, “accertato”.
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venerdì 5 novembre 2010
Essere in un mondo di ex
Ci sono gli ex berlusconiani, un gruppo ormai nutrito: Fini e i suoi, Casini, Follini, il professor Buttiglione, tutta gente che pure deve tutto a Berlusconi, e Clemente Mastella. Ci sono da tempo gli ex comunisti, su tutti Veltroni. E ci sono già gli ex democratici, a tre o quattro anni dalla fondazione del Pd: Rutelli e, in pectore, lo stesso Prodi, con Parisi, l’ex campione di basket e altri emiliani. Che poi sono tutti ex: ex democristiani, ex comunisti appunto, ex fascisti. La Repubblca è un po' un mondo di ex, la storia è costante.
Il Pci ci aveva abituati, come già gli scomparsi socialisti, riempiendo l’Italia di ex, nel 1956, nel 1968, e dopo la caduta del Muro nel 1989. La diaspora fascista è invece del tutto nuova, ed è rapida, molteplice, in una con l’inconsistenza politica (cosa vogliono questi ancora non si sa: il voto maggioritario o proporzionale, gli immigrati o la “purezza” etnica, le case ai terremotati o i terremoti delle case?), con la tipica volubilità del graziato e del convalescente. La diaspora Dc è invece insuperabile: collosa, sgusciante, e facilmente riconoscibile se non dichiarata, impersonando l’inefficienza, la cronica incapacità di fare, da preti officianti alla messa – voglio e non voglio, qui lo dico qui lo nego, i sono e non ci sono, il rinvio. Con la certezza, se non è fede, che, se muore quello, quell’altro va in carcere, e quell’altro si manifesta infine drogato, la Dc si ritroverà, unita, compatta e grande, non avendo ancora perduto la guerra.
Ma non si può dire l’ex una cifra italiana. Ci sono infatti nel mondo ex capitalisti, come il famigerato Soros, o Bill Gates, e perfino Warren Buffett. E tanti ex comunisti diventati ricchissimi capitalisti, in Russia, in Cina e nel Vietnam, anche se in Asia si chiamano ancora comunisti. Ex guerriglieri anarchici sono diventati capi di Stato. E così via: ex drogati dirigono la lotta contro la droga, ex mafiosi gestiscono l’antimafia, ex prostitute fanno la morale.
Ci sono anche donne ex. Non ex donne, ché al contrario si vogliono donne donne. Ma passano dall’uno all’altro: da calciatore a calciatore, da politico a politico, da attore a attore, da affarista a affarista. Negli intervalli sono la ex moglie, o fidanzata, e talvolta la ex ex, di questo e di quello – la gaytudine per questo è temibile perché ci affollerà di altri ex: il problema dell’essere, direbbe un novello Heidegger, si riempie ma non si risolve con l’ex(essere-per-negarsi?.
L'Italia, però, è un po' più avanti, avendo già la categoria degli ex ex. Che non si saprebbe dire pentiti, perché non lo sono, nessuno fa mai l'atto di dolore, che è ammettere una colpa. Casini per esempio, che per primo ha lasciato la Democrazia Cristiana morente, e ora ne rivendica la memoria e le insegne. Occhetto, che ha liquidato il Pci e poi pensò di rifarlo, con Di Pietro e Nanni Moretti. Il repubblichino Tremaglia, che s'era detto liberale con Berlusconi, e ora inneggia a Fini che restaurerebbe i vecchi ideali, onore, patria, eccetera.
Il Pci ci aveva abituati, come già gli scomparsi socialisti, riempiendo l’Italia di ex, nel 1956, nel 1968, e dopo la caduta del Muro nel 1989. La diaspora fascista è invece del tutto nuova, ed è rapida, molteplice, in una con l’inconsistenza politica (cosa vogliono questi ancora non si sa: il voto maggioritario o proporzionale, gli immigrati o la “purezza” etnica, le case ai terremotati o i terremoti delle case?), con la tipica volubilità del graziato e del convalescente. La diaspora Dc è invece insuperabile: collosa, sgusciante, e facilmente riconoscibile se non dichiarata, impersonando l’inefficienza, la cronica incapacità di fare, da preti officianti alla messa – voglio e non voglio, qui lo dico qui lo nego, i sono e non ci sono, il rinvio. Con la certezza, se non è fede, che, se muore quello, quell’altro va in carcere, e quell’altro si manifesta infine drogato, la Dc si ritroverà, unita, compatta e grande, non avendo ancora perduto la guerra.
Ma non si può dire l’ex una cifra italiana. Ci sono infatti nel mondo ex capitalisti, come il famigerato Soros, o Bill Gates, e perfino Warren Buffett. E tanti ex comunisti diventati ricchissimi capitalisti, in Russia, in Cina e nel Vietnam, anche se in Asia si chiamano ancora comunisti. Ex guerriglieri anarchici sono diventati capi di Stato. E così via: ex drogati dirigono la lotta contro la droga, ex mafiosi gestiscono l’antimafia, ex prostitute fanno la morale.
Ci sono anche donne ex. Non ex donne, ché al contrario si vogliono donne donne. Ma passano dall’uno all’altro: da calciatore a calciatore, da politico a politico, da attore a attore, da affarista a affarista. Negli intervalli sono la ex moglie, o fidanzata, e talvolta la ex ex, di questo e di quello – la gaytudine per questo è temibile perché ci affollerà di altri ex: il problema dell’essere, direbbe un novello Heidegger, si riempie ma non si risolve con l’ex(essere-per-negarsi?.
L'Italia, però, è un po' più avanti, avendo già la categoria degli ex ex. Che non si saprebbe dire pentiti, perché non lo sono, nessuno fa mai l'atto di dolore, che è ammettere una colpa. Casini per esempio, che per primo ha lasciato la Democrazia Cristiana morente, e ora ne rivendica la memoria e le insegne. Occhetto, che ha liquidato il Pci e poi pensò di rifarlo, con Di Pietro e Nanni Moretti. Il repubblichino Tremaglia, che s'era detto liberale con Berlusconi, e ora inneggia a Fini che restaurerebbe i vecchi ideali, onore, patria, eccetera.
La sessuofobia dei preti femminista
Per “Famiglia Cristiana” e i missionari (?) paolini Berlusconi è un “malato”, poiché si attornia di donne. Mai una parola di questi missionari sulla solitudine cui la moglie ha costretto quest’uomo, sia pure antipatico. Un segno di umana comprensione come loro stessi dicono, insomma d’intelligenza.
La sessuofobia è l’unica cosa che distingue i preti – poi si dice che il cristianesimo non è più nei cuori. Rinverdita all’ora del femminismo dal diritto della donna di terrorizzare e umiliare l’uomo, sia pure suo marito, di tenerlo assoggettato nel mentre che lo rifiuta. E peggio ancora se l'uomo si rifà con una donna a pagamento: questa ha tutto il diritto di sfruttarlo e perseguitarlo, benché profumatamente remunerata.
Un caso, nella fattispecie, portato a livelli intollerabili da una donna che per i preti è una concubina. Che ha rubato il marito a un’altra donna con la quale era sacramentalmente legato. Concupendolo col sesso. Facendogli anche dei figli. All’unico unico scopo di ereditare, poiché non ha mai manifestato segni di affetto, e anzi sempre e soltanto di ostilità, quando è riuscita a manifestare qualcosa sotto le pieghe stirate della chirurgia plastica.
Si riteneva la sessuofobia antifemminista e invece si scopre infine che è fondamentalmente antiumanitaria: il casto è un giudice, con l’inflessibilità tipica delle purezze – di sangue, di razza, di fede, d’interessi.
La sessuofobia è l’unica cosa che distingue i preti – poi si dice che il cristianesimo non è più nei cuori. Rinverdita all’ora del femminismo dal diritto della donna di terrorizzare e umiliare l’uomo, sia pure suo marito, di tenerlo assoggettato nel mentre che lo rifiuta. E peggio ancora se l'uomo si rifà con una donna a pagamento: questa ha tutto il diritto di sfruttarlo e perseguitarlo, benché profumatamente remunerata.
Un caso, nella fattispecie, portato a livelli intollerabili da una donna che per i preti è una concubina. Che ha rubato il marito a un’altra donna con la quale era sacramentalmente legato. Concupendolo col sesso. Facendogli anche dei figli. All’unico unico scopo di ereditare, poiché non ha mai manifestato segni di affetto, e anzi sempre e soltanto di ostilità, quando è riuscita a manifestare qualcosa sotto le pieghe stirate della chirurgia plastica.
Si riteneva la sessuofobia antifemminista e invece si scopre infine che è fondamentalmente antiumanitaria: il casto è un giudice, con l’inflessibilità tipica delle purezze – di sangue, di razza, di fede, d’interessi.
giovedì 4 novembre 2010
Problemi di base - 40
spock
Chi va dall’analista non ascolta più, o va dall’analista chi non ascolta più?
Ma allora, che ci va a fare?
È più libero chi ha la libertà di parola o chi ha qualcosa da dire?
Perché il “Corriere della sera” è il giornale delle puttane? Votano Montezemolo?
È la destra la nuova sinistra, Fini, Casini, Di Pietro, De Magistris, Montezemolo?
Chi mangiò la mela sputò il torsolo? Sarebbe l’inizio dell’inquinamento.
Sartre ha scritto su Flaubert più di quanto lo stesso Flaubert abbia scritto: chi è lo scemo della famiglia?
Si aspetta che Moratti cacci Benitez e si riprenda Mancini.
Perché nessuno vede più la Madonna?
spock@antiit.eu
Chi va dall’analista non ascolta più, o va dall’analista chi non ascolta più?
Ma allora, che ci va a fare?
È più libero chi ha la libertà di parola o chi ha qualcosa da dire?
Perché il “Corriere della sera” è il giornale delle puttane? Votano Montezemolo?
È la destra la nuova sinistra, Fini, Casini, Di Pietro, De Magistris, Montezemolo?
Chi mangiò la mela sputò il torsolo? Sarebbe l’inizio dell’inquinamento.
Sartre ha scritto su Flaubert più di quanto lo stesso Flaubert abbia scritto: chi è lo scemo della famiglia?
Si aspetta che Moratti cacci Benitez e si riprenda Mancini.
Perché nessuno vede più la Madonna?
spock@antiit.eu
Secondi pensieri - 56
zeulig
Capitalismo - È stato, è, una forma di rottura della tradizione. Che è l’equilibrio sociale e psicologico, di valori progressivamente messi a punto, o senso della misura. Ma a fini prevalentemente di profitto, e quindi conservatore. Anche quando patrocina e impone il cambiamento. L’età del capitalismo è l’età della solitudine, sotto forma di individualismo. Della nevrosi cioè e dell’alienazione. Della violenza anche senza freni, contro se stessi e ogni altro, nel mondo e in famiglia, anche in forme non dissennate, oppure quiete.
Diritto – Gli antichi romani, ricorda Simone Weil, “Sulla Germania totalitaria”, erano crudeli. Con i nemici, e con i famigliari e gli alleati. Lo erano incontestabilmente, anche passando sopra all’onore, che pure si gloriavano di venerare.
Ma i romani erano anche gente del diritto, incrollabilmente legati alle procedure, ai precedenti, ai principi. A tutto l’armamentario formale che fa la forza del diritto. È il diritto basato sulla crudeltà invece che sulla giustizia? Crudeltà che è indifferenza, prima ancora che passione (S.Weil: “I Romani godevano di quella soddisfazione collettiva di se stessi, opaca, impermeabile, impenetrabile, che consente di conservare in mezzo ai crimini una coscienza perfettamente tranquilla”).
Purezza – Crea molti scompensi. Quello fisico-chimico (dei materiali, dei procedimenti), quello etico, quello religioso (quante eresie!), e ora quello etnico o razziale. È però sempre in cima nella scala dei valori.
Ragione – È riflessione. C’è anche nella fantasy, che è costruita, nell’horror, nella scrittura automatica, nello stream of consciousness. C’è una ragione “matematica”, nel senso dell’ordine euclideo, ingegneristico, del calcolo, delle leggi. E c’è una ragione estensiva, mutevole, aperta. Sempre però la ragione è riflessione, e tutto è ragione, dal sogno al trip – colloquio con se stessi, se non col mondo, comunque con “altri”.
Razionalismo - È una forma minore di umanità, limitata a un quinto, se non a un sesto, di tutti gli esseri umani. Della cui grande maggioranza, cinque miliardi, si poteva proporre come “superiore” sviluppo, anche in chiave di decolonizzazione, fino a qualche anno fa. Fino cioè a prima dell’adozione cinese del fordismo, la civiltà della produzione e dei consumi di massa, che è la migliore (più complessa, immaginosa e realistica insieme, benevola, utile) applicazione pratica del razionalismo.
Soprattutto nella forma dello sciamanesimo, che è scongiuro, e quindi in qualche modo formula assicurativa, ma anche come credenza in forze vitali, l’umanità è sempre essenzialmente vitalistica.
Realtà – Continuiamo a dire che il sole sorge e tramonta quattro secoli dopo Copernico, il quale spiegò che a girare è la terra. L’uomo s’intigna contro la realtà, la natura. Perché l’uomo è solo marginalmente (fisicamente) naturale.
È delimitata dalla comunicazione volontaria – e da una vista anteriore convergente. Sarebbe diversa se si potesse sapere tutto ciò che si dice a parte oppure si pensa. O se si potesse vedere a 360 gradi, in orizzontale e in verticale.
Scomparirebbero allora alcune distinzioni non intelligibili, destra-sinistra, amico-nemico (la diffidenza)?
Religione – Dà non un senso ma una proporzione alla storia.
Si può immaginare, più che come amore, o timore, di Dio, come insensibilità all’accumulo: l’antitesi del capitalismo. Che non è riduttivo: capitalismo, alla radice, sta per materialismo, sensibilità alle cose che alla fine è ateismo, anche nella pietà dichiarata e praticante, dei cattolici come dei protestanti, e degli ebrei.
Si capirebbe così (avrebbe un contenuto) anche la religione laica.
Scienza – Tutto si muove, è vero, ma nulla muta, non nei procedimenti né nelle proprietà. La scienza copernicana andrebbe integrata con il matter-of-fact tolemaico.
Simbolo – Conduce all’afasia, se una cosa significa (rimanda a) un’altra. Da qui l’insignificanza della psicanalisi.
Sport – Ha il fascino dell’uguaglianza, essendo puro talento.
Tempo – C’è solo se libero.
È misurato – è – dalla cose da fare, come dice Aristotele. Gli anni luce sono una misura troppo grande, insignificante – e solo perché alcuni oggetti si spostano.
È relativo, prende spessore in un con testo. Ha “più” tempo” un manovale indiano che dall’età di dieci anni lavora dall’alba al tramonto e vive in un villaggio di fango, oppure l’operatore di marketing di Segrate, che lavora via computer, sulla sedia anatomica, con l’aria condizionata? “Più” tempo per la sua vita non materiale (affetti, usi, svaghi), o come attenzione, vivendo in un mondo integrato. Se si depura il flusso della vita (del tempo) dal possesso delle cose, il ritmo diventa o naturale, sia pure per assuefazione, o innaturale, cioè costretto.
Si spiega l’ozio, che non è “perdita” di tempo. O il “tempo del carcere” (Vittorio Foa).
Il cosiddetto tempo reale è ripetizione. Anche per accumulo, ma sempre ripetizione è. Altrimenti il tempo (s)fugge. Il senso del tempo reale si ha attraverso la memoria di un accadimento, quindi attraverso una catalogazione, l’applicazione di certi standard o criteri (sociali, psicologici, culturali, tribali, familiari, etc.) che a loro volta derivano da precedenti catalogazioni.
Altrimenti è solo fretta, accatastamento, confusione, senza memoria. Una rapidità significativa implica anch’essa una selezione. Una piramide si costruiva, senza strumentazione idraulico\elettrica, in cinque-dieci anni, oggi non si pensa nemmeno di poterla costruire. Il Colosseo, costruito in cinque anni, oggi non si farebbe in dieci, con tutte le gru e i mezzi di trasporto pesanti, e dopo cinquant’anni sarebbe da rifare – si costruiva allora con tanti morti, oggi pure. L’organizzazione è legata al senso del tempo – il principio dell’economia – e non alla tecnica.
Quello della politica è lentissimo: anche quando gli avvenimenti sono rapidi, catastrofi, guerre, la politica si muove come un pachiderma. Quello dell’economia invece è frenetico, e ogni istante può essere pieno di cose – si scatena una crisi mondiale in secondi. La differenza non è data dal pubblico contro il privato: nella crisi economica anche le decisioni pubbliche possono essere istantanee e radicali.
Le cose dipendono dalle decisioni. Da verifiche cioè, controlli, combinazioni di poteri, che sono impalpabili, sotterranei, perfino esoterici, e quindi inspiegabilmente velocissimi o lentissimi. Il discrimine è allora l’interesse, per il denaro, per le cose materiali, il possesso? In questo senso ha ragione Marx: il denaro domina.
zeulig@antiit.eu
Capitalismo - È stato, è, una forma di rottura della tradizione. Che è l’equilibrio sociale e psicologico, di valori progressivamente messi a punto, o senso della misura. Ma a fini prevalentemente di profitto, e quindi conservatore. Anche quando patrocina e impone il cambiamento. L’età del capitalismo è l’età della solitudine, sotto forma di individualismo. Della nevrosi cioè e dell’alienazione. Della violenza anche senza freni, contro se stessi e ogni altro, nel mondo e in famiglia, anche in forme non dissennate, oppure quiete.
Diritto – Gli antichi romani, ricorda Simone Weil, “Sulla Germania totalitaria”, erano crudeli. Con i nemici, e con i famigliari e gli alleati. Lo erano incontestabilmente, anche passando sopra all’onore, che pure si gloriavano di venerare.
Ma i romani erano anche gente del diritto, incrollabilmente legati alle procedure, ai precedenti, ai principi. A tutto l’armamentario formale che fa la forza del diritto. È il diritto basato sulla crudeltà invece che sulla giustizia? Crudeltà che è indifferenza, prima ancora che passione (S.Weil: “I Romani godevano di quella soddisfazione collettiva di se stessi, opaca, impermeabile, impenetrabile, che consente di conservare in mezzo ai crimini una coscienza perfettamente tranquilla”).
Purezza – Crea molti scompensi. Quello fisico-chimico (dei materiali, dei procedimenti), quello etico, quello religioso (quante eresie!), e ora quello etnico o razziale. È però sempre in cima nella scala dei valori.
Ragione – È riflessione. C’è anche nella fantasy, che è costruita, nell’horror, nella scrittura automatica, nello stream of consciousness. C’è una ragione “matematica”, nel senso dell’ordine euclideo, ingegneristico, del calcolo, delle leggi. E c’è una ragione estensiva, mutevole, aperta. Sempre però la ragione è riflessione, e tutto è ragione, dal sogno al trip – colloquio con se stessi, se non col mondo, comunque con “altri”.
Razionalismo - È una forma minore di umanità, limitata a un quinto, se non a un sesto, di tutti gli esseri umani. Della cui grande maggioranza, cinque miliardi, si poteva proporre come “superiore” sviluppo, anche in chiave di decolonizzazione, fino a qualche anno fa. Fino cioè a prima dell’adozione cinese del fordismo, la civiltà della produzione e dei consumi di massa, che è la migliore (più complessa, immaginosa e realistica insieme, benevola, utile) applicazione pratica del razionalismo.
Soprattutto nella forma dello sciamanesimo, che è scongiuro, e quindi in qualche modo formula assicurativa, ma anche come credenza in forze vitali, l’umanità è sempre essenzialmente vitalistica.
Realtà – Continuiamo a dire che il sole sorge e tramonta quattro secoli dopo Copernico, il quale spiegò che a girare è la terra. L’uomo s’intigna contro la realtà, la natura. Perché l’uomo è solo marginalmente (fisicamente) naturale.
È delimitata dalla comunicazione volontaria – e da una vista anteriore convergente. Sarebbe diversa se si potesse sapere tutto ciò che si dice a parte oppure si pensa. O se si potesse vedere a 360 gradi, in orizzontale e in verticale.
Scomparirebbero allora alcune distinzioni non intelligibili, destra-sinistra, amico-nemico (la diffidenza)?
Religione – Dà non un senso ma una proporzione alla storia.
Si può immaginare, più che come amore, o timore, di Dio, come insensibilità all’accumulo: l’antitesi del capitalismo. Che non è riduttivo: capitalismo, alla radice, sta per materialismo, sensibilità alle cose che alla fine è ateismo, anche nella pietà dichiarata e praticante, dei cattolici come dei protestanti, e degli ebrei.
Si capirebbe così (avrebbe un contenuto) anche la religione laica.
Scienza – Tutto si muove, è vero, ma nulla muta, non nei procedimenti né nelle proprietà. La scienza copernicana andrebbe integrata con il matter-of-fact tolemaico.
Simbolo – Conduce all’afasia, se una cosa significa (rimanda a) un’altra. Da qui l’insignificanza della psicanalisi.
Sport – Ha il fascino dell’uguaglianza, essendo puro talento.
Tempo – C’è solo se libero.
È misurato – è – dalla cose da fare, come dice Aristotele. Gli anni luce sono una misura troppo grande, insignificante – e solo perché alcuni oggetti si spostano.
È relativo, prende spessore in un con testo. Ha “più” tempo” un manovale indiano che dall’età di dieci anni lavora dall’alba al tramonto e vive in un villaggio di fango, oppure l’operatore di marketing di Segrate, che lavora via computer, sulla sedia anatomica, con l’aria condizionata? “Più” tempo per la sua vita non materiale (affetti, usi, svaghi), o come attenzione, vivendo in un mondo integrato. Se si depura il flusso della vita (del tempo) dal possesso delle cose, il ritmo diventa o naturale, sia pure per assuefazione, o innaturale, cioè costretto.
Si spiega l’ozio, che non è “perdita” di tempo. O il “tempo del carcere” (Vittorio Foa).
Il cosiddetto tempo reale è ripetizione. Anche per accumulo, ma sempre ripetizione è. Altrimenti il tempo (s)fugge. Il senso del tempo reale si ha attraverso la memoria di un accadimento, quindi attraverso una catalogazione, l’applicazione di certi standard o criteri (sociali, psicologici, culturali, tribali, familiari, etc.) che a loro volta derivano da precedenti catalogazioni.
Altrimenti è solo fretta, accatastamento, confusione, senza memoria. Una rapidità significativa implica anch’essa una selezione. Una piramide si costruiva, senza strumentazione idraulico\elettrica, in cinque-dieci anni, oggi non si pensa nemmeno di poterla costruire. Il Colosseo, costruito in cinque anni, oggi non si farebbe in dieci, con tutte le gru e i mezzi di trasporto pesanti, e dopo cinquant’anni sarebbe da rifare – si costruiva allora con tanti morti, oggi pure. L’organizzazione è legata al senso del tempo – il principio dell’economia – e non alla tecnica.
Quello della politica è lentissimo: anche quando gli avvenimenti sono rapidi, catastrofi, guerre, la politica si muove come un pachiderma. Quello dell’economia invece è frenetico, e ogni istante può essere pieno di cose – si scatena una crisi mondiale in secondi. La differenza non è data dal pubblico contro il privato: nella crisi economica anche le decisioni pubbliche possono essere istantanee e radicali.
Le cose dipendono dalle decisioni. Da verifiche cioè, controlli, combinazioni di poteri, che sono impalpabili, sotterranei, perfino esoterici, e quindi inspiegabilmente velocissimi o lentissimi. Il discrimine è allora l’interesse, per il denaro, per le cose materiali, il possesso? In questo senso ha ragione Marx: il denaro domina.
zeulig@antiit.eu
mercoledì 3 novembre 2010
Letture - 44
letterautore
Arendt - La Hannah Arendt che rimane fedele a Heidegger – rimane fedele a un uomo sgradevole – non è la filosofa, né la scienziata politica, né l’ebrea emigrata: è la “buona moglie tedesca” di Stendhal. Non c’è altra spiegazione: benché colta e impegnata, e sensibile al corteggiamento, resta fedele al primo amore, e all’amore considerato come una virtù in se stessa, “qualcosa di mistico”, fisso.
Arte - È catturare il reale per mezzo dell’immaginazione – la magia.
Bibbia – È vera. Come discorso di Dio lo è certamente. Non c’è altro Dio, in nessun altro posto o testo della terra, che non sia nemico.
Cabbala – È un esercizio di razionalismo attorno a Dio, che per definizione è ineffabile – dovrebbe esserlo, ma la Bibbia lo vuole un esercizio di verità. È un esercizio povero di razionalismo, professandosi per iniziati in segreto,
Don Giovanni – È l’insoddisfazione che nasce dalla soddisfazione del desiderio, il quetzalcoatl della passione-soddisfazione interrotto a un certo punto. Il desiderio ha una caduta di tensione quando si realizza, l’evento è sempre inferiore all’attesa, e deve essere rianimato. Qua do subentra la stanchezza, ecco don Giovanni. D’altra parte la stanchezza è invitabile: l’evento insoddisfacente rilancia le attese, ma troppi rilanci comportano troppe cadute, alla fine si diventa scontenti e nervosi.
Lettore – È come l’esecutore della musica, l’interprete drammatico.
Pasolini - Un moralista che si trova suo agio, e quasi in un microcosmo perfetto, nel piccolo ambiente letterario – Elsa, Dacia, Alberto, Laura… - che moralista è?
È il tipo italiano, come Montanelli, come Malaparte. Non c’è in loro artificio, cioè l’artificio è il loro istinto. Invidiabili: per l’ego, e per la capacità d’identificazione (finta?) col truppone.
È violentissimo, perfino sfrenato, da “Salò” a “Petrolio”, senza essere realmente critico. Ogni spiegazione è posticcia, uno sticker. Era incapace di sdegno o sfugge per conformismo – al partito, alla mamma, alla liturgia della perversione? L’unica cosa “sua”, di gusto, è la merda – il culo-merda, il bambino-merda – e questa certamente è un’indicazione, ma di che?
È specchio di Proust in molte cose, malgrado le barriere dell’impegno, del populismo, del linguaggio. Per la freddezza comune a entrambi, dietro la coloritura partecipativa della memoria, verso i loro personaggi e le situazioni in cui li collocano. Verso il loro universo reale anche: le corrispondenze, animate da mille preoccupazioni di programma, timori, sentimenti dedicated, hanno un fondo costante d’insensibilità, di astratta ragionevolezza. La buona educazione nell’uno, la furia nell’altro copre un penchant naturale di bontà, o uno d’intransigenza? Di nervosa insofferenza, fino alla cattiveria, e perfino all’oltraggio. Caratteristica la bivalenza nei confronti della madre, naturalmente adorata, che naturalmente tutto sa del loro lato oscuro, naturalmente lo disapprova e naturalmente lo copre. Proust avrebbe potuto (dovuto) comporre l’ambivalenza materna nelle regole sociali, della sua formazione, sua di lei, della cultura del tempo e della mentalità, e invece ne assolutizza la figura, annientandola, riducendola a ombra. Pasolini “fa sua” la madre, la violenta in immagine, senza più: la fragilizza, lei così determinata e amante della vita, l’ammutolisce.
A meno che la madre, nei due casi, non sia stata una piccolo borghese insopportabile, abitudinaria e feroce, verso la quale i figli non possono che avere sensi di colpa. Che di Pasolini hanno ammorbato tutta la vita, fino ai propositi finali di suicidio per vergogna. E di Proust hanno provocato la costante nevrosi, di cui invece non c’è traccia nel fratello e nel padre (non facevano anch’essi le vacanze in Normandia, dalla parte di duchi e ragazze di solida borghesia?): fantasticare guardando da lontano, le bambine degli Champs-Élysées, le ragazze in fiore, o incanaglire l’amore nel sesso “turpe”.
Proust – Malgrado la lunghezza ha creato poco. E tutti personaggi di teatro, compreso il travesti.
Il tempo durata è dettaglismo, cioè lunghezza.
Peccato che non amasse travestirsi: un po’ di gusto sartoriale gli avrebbe consentito migliaia di pagine di riflessi e nuances. Un vestito femminile naturalmente, è cosa complicata: stoffa, taglio colori, ricami cuciture, forme, sensazioni tattili e acustiche e visive.
L’affettazione lo rende incapace di affetti.
Albertine-Alfred mostacciuto e muscoloso è atroce parodia, misogina. Ma generale e forte è la sensazione che i modelli siano migliori dei personaggi, più complessi, più affascinanti, benché del demi-monde. Perché i personaggi sembrano copie stanche: la duchessa di Guermantes e l’originale Laure de Sade biografata dalla Bibesco, per esempio, e così di tutti quelli di cui è stato ricostituito qualche aspetto della biografia reale, la Signora delle violette Jeanne de Tourbay e Méry Laurent, due cortigiane di lusso, per Odette, compreso lo chauffeur. Non ci sono altri esempi di personaggi letterari inferiori ai modelli. Cosa entusiasma in questo riduttivismo proustiano? Lo snobismo. Che è fondamentalmente invidioso, cattivo sotto l’apparente ammirazione e devozione dei potenti.
S’è appropriato della memoria. Perché, gli altri come scrivono?
La durata è dura in Proust perché è ripetizione, un segnare il passo, e non passaggio – attesa, cambiamento, ritorno. Perché non è speranza. La speranza è il tempo. Senza la speranza non c’è tempo, né aria per respirare. Non c’è in realtà durata, se non er indebita appropriazione della filosofia - Bergson la definisce in termini del tutto diversi dalla stanca memoria di Proust.
La durata, anzi la dura durata, è evidentemente un piacere – l’attesa dell’atto meglio dell’atto (anche se il bricconcello pompava golosamente). Non è volgare rilevarlo, non più volgare della pratica. Questo può spiegare il dilagante proustismo, per le-i tante-i Bovary che s’immaginano la loro vita. La durata come estensione del presente (v. l’attualizzazione del divenire di Banfi), che è ovviamente il fine della memoria. Insistita perciò e insistente, e per questo noiosa. Ma è qui il suo fascino: la prospettazione o promessa di un’eterna giovinezza, di un perpetuarsi delle cose e degli eventi, che supera o rinverdisce un mondo demodé, datatissimo nei modi di essere più che nel tempo.
Ha scritto un romanzo “paralitico” (Ortega y Gasset, “Sul romanzo”).
Il romanzo, che è in fondo un saggio sull’amore in tutte le sue forme, non ha una scena d’amore. Se non quella di “Swann”, rubata, da voyeur furtivo, di Mlle Vinteuil che abbranca l’amica sotto il ritratto del rispettabile padre. Una sola in un romanzo di seimila pagine. L’amore di Proust è molte cose: incanto (immaginazione infantile e adolescenziale), gelosia, violenza, voyeurismo, passione, vizio intellettuale, oltraggio, apatia, odio. La “Ricerca” si può leggere come un repertorio dell’amore, un’enciclopedia alla Montaigne. Ma non c’è l’erotismo. C’è, poco, il sesso. Che è l’unica forma d’amore che Proust ha praticato, l’unica che gli si conosca malgrado le amicizie particolari affettate – l’immenso epistolario non ha una sola lettera d’amore.
Si può decidere di vivere in (narrare) un punto, la vita e la storia (la narrazione) concentrare in un attimo. Ma è un artificio, un terapeuta la direbbe una monomania.
Romanzo – Prospera nelle società ordinate, a struttura gerarchica (ordine) certa. Lo dice E.Cecchi (appunto su Nrf-Proust) e sembra vero: Francia e Inghilterra del Sette-Ottocento, Russia dell’Ottocento, Germania di fine Ottocento, Usa del Novecento. Ma può dardi anche il contrario: Praga (Kafka) e Vienna (Hofmannstahl, Musil, J.Roth….) di fine impero.
Il primo romanzo ha prosperato in età ellenistica- Perché emergeva la potenza romana? O perché si dissolveva il mondo greco classico? Non si può sapere.
E se il romanzo andasse col clima? Dove si legge di più, il genere richiede lunghe letture, e dove di meno.
Stendhal – Ha dato dignità al romanzo d’appendice: vita militare (imprevisto, randagismo), amori (amore fisico: scollature, riccioli, braccia tornite), tradimenti, duelli. Ha fallito dove ha tentato il romanzo contemporaneo: la politica borghese (“L.Leuwen”), la psicologia (“Armance”).
letterautore@antiit.eu
Arendt - La Hannah Arendt che rimane fedele a Heidegger – rimane fedele a un uomo sgradevole – non è la filosofa, né la scienziata politica, né l’ebrea emigrata: è la “buona moglie tedesca” di Stendhal. Non c’è altra spiegazione: benché colta e impegnata, e sensibile al corteggiamento, resta fedele al primo amore, e all’amore considerato come una virtù in se stessa, “qualcosa di mistico”, fisso.
Arte - È catturare il reale per mezzo dell’immaginazione – la magia.
Bibbia – È vera. Come discorso di Dio lo è certamente. Non c’è altro Dio, in nessun altro posto o testo della terra, che non sia nemico.
Cabbala – È un esercizio di razionalismo attorno a Dio, che per definizione è ineffabile – dovrebbe esserlo, ma la Bibbia lo vuole un esercizio di verità. È un esercizio povero di razionalismo, professandosi per iniziati in segreto,
Don Giovanni – È l’insoddisfazione che nasce dalla soddisfazione del desiderio, il quetzalcoatl della passione-soddisfazione interrotto a un certo punto. Il desiderio ha una caduta di tensione quando si realizza, l’evento è sempre inferiore all’attesa, e deve essere rianimato. Qua do subentra la stanchezza, ecco don Giovanni. D’altra parte la stanchezza è invitabile: l’evento insoddisfacente rilancia le attese, ma troppi rilanci comportano troppe cadute, alla fine si diventa scontenti e nervosi.
Lettore – È come l’esecutore della musica, l’interprete drammatico.
Pasolini - Un moralista che si trova suo agio, e quasi in un microcosmo perfetto, nel piccolo ambiente letterario – Elsa, Dacia, Alberto, Laura… - che moralista è?
È il tipo italiano, come Montanelli, come Malaparte. Non c’è in loro artificio, cioè l’artificio è il loro istinto. Invidiabili: per l’ego, e per la capacità d’identificazione (finta?) col truppone.
È violentissimo, perfino sfrenato, da “Salò” a “Petrolio”, senza essere realmente critico. Ogni spiegazione è posticcia, uno sticker. Era incapace di sdegno o sfugge per conformismo – al partito, alla mamma, alla liturgia della perversione? L’unica cosa “sua”, di gusto, è la merda – il culo-merda, il bambino-merda – e questa certamente è un’indicazione, ma di che?
È specchio di Proust in molte cose, malgrado le barriere dell’impegno, del populismo, del linguaggio. Per la freddezza comune a entrambi, dietro la coloritura partecipativa della memoria, verso i loro personaggi e le situazioni in cui li collocano. Verso il loro universo reale anche: le corrispondenze, animate da mille preoccupazioni di programma, timori, sentimenti dedicated, hanno un fondo costante d’insensibilità, di astratta ragionevolezza. La buona educazione nell’uno, la furia nell’altro copre un penchant naturale di bontà, o uno d’intransigenza? Di nervosa insofferenza, fino alla cattiveria, e perfino all’oltraggio. Caratteristica la bivalenza nei confronti della madre, naturalmente adorata, che naturalmente tutto sa del loro lato oscuro, naturalmente lo disapprova e naturalmente lo copre. Proust avrebbe potuto (dovuto) comporre l’ambivalenza materna nelle regole sociali, della sua formazione, sua di lei, della cultura del tempo e della mentalità, e invece ne assolutizza la figura, annientandola, riducendola a ombra. Pasolini “fa sua” la madre, la violenta in immagine, senza più: la fragilizza, lei così determinata e amante della vita, l’ammutolisce.
A meno che la madre, nei due casi, non sia stata una piccolo borghese insopportabile, abitudinaria e feroce, verso la quale i figli non possono che avere sensi di colpa. Che di Pasolini hanno ammorbato tutta la vita, fino ai propositi finali di suicidio per vergogna. E di Proust hanno provocato la costante nevrosi, di cui invece non c’è traccia nel fratello e nel padre (non facevano anch’essi le vacanze in Normandia, dalla parte di duchi e ragazze di solida borghesia?): fantasticare guardando da lontano, le bambine degli Champs-Élysées, le ragazze in fiore, o incanaglire l’amore nel sesso “turpe”.
Proust – Malgrado la lunghezza ha creato poco. E tutti personaggi di teatro, compreso il travesti.
Il tempo durata è dettaglismo, cioè lunghezza.
Peccato che non amasse travestirsi: un po’ di gusto sartoriale gli avrebbe consentito migliaia di pagine di riflessi e nuances. Un vestito femminile naturalmente, è cosa complicata: stoffa, taglio colori, ricami cuciture, forme, sensazioni tattili e acustiche e visive.
L’affettazione lo rende incapace di affetti.
Albertine-Alfred mostacciuto e muscoloso è atroce parodia, misogina. Ma generale e forte è la sensazione che i modelli siano migliori dei personaggi, più complessi, più affascinanti, benché del demi-monde. Perché i personaggi sembrano copie stanche: la duchessa di Guermantes e l’originale Laure de Sade biografata dalla Bibesco, per esempio, e così di tutti quelli di cui è stato ricostituito qualche aspetto della biografia reale, la Signora delle violette Jeanne de Tourbay e Méry Laurent, due cortigiane di lusso, per Odette, compreso lo chauffeur. Non ci sono altri esempi di personaggi letterari inferiori ai modelli. Cosa entusiasma in questo riduttivismo proustiano? Lo snobismo. Che è fondamentalmente invidioso, cattivo sotto l’apparente ammirazione e devozione dei potenti.
S’è appropriato della memoria. Perché, gli altri come scrivono?
La durata è dura in Proust perché è ripetizione, un segnare il passo, e non passaggio – attesa, cambiamento, ritorno. Perché non è speranza. La speranza è il tempo. Senza la speranza non c’è tempo, né aria per respirare. Non c’è in realtà durata, se non er indebita appropriazione della filosofia - Bergson la definisce in termini del tutto diversi dalla stanca memoria di Proust.
La durata, anzi la dura durata, è evidentemente un piacere – l’attesa dell’atto meglio dell’atto (anche se il bricconcello pompava golosamente). Non è volgare rilevarlo, non più volgare della pratica. Questo può spiegare il dilagante proustismo, per le-i tante-i Bovary che s’immaginano la loro vita. La durata come estensione del presente (v. l’attualizzazione del divenire di Banfi), che è ovviamente il fine della memoria. Insistita perciò e insistente, e per questo noiosa. Ma è qui il suo fascino: la prospettazione o promessa di un’eterna giovinezza, di un perpetuarsi delle cose e degli eventi, che supera o rinverdisce un mondo demodé, datatissimo nei modi di essere più che nel tempo.
Ha scritto un romanzo “paralitico” (Ortega y Gasset, “Sul romanzo”).
Il romanzo, che è in fondo un saggio sull’amore in tutte le sue forme, non ha una scena d’amore. Se non quella di “Swann”, rubata, da voyeur furtivo, di Mlle Vinteuil che abbranca l’amica sotto il ritratto del rispettabile padre. Una sola in un romanzo di seimila pagine. L’amore di Proust è molte cose: incanto (immaginazione infantile e adolescenziale), gelosia, violenza, voyeurismo, passione, vizio intellettuale, oltraggio, apatia, odio. La “Ricerca” si può leggere come un repertorio dell’amore, un’enciclopedia alla Montaigne. Ma non c’è l’erotismo. C’è, poco, il sesso. Che è l’unica forma d’amore che Proust ha praticato, l’unica che gli si conosca malgrado le amicizie particolari affettate – l’immenso epistolario non ha una sola lettera d’amore.
Si può decidere di vivere in (narrare) un punto, la vita e la storia (la narrazione) concentrare in un attimo. Ma è un artificio, un terapeuta la direbbe una monomania.
Romanzo – Prospera nelle società ordinate, a struttura gerarchica (ordine) certa. Lo dice E.Cecchi (appunto su Nrf-Proust) e sembra vero: Francia e Inghilterra del Sette-Ottocento, Russia dell’Ottocento, Germania di fine Ottocento, Usa del Novecento. Ma può dardi anche il contrario: Praga (Kafka) e Vienna (Hofmannstahl, Musil, J.Roth….) di fine impero.
Il primo romanzo ha prosperato in età ellenistica- Perché emergeva la potenza romana? O perché si dissolveva il mondo greco classico? Non si può sapere.
E se il romanzo andasse col clima? Dove si legge di più, il genere richiede lunghe letture, e dove di meno.
Stendhal – Ha dato dignità al romanzo d’appendice: vita militare (imprevisto, randagismo), amori (amore fisico: scollature, riccioli, braccia tornite), tradimenti, duelli. Ha fallito dove ha tentato il romanzo contemporaneo: la politica borghese (“L.Leuwen”), la psicologia (“Armance”).
letterautore@antiit.eu
ll mondo com 'è - 49
astolfo
Anarchici - È un fatto che erano killer a pagamento, manovrabili a piacimento senza sforzo. Anzi, sono stati killer e basta, nemmeno pagati.
Apartheid - È (non è morto) scandaloso ma non marginale. Gli Usa ne fanno il perno della diplomazia, i popoli dividendo in buoni e cattivi. O accettandone le divisioni, che è la stessa cosa.
È un accomodamento, di cui però gli Usa non vedono l’intrinseca falsità (debolezza): la partizione, per credo religioso o etnico, per razza, è la razionalità puritana, il bene è diviso dal male. O la mentalità del ghetto: il tribalismo riprodotto sotto specie culturali, religiose, eccetera.
Gli Usa hanno del resto tenuto in vita, nel loro enorme paese, più a lungo e più dettagliato che in qualsiasi altro posto o epoca del mondo, un sistema di separazione etnica, in orizzontale e in verticale, a vari livelli: tra bianchi e neri, tra anglofoni e latini, tra anglofoni protestanti e cattolici, nei confronti degli ebrei, tra ebrei orientali ed ebrei occidentali. Magari un giorno se ne vanteranno, il cosmopolitismo non è più “naturale” del tribalismo.
Borghesia– Poiché è per definizione un corpo non compatto ma osmotico, che prende dall’alto e dal basso, da destra e da sinistra, è adattabile, e quindi inattaccabile. Spiga il fascino del centro politico: la borghesia è il centro.
È una formula politica oggi, più che una classe sociale: la formula del governo debole. Sotto l’imperversare dei diritti, di ogni minoranza e di ogni virtù, e nella democratizzazione pulviscolare del parlamentarismo. I governi sono deboli perché esprimono questa borghesia, non per difetto d’ingegneria costituzionale.
Ha portato all’estremo la mendicità politica. Ne ha fatto arte di governo. E più nei suo rappresentanti più qualificati, alto borghesi, per censo o cultura: i galantuomini (notabili) non sottostanno a diritti e doveri, ricorrono alla protezione dell’amicizia. Da qui il laicismo (intelligenza laica, etica laica, finanza laica) in teso come massoneria: è buon borghese chi può fare affidamento su una solida rete di influenze.
Fondamentalmente è anarchica: non concepisce lo Stato, se non le serve. Essendo acquisitiva (monopolistica), ha un concetto dell’utilità sociale molto limitato.
Ma esiste qualcosa come l’utilità sociale a fondamento dello Stato? Solo in sue accezioni: come forma di una dinastia, di una nazione, della politica, e come cassa di compensazione redistributiva,
dalle clientele romane al welfare, figura quindi delle élites e delle masse.
Brest-Litovsk – Una vittoria, e che vittoria!, dei tedeschi perdenti. Il blocco tedesco, che ai primi di marzo ha già perduto la guerra, è rilanciato dal trattato con i bolscevichi – rilanciato verso Parigi. È la “porova” più evidente del Lenin inviato dai tedeschi.
Capitalismo– È protestante, si dice equivocando sugli studi di Max Weber sulle diverse religiosità del protestantesimo, per dire in realtà che il capitalismo è socialmente responsabile: la borghesia come razionalità. Lo si dice anche degli studi di Sombart sul puritanesimo, capitalismo compreso – ma è lo stesso Sombart che ha costruito una fenomenologia del capitalismo come spesa suntuaria invece che come thrift. L’idea, che si vuole protestante, che il successo negli affari (nella vita materiale, terrena) premi i buoni è, sia pure in ambito protestante, del darwinismo sociale del secondo Ottocento, popolarizzato dall’insorgenza prepotente degli Usa, con l’ideologia della Frontiera, “go to the West”, e con l’American Drean, o way of life della “classe agiata” di Veblen.
È sempre stato molto idealizzato in Italia, come un’etica superiore, quella dell’onestà e dell’accumulo, o del risparmio. Un’etica anzi trascendentale, o un kantismo volgare, col capitale interprete del buono e del giusto. Non così dove la borghesia governa senza nascondersi (camuffarsi), come negli Usa e in Gran Bretagna: qui si sa e si riconosce legata agli affari.
Col primato protestante (qualcosa del genere c’è in lui, benché storicizzato), Max Weber s’immette nel filone ottocentesco dei primati, sottostante al nazionalismo. È la stessa traccia che segue il darwinismo sociale del reverendo Strong negli Usa col wasp, la superiorità del protestante bianco, o del mito rapidamente costruito della Frontiera. In questo senso l’analisi di M.Weber è – nella misura in cui lo è, in cui si lascia trascinare – doppiamente fasulla: che primato è, quello dello “spirito” capitalistico? È un’invenzione pratica, la scoperta della penicillina? È una virtù?
Si rapporta alla Riforma in quanto si confonde con la libertà politica. Il liberalismo non è il diritto al dissenso (tolleranza) né quello alla proprietà (borghesia). Nasce dalla Riforma, come movimento religioso e come movimento politico (contro l’impero, l’unità della società politica). La libertà è un diritto incomprimibile, quindi non “tollerabile”. E si può accompagnare all’uguaglianza, quindi fare a meno della proprietà. L’equivoco – unicamente italiano, una baggianata – è di identificare capitalismo a libertà politica, e quindi dire: Weber, capitalismo e sette protestanti, eccetera. Mentre il capitalismo è anche, lo è stato pure prima della Riforma, ben cattolico. E la libertà politica è ben difficile che lo sia.
Centro– È all’interno del labirinto. Ne è il cuore.
Non profit – È lavoro socialmente utile, il “terzo settore” di Rifkin, nel senso che ne beneficiano gli sfavoriti. Ma organizzativamente è lavoro servile – non qualificato e non retribuito, se non bonariamente. Si completa, in dolcezza, lo scardinamento delle difese del lavoro.
Res Publica– Concetto superato, se l’interprete di Cicerone è Andreotti. Ma già Cicerone…
Sessantotto – È stato una rivoluzione antropologica, di pedagogia, famiglia, sessualità, sessi, lavoro. E ha affermato la letteratura se non la poesia – la fantasia, l’autonomia dell’individuo - nella vita. Non è stato politico. Cioè, lo è stato in quanto ha dissolto la politica: il Parlamento, i partiti, l’impegno, le istituzioni sono stati ridotti a simulacri – alla merce dell’informale, invasiva, confusionaria anche, opinione pubblica. Non li ha scoperti, si sapeva già che erano una convenzione sociale: li ha resi insignificanti e marginali. Più spesso autoreferenti, e quindi corrotti – la corruzione dopo il movimento dilaga.
Tangentopoli - Una dittatura della giustizia, si dice, non è possibile. Ma una dittatura dei giudici sì. Sia pure sotto forma di sbirri. Che la giustizia privilegia.
astolfo@antiit.eu
Anarchici - È un fatto che erano killer a pagamento, manovrabili a piacimento senza sforzo. Anzi, sono stati killer e basta, nemmeno pagati.
Apartheid - È (non è morto) scandaloso ma non marginale. Gli Usa ne fanno il perno della diplomazia, i popoli dividendo in buoni e cattivi. O accettandone le divisioni, che è la stessa cosa.
È un accomodamento, di cui però gli Usa non vedono l’intrinseca falsità (debolezza): la partizione, per credo religioso o etnico, per razza, è la razionalità puritana, il bene è diviso dal male. O la mentalità del ghetto: il tribalismo riprodotto sotto specie culturali, religiose, eccetera.
Gli Usa hanno del resto tenuto in vita, nel loro enorme paese, più a lungo e più dettagliato che in qualsiasi altro posto o epoca del mondo, un sistema di separazione etnica, in orizzontale e in verticale, a vari livelli: tra bianchi e neri, tra anglofoni e latini, tra anglofoni protestanti e cattolici, nei confronti degli ebrei, tra ebrei orientali ed ebrei occidentali. Magari un giorno se ne vanteranno, il cosmopolitismo non è più “naturale” del tribalismo.
Borghesia– Poiché è per definizione un corpo non compatto ma osmotico, che prende dall’alto e dal basso, da destra e da sinistra, è adattabile, e quindi inattaccabile. Spiga il fascino del centro politico: la borghesia è il centro.
È una formula politica oggi, più che una classe sociale: la formula del governo debole. Sotto l’imperversare dei diritti, di ogni minoranza e di ogni virtù, e nella democratizzazione pulviscolare del parlamentarismo. I governi sono deboli perché esprimono questa borghesia, non per difetto d’ingegneria costituzionale.
Ha portato all’estremo la mendicità politica. Ne ha fatto arte di governo. E più nei suo rappresentanti più qualificati, alto borghesi, per censo o cultura: i galantuomini (notabili) non sottostanno a diritti e doveri, ricorrono alla protezione dell’amicizia. Da qui il laicismo (intelligenza laica, etica laica, finanza laica) in teso come massoneria: è buon borghese chi può fare affidamento su una solida rete di influenze.
Fondamentalmente è anarchica: non concepisce lo Stato, se non le serve. Essendo acquisitiva (monopolistica), ha un concetto dell’utilità sociale molto limitato.
Ma esiste qualcosa come l’utilità sociale a fondamento dello Stato? Solo in sue accezioni: come forma di una dinastia, di una nazione, della politica, e come cassa di compensazione redistributiva,
dalle clientele romane al welfare, figura quindi delle élites e delle masse.
Brest-Litovsk – Una vittoria, e che vittoria!, dei tedeschi perdenti. Il blocco tedesco, che ai primi di marzo ha già perduto la guerra, è rilanciato dal trattato con i bolscevichi – rilanciato verso Parigi. È la “porova” più evidente del Lenin inviato dai tedeschi.
Capitalismo– È protestante, si dice equivocando sugli studi di Max Weber sulle diverse religiosità del protestantesimo, per dire in realtà che il capitalismo è socialmente responsabile: la borghesia come razionalità. Lo si dice anche degli studi di Sombart sul puritanesimo, capitalismo compreso – ma è lo stesso Sombart che ha costruito una fenomenologia del capitalismo come spesa suntuaria invece che come thrift. L’idea, che si vuole protestante, che il successo negli affari (nella vita materiale, terrena) premi i buoni è, sia pure in ambito protestante, del darwinismo sociale del secondo Ottocento, popolarizzato dall’insorgenza prepotente degli Usa, con l’ideologia della Frontiera, “go to the West”, e con l’American Drean, o way of life della “classe agiata” di Veblen.
È sempre stato molto idealizzato in Italia, come un’etica superiore, quella dell’onestà e dell’accumulo, o del risparmio. Un’etica anzi trascendentale, o un kantismo volgare, col capitale interprete del buono e del giusto. Non così dove la borghesia governa senza nascondersi (camuffarsi), come negli Usa e in Gran Bretagna: qui si sa e si riconosce legata agli affari.
Col primato protestante (qualcosa del genere c’è in lui, benché storicizzato), Max Weber s’immette nel filone ottocentesco dei primati, sottostante al nazionalismo. È la stessa traccia che segue il darwinismo sociale del reverendo Strong negli Usa col wasp, la superiorità del protestante bianco, o del mito rapidamente costruito della Frontiera. In questo senso l’analisi di M.Weber è – nella misura in cui lo è, in cui si lascia trascinare – doppiamente fasulla: che primato è, quello dello “spirito” capitalistico? È un’invenzione pratica, la scoperta della penicillina? È una virtù?
Si rapporta alla Riforma in quanto si confonde con la libertà politica. Il liberalismo non è il diritto al dissenso (tolleranza) né quello alla proprietà (borghesia). Nasce dalla Riforma, come movimento religioso e come movimento politico (contro l’impero, l’unità della società politica). La libertà è un diritto incomprimibile, quindi non “tollerabile”. E si può accompagnare all’uguaglianza, quindi fare a meno della proprietà. L’equivoco – unicamente italiano, una baggianata – è di identificare capitalismo a libertà politica, e quindi dire: Weber, capitalismo e sette protestanti, eccetera. Mentre il capitalismo è anche, lo è stato pure prima della Riforma, ben cattolico. E la libertà politica è ben difficile che lo sia.
Centro– È all’interno del labirinto. Ne è il cuore.
Non profit – È lavoro socialmente utile, il “terzo settore” di Rifkin, nel senso che ne beneficiano gli sfavoriti. Ma organizzativamente è lavoro servile – non qualificato e non retribuito, se non bonariamente. Si completa, in dolcezza, lo scardinamento delle difese del lavoro.
Res Publica– Concetto superato, se l’interprete di Cicerone è Andreotti. Ma già Cicerone…
Sessantotto – È stato una rivoluzione antropologica, di pedagogia, famiglia, sessualità, sessi, lavoro. E ha affermato la letteratura se non la poesia – la fantasia, l’autonomia dell’individuo - nella vita. Non è stato politico. Cioè, lo è stato in quanto ha dissolto la politica: il Parlamento, i partiti, l’impegno, le istituzioni sono stati ridotti a simulacri – alla merce dell’informale, invasiva, confusionaria anche, opinione pubblica. Non li ha scoperti, si sapeva già che erano una convenzione sociale: li ha resi insignificanti e marginali. Più spesso autoreferenti, e quindi corrotti – la corruzione dopo il movimento dilaga.
Tangentopoli - Una dittatura della giustizia, si dice, non è possibile. Ma una dittatura dei giudici sì. Sia pure sotto forma di sbirri. Che la giustizia privilegia.
astolfo@antiit.eu
martedì 2 novembre 2010
La giustizia delle battone, meglio se drogate
Un tempo, e secondo i codici vigenti, alcune categorie di persone, le prostitute, i drogati, i mafiosi, erano reputate indegne in sede giudiziarie, prevenute di mendacio. Ciò non vale più per i mafiosi da vent’anni, per l’ambigua legislazione sulla collaborazione con la giustizia. Ora, grazie a Berlusconi, il pregiudizio non vale più per le battone, che se sono drogate è anche meglio: sono testimoni eccellenti. Fanno le prime pagine dei grandi giornali. Sono le pupille delle grandi magistrate, le famose Teresa Principato e Ilde Boccassini, le perle della categoria.
Che Berlusconi traffichi droga per la verità non è una prima. È l’argomento di uno dei primi episodi del serial Gomez-Travaglio: trafficava cocaina. Sulla parola di un certo Di Carlo, che così sperava di commutare il carcere britannico con uno italiano. Le due Procuratrici promettono di più. Non si occupano molto di droga se non c’è di mezzo Berlusconi, non sono per questo affaticate, e quindi si presentano alla sfida in ottima forma.
Boccassini e Principato sono famose per aver fatto vincere, da sole, un paio di elezioni a Berlusconi. La Principato nel 1994, accusando la massoneria (senza distinguere quale) di favorire Berlusconi e facendo perquisire tutte le logge, il giovedì o il venerdì prima delle elezioni. La Boccassini gli preparò il trionfo del 2001 con l’inchiesta farlocca sulla Sme, la grande azienda alimentare di Stato: invece di inquisire Prodi e De Benedetti, protagonisti di una vendita fasulla con sicuri, cioè accertati, collaterali politici, sviò le indagini su Berlusconi.
Boccassini per la verità era già famosa per aver chiesto a Milano di essere mandata a Palermo per vendicare Falcone. Dopo aver invettivato pubblicamento il suo collega Gherardo Colombo, alle celebrazioni ambrosiane del giudice assassinato: “Tu l’hai ucciso!”.
Che Berlusconi traffichi droga per la verità non è una prima. È l’argomento di uno dei primi episodi del serial Gomez-Travaglio: trafficava cocaina. Sulla parola di un certo Di Carlo, che così sperava di commutare il carcere britannico con uno italiano. Le due Procuratrici promettono di più. Non si occupano molto di droga se non c’è di mezzo Berlusconi, non sono per questo affaticate, e quindi si presentano alla sfida in ottima forma.
Boccassini e Principato sono famose per aver fatto vincere, da sole, un paio di elezioni a Berlusconi. La Principato nel 1994, accusando la massoneria (senza distinguere quale) di favorire Berlusconi e facendo perquisire tutte le logge, il giovedì o il venerdì prima delle elezioni. La Boccassini gli preparò il trionfo del 2001 con l’inchiesta farlocca sulla Sme, la grande azienda alimentare di Stato: invece di inquisire Prodi e De Benedetti, protagonisti di una vendita fasulla con sicuri, cioè accertati, collaterali politici, sviò le indagini su Berlusconi.
Boccassini per la verità era già famosa per aver chiesto a Milano di essere mandata a Palermo per vendicare Falcone. Dopo aver invettivato pubblicamento il suo collega Gherardo Colombo, alle celebrazioni ambrosiane del giudice assassinato: “Tu l’hai ucciso!”.
Milano, mazzette e morale
Rubavano anche i carabinieri e i cancellieri del Tribunale, oltre ai tecnici del Comune, secondo “il Messaggero” di quindici anni fa, il 18 novembre 1995. Del Comune di Milano e del Tribunale. All'indomani di Mani Pulite e di tutta la tribunalizia spazzatura morale. Un tecnico del Comune si faceva pagare con scopate.
Il furto è – era? - la normalità, nella capitale morale e in tutto il paese. Viene perseguito ma pro forma. Non c’è castigo, poiché non ha valore deterrente. Anzi, il castigo è più spesso un rincaro mafioso: “Paga a me”.
Non nascendo dalla disperazione né dal bisogno, è il furto un’attitudine naturale? Ci vuole educazione per non rubare. È un’attitudine naturale nella civiltà di massa. Livellata, cioè regolata da criteri quantitativi. La società di massa esistendo ormai da quasi un secolo, e prosperando essa come non mai, il furto non è infrazione (disordine) né diminuzione (impoverimento).
Il furto è – era? - la normalità, nella capitale morale e in tutto il paese. Viene perseguito ma pro forma. Non c’è castigo, poiché non ha valore deterrente. Anzi, il castigo è più spesso un rincaro mafioso: “Paga a me”.
Non nascendo dalla disperazione né dal bisogno, è il furto un’attitudine naturale? Ci vuole educazione per non rubare. È un’attitudine naturale nella civiltà di massa. Livellata, cioè regolata da criteri quantitativi. La società di massa esistendo ormai da quasi un secolo, e prosperando essa come non mai, il furto non è infrazione (disordine) né diminuzione (impoverimento).
lunedì 1 novembre 2010
Il duce antifascista
L’annunciata ricucitura dei rapporti tra l’Italia e la Germania a opera di Fini non c’è stata (ma l’Italia e la Germania sono nemiche?). La cancelliera Merkel e il presidente del Bundestag non hanno avuto tempo da dedicargli - la Germania ha la memoria lunga in fatto di fascismo. Fini s’è dovuto contentare di intervenire a un convegno della casa editrice di Axel Springer, vecchio camerata. Ma da nuovo democratico e anzi antifascista: ha anche avuto il tempo di rilevare, infatti, con l’ambasciatore d’Italia Valensise, che tutta la Germania ride di Berlusconi, ride dell’Italia. E tornato a Roma ha tenuto una conferenza stampa per comunicare la scoperta congiunta. Tutto ciò in poche ore, e dunque non si può dire che il presidente della Camera Fini sprechi il tempo, o abusi della sua carica.
Se non che, sentita la terribile nuova, dell’onore nazionale perduto a opera di Berlusconi in Germania, l’incorruttibile sicilianista onorevole Granata ha tuonato: “Non si può stare al governo con Berlusconi”. E lì la cosa ha preso una brutta piega. L’onorevole non sembra un eretico, è anzi uno dei beniamini del pensiero unico, il genere Travaglio-Santoro. Ma i finiani compatti sono scesi in campo, benché non richiesti e appunto senza necessità, per ingiungergli di tacere. Tutti all’unisono, non uno ha detto una parola che l’altro non avesse detta: il verbo è di Fini, gli altri tacciano.
Se non che, sentita la terribile nuova, dell’onore nazionale perduto a opera di Berlusconi in Germania, l’incorruttibile sicilianista onorevole Granata ha tuonato: “Non si può stare al governo con Berlusconi”. E lì la cosa ha preso una brutta piega. L’onorevole non sembra un eretico, è anzi uno dei beniamini del pensiero unico, il genere Travaglio-Santoro. Ma i finiani compatti sono scesi in campo, benché non richiesti e appunto senza necessità, per ingiungergli di tacere. Tutti all’unisono, non uno ha detto una parola che l’altro non avesse detta: il verbo è di Fini, gli altri tacciano.
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (72)
Giuseppe Leuzzi
Sudismi\sadismi. Fondo al vetriolo del “Corriere della sera” domenica 17 sulla farsa in Piemonte, dove si ricontano i voti ma non si sa con quale criterio, e con dubbia autorità. Dopodiché il severo, quasi giansenista, commentatore Cazzullo, uno di Cuneo malgrado il nome, conclude: “La linea della palma è salita fin sulle Alpi”. Povero Piemonte, vittima della Sicilia.
Mafia
Se l’esperienza personale, peraltro di una vita, in una delle aree più mafiose del mondo, potesse valere come legge, un’altra definizione se ne darebbe: “La mafia, cinica, violenta, avida, è stupida”. E furba, tutti gli stupidi sono furbi. L’eloquio mafioso si limita alla minaccia, più spesso sotto forma di silenzio torvo. Fra tutti un solo caso è emerso di razionalità, quella che i sicilianisti definiscono vecchia (buona) mafia, ed è stato l’unico puntato e abbattuto dai carabinieri. È gente del disonore..
Il fine dell’arricchimento (Hess, Sciascia) ha titolo a entrare nella definizione ma senza connotazioni di razionalità o economicismo, poiché non ci sono mafiosi di seconda generazione, e il godimento dev’essere dissimulato – il mafioso vive come un topo, in Mercedes 300 SL.
Anche le imprese mafiose, scrivono i giudici di Reggio Calabria, devono pagare il pizzo al capomafia di zona. Per dispiacere ai teorici della mafia imprenditrice?
È il nemico di dentro e di fuori - opera come un’infezione: la violenza non perseguita, diventa infetta, è un cancro.
È un cavallo di Troia: mentre il Sud è assediato dal nord, ecco insorge la mafia. I mafiosi si fanno forti di essere le terze colonne: cattivi e determinati certo, ma anche brutti, sporchi e ignoranti, vincono perché protetti. Prosperano e impazzano grazie al nemico esterno, che senza far nulla per combatterli, per esempio arrestarli, ne esalta con strilli e urla la potenza e la terribilità. Fiaccando la resistenza.
Uno dei mezzi d’assalto del nemico esterno è la teoria dell’omertà. È come il delitto d’associazione: non se ne sfugge.
Ora che i mafiosi ricattano i “padroni” sul loro territorio si romperà l’alleanza? No, perché il ricatto non c’è, si sono accordati e si accorderanno: il mafioso sa chi è più forte, come sa chi è più debole, può fare errori ma capisce quando deve rientrare nei ranghi.
Calabria
Si fa per i santi un pasto gargantuesco, in famiglia e fuori – mai i ristoranti sono così affollati. Per la stagione forse, che nelle terre di montagna è quella dei funghi e le castagne. O perché è la vigilia dei morti, ricorrenza per la quale tutti ritornano a casa – ci sono più ritorni per i pochi minuti di visita al cimitero che per Ferragosto. Per il perpetuarsi dell’attitudine greca allo scongiuro: sarà una “mangiata” apotropaica, nel senso che “loro sono morti ma noi siamo vivi”.
Anche la conversazione luttuosa che prevale nelle famiglie, in questa come in ogni altro stagione, avrà funzione di scongiuro. Tutto quel parlare di malattie, morti e disgrazie, anche di persone di cui è impossibile tramare un ricordo.
Ha in tutto il complesso della Sicilia, di cui condivide la lingua e quindi la “cultura”. Ma in politica non presume di sé come invece fa l’isola – che pretende sempre di esportare modelli politici, d’influenzare Milano, d’imporre “la linea della palma”, tutto lo scemenzario a cui purtroppo s’è esercitato anche Sciascia. Invece la Calabria ha dato all’Italia il modello della politica degli ultimi vent’anni: col generale dei carabinieri Bozzo, ligure ma comandante in Calabria, e col giudice Cordova, Msi, ha sferrato nel 1990 l’offensiva parafascista contro la politica, iniziando dai socialisti. Mentre il Procuratore Papali, reggino a capo della Procura di Verona, inventava l’arresto preventivo degli imprenditori, l’altro cardine di Tangentopoli. La Caabria ha impiantato il modello del suicidio dell’Italia.
L’offensiva contro i socialisti in Calabria poi non ha prodotto nessuna condanna, nemmeno in primo grado, ma a quel punto il golpe era fatto, anche se non è riuscito – Cordova ancora mastica amaro.
Straordinaria la mancanza d’iniziativa nella provincia di Reggio Calabria. Che solo in parte può scusare la paura, la criminalità. Si prenda la piana di Gioia Tauro, l’ex valle delle Saline, con apice su Delianuova e base su Rosarno e Palmi, un centinaio di kmq. di fertilità straordinaria, per la natura del suolo, l’acqua, l’esposizione. Ma le colture irrigue nella vasta soleggiata valle di Quarantano sono occasionali come sempre e trascurate. Altrove, con meno insolazione e meno acqua, si utilizza l’omeotermia per moltiplicare i rendimenti e perfino i raccolti, con impianti coperti o al calore delle serre, qui si fa il minimo, quanto serve alla famiglia. Tante specialità che si venderebbero a premio, per il sapore e la stagionalità, di cucurbitacee, melanzane, pomodori, fagioli (fagiolini “vajaneje”, fagioli di Spagna), si producono quanto serve. I castagni in collina, che danno un frutto grande e gustoso, le ‘nserte, sono abbandonati, o liberamente tagliati. In tutto il resto d’Italia si è inventata un’economia del castagno, per tutto ottobre e anche novembre, qui si tagliano gli alberi per bruciarli nel caminetto. Dell’olio d’oliva, di cui la Piana di Gioia Tauro è la maggiore produttrice in Italia, per ettaro e nel totale, solo ora si comincia a produrre extravergine di qualità, e ancora, in quantità ridotte, da parte di tre o quattro industriali. Degli agrumi, di cui il reggino vanta una qualità “tutto l’anno”, e una specialmente succosa a buccia sottile, si sa solo che “non vale la pena raccoglierli”. Il vino è inesistente – più spesso berrete il vino sfuso “frizzante” o “fermo” che qualcuno dal Veneto fornisce a tutta Italia. Il vino di Palmi e di Bagnara, che si pregiava ancora nel dopoguerra e costituirebbe una rendita nella crescita esponenziale del mercato del vino, è letteralmente scomparso. Nell’Ottocento se ne faceva industria: “Il vino di Palmi e Nicastro si conserva per otto anni”, attesta il comandante in seconda della Royal Navy britannica Philip James Elmhisrt, che fu prigioniero dei francesi nell’inverno del 1808 tra Gerace e Vibo Valentia in seguito a naufragio: “La superiore qualità di quei vini si deve alla migliore qualità del terreno e alla maggiore cura che si dedica alla coltivazione della vite”.
L’artigianato è abbandonato, del legno, della ceramica, della tessitura. Tutte arti che pure hanno prezzi unitari di vendita elevati. Il turismo, dopo quattro o cinque false partenze (costose campagne promozionali della Regione), si deve forse dire inadatto alla Calabria. Che ne avrebbe tutti i titoli, paesaggistici, la famosa montagna sul mare, scenario unico, di clima, di qualità dell’aria e delle acque. Ma l’ospitalità per cui la penisola va famosa limita evidentemente al fatto personale, e sempre eccezionale, mai dovuto. Non c’è costanza, umiltà, disponibilità. Il servizio è sempre scadente. La cucina trascurata. Il mare cristallino non ha le patenti di Lega Ambiente perché i sindaci non curano i requisiti a monte: servizi igienici, sanitari, di guardia, eccetera. Per non dire del patrimonio culturale, che offrirebbe parecchi punti e manufatti d’interesse esclusivamente locali, magno-greci, brezi, bizantini, normanni, ma sono ignoti agli stessi calabresi, nella famiglie e a scuola.
E le case. Tuguri di cemento armato, solitamente senza tetto, con muri di mattoni forati senza infissi e colonne grezze da cui i tondini di ferro fuoriescono a mazzi, perché il progetto è solo di costruire un piano in più del vicino, e lanciare sul fronte un aggetto il più voluminoso possibile sulle strade e gli altri spazi pubblici. Cemento e polvere invece dei giardini di agrumi, approssimando Reggio Calabria.
Manufatti in cui sono seppelliti i risparmi di una vita, i debiti con la banca, e annualmente le imposte e le tasse. Che non saranno mai completati e utilizzati, e anzi nascono inutili. Nessuno nei Comuni che imponga il rispetto dei regolamenti edilizi per il loro bene. Nessuno che spieghi o fornisca moduli semplici ed economici di costruzione di una civile abitazione, Nessun imprendo tre che metta a punto una formula abitativa in grado di soddisfare le esigenze di chi no ha moto da spendere per una casa vera. Le case migliori sono le costruzioni di chi è emigrato, che di ritorno porta i moduli delle brutte periferie di Milano o di Roma, le sole realtà che ha conosciuto.
È l’anarchia, si dice. È la democrazia integrale. Nessuna Auctoritas è riconosciuta alla funzione pubblica, perché le istituzioni fanno capo agli stessi che le svuotano, se non per fini personali e di clientela. Non c'è disobbedienza perché non c'è governo - se non il governo abusivo dell'abusivismo. Né c’è legge che tenga, l’unica soddisfazione è la sopraffazione. Anche a un costo, c’è chi ci rimette “per il principio” della sopraffazione. Per l’invidia sociale che vi è l’unica costante, e anzi una virtù. Se essa non è, a ben leggere la realtà, il vero cuore della democrazia. Non il benessere, non la libertà, ma la piccola vendetta è lo scopo principale, anche a costo di rimetterci: la democrazia non regolata è una brutta bestia.
La casa è sempre stata un problema in Calabria, espressione materiale dell’anarchismo autodistruttivo, del disordine interiore. Lo svizzero Charles Didier, in viaggio per la penisola nel 1830, a 25 anni, era stupito della natura e delle persone, ma inorridito dalle case: “I villaggi della Calabria, come le città del resto, sono orrendi: nessun ordine, nessuna regola costruttiva, neppure l’ombra di architetture, le case, veri e propri tuguri informi, sono sovrapposte a caso le une sulle altre come massi precipitati dalle montagne per un terremoto…”
Palmi ha un mare di trasparenza cristallina, spiagge di chilometri e un entroterra omerico, ma non ha un piano regolatore. Non che si veda: ognuno costruisce dove vuole, con l’acqua corrente e col bagno, o anche senza, e chiede milioni per l’affitto. Per quante volte?
“Modena libero! No mafia” W la P.S.” Una scritta murale nel quartiere Modena di Reggio Calabria, che chiunque può aver fatto con lo spray, anche un agente di P.S., infiamma da qualche giorno la “Gazzetta del Sud”. Che ci vede “un segnale di svolta”. Verso dove?
leuzzi@antiit.eu
Sudismi\sadismi. Fondo al vetriolo del “Corriere della sera” domenica 17 sulla farsa in Piemonte, dove si ricontano i voti ma non si sa con quale criterio, e con dubbia autorità. Dopodiché il severo, quasi giansenista, commentatore Cazzullo, uno di Cuneo malgrado il nome, conclude: “La linea della palma è salita fin sulle Alpi”. Povero Piemonte, vittima della Sicilia.
Mafia
Se l’esperienza personale, peraltro di una vita, in una delle aree più mafiose del mondo, potesse valere come legge, un’altra definizione se ne darebbe: “La mafia, cinica, violenta, avida, è stupida”. E furba, tutti gli stupidi sono furbi. L’eloquio mafioso si limita alla minaccia, più spesso sotto forma di silenzio torvo. Fra tutti un solo caso è emerso di razionalità, quella che i sicilianisti definiscono vecchia (buona) mafia, ed è stato l’unico puntato e abbattuto dai carabinieri. È gente del disonore..
Il fine dell’arricchimento (Hess, Sciascia) ha titolo a entrare nella definizione ma senza connotazioni di razionalità o economicismo, poiché non ci sono mafiosi di seconda generazione, e il godimento dev’essere dissimulato – il mafioso vive come un topo, in Mercedes 300 SL.
Anche le imprese mafiose, scrivono i giudici di Reggio Calabria, devono pagare il pizzo al capomafia di zona. Per dispiacere ai teorici della mafia imprenditrice?
È il nemico di dentro e di fuori - opera come un’infezione: la violenza non perseguita, diventa infetta, è un cancro.
È un cavallo di Troia: mentre il Sud è assediato dal nord, ecco insorge la mafia. I mafiosi si fanno forti di essere le terze colonne: cattivi e determinati certo, ma anche brutti, sporchi e ignoranti, vincono perché protetti. Prosperano e impazzano grazie al nemico esterno, che senza far nulla per combatterli, per esempio arrestarli, ne esalta con strilli e urla la potenza e la terribilità. Fiaccando la resistenza.
Uno dei mezzi d’assalto del nemico esterno è la teoria dell’omertà. È come il delitto d’associazione: non se ne sfugge.
Ora che i mafiosi ricattano i “padroni” sul loro territorio si romperà l’alleanza? No, perché il ricatto non c’è, si sono accordati e si accorderanno: il mafioso sa chi è più forte, come sa chi è più debole, può fare errori ma capisce quando deve rientrare nei ranghi.
Calabria
Si fa per i santi un pasto gargantuesco, in famiglia e fuori – mai i ristoranti sono così affollati. Per la stagione forse, che nelle terre di montagna è quella dei funghi e le castagne. O perché è la vigilia dei morti, ricorrenza per la quale tutti ritornano a casa – ci sono più ritorni per i pochi minuti di visita al cimitero che per Ferragosto. Per il perpetuarsi dell’attitudine greca allo scongiuro: sarà una “mangiata” apotropaica, nel senso che “loro sono morti ma noi siamo vivi”.
Anche la conversazione luttuosa che prevale nelle famiglie, in questa come in ogni altro stagione, avrà funzione di scongiuro. Tutto quel parlare di malattie, morti e disgrazie, anche di persone di cui è impossibile tramare un ricordo.
Ha in tutto il complesso della Sicilia, di cui condivide la lingua e quindi la “cultura”. Ma in politica non presume di sé come invece fa l’isola – che pretende sempre di esportare modelli politici, d’influenzare Milano, d’imporre “la linea della palma”, tutto lo scemenzario a cui purtroppo s’è esercitato anche Sciascia. Invece la Calabria ha dato all’Italia il modello della politica degli ultimi vent’anni: col generale dei carabinieri Bozzo, ligure ma comandante in Calabria, e col giudice Cordova, Msi, ha sferrato nel 1990 l’offensiva parafascista contro la politica, iniziando dai socialisti. Mentre il Procuratore Papali, reggino a capo della Procura di Verona, inventava l’arresto preventivo degli imprenditori, l’altro cardine di Tangentopoli. La Caabria ha impiantato il modello del suicidio dell’Italia.
L’offensiva contro i socialisti in Calabria poi non ha prodotto nessuna condanna, nemmeno in primo grado, ma a quel punto il golpe era fatto, anche se non è riuscito – Cordova ancora mastica amaro.
Straordinaria la mancanza d’iniziativa nella provincia di Reggio Calabria. Che solo in parte può scusare la paura, la criminalità. Si prenda la piana di Gioia Tauro, l’ex valle delle Saline, con apice su Delianuova e base su Rosarno e Palmi, un centinaio di kmq. di fertilità straordinaria, per la natura del suolo, l’acqua, l’esposizione. Ma le colture irrigue nella vasta soleggiata valle di Quarantano sono occasionali come sempre e trascurate. Altrove, con meno insolazione e meno acqua, si utilizza l’omeotermia per moltiplicare i rendimenti e perfino i raccolti, con impianti coperti o al calore delle serre, qui si fa il minimo, quanto serve alla famiglia. Tante specialità che si venderebbero a premio, per il sapore e la stagionalità, di cucurbitacee, melanzane, pomodori, fagioli (fagiolini “vajaneje”, fagioli di Spagna), si producono quanto serve. I castagni in collina, che danno un frutto grande e gustoso, le ‘nserte, sono abbandonati, o liberamente tagliati. In tutto il resto d’Italia si è inventata un’economia del castagno, per tutto ottobre e anche novembre, qui si tagliano gli alberi per bruciarli nel caminetto. Dell’olio d’oliva, di cui la Piana di Gioia Tauro è la maggiore produttrice in Italia, per ettaro e nel totale, solo ora si comincia a produrre extravergine di qualità, e ancora, in quantità ridotte, da parte di tre o quattro industriali. Degli agrumi, di cui il reggino vanta una qualità “tutto l’anno”, e una specialmente succosa a buccia sottile, si sa solo che “non vale la pena raccoglierli”. Il vino è inesistente – più spesso berrete il vino sfuso “frizzante” o “fermo” che qualcuno dal Veneto fornisce a tutta Italia. Il vino di Palmi e di Bagnara, che si pregiava ancora nel dopoguerra e costituirebbe una rendita nella crescita esponenziale del mercato del vino, è letteralmente scomparso. Nell’Ottocento se ne faceva industria: “Il vino di Palmi e Nicastro si conserva per otto anni”, attesta il comandante in seconda della Royal Navy britannica Philip James Elmhisrt, che fu prigioniero dei francesi nell’inverno del 1808 tra Gerace e Vibo Valentia in seguito a naufragio: “La superiore qualità di quei vini si deve alla migliore qualità del terreno e alla maggiore cura che si dedica alla coltivazione della vite”.
L’artigianato è abbandonato, del legno, della ceramica, della tessitura. Tutte arti che pure hanno prezzi unitari di vendita elevati. Il turismo, dopo quattro o cinque false partenze (costose campagne promozionali della Regione), si deve forse dire inadatto alla Calabria. Che ne avrebbe tutti i titoli, paesaggistici, la famosa montagna sul mare, scenario unico, di clima, di qualità dell’aria e delle acque. Ma l’ospitalità per cui la penisola va famosa limita evidentemente al fatto personale, e sempre eccezionale, mai dovuto. Non c’è costanza, umiltà, disponibilità. Il servizio è sempre scadente. La cucina trascurata. Il mare cristallino non ha le patenti di Lega Ambiente perché i sindaci non curano i requisiti a monte: servizi igienici, sanitari, di guardia, eccetera. Per non dire del patrimonio culturale, che offrirebbe parecchi punti e manufatti d’interesse esclusivamente locali, magno-greci, brezi, bizantini, normanni, ma sono ignoti agli stessi calabresi, nella famiglie e a scuola.
E le case. Tuguri di cemento armato, solitamente senza tetto, con muri di mattoni forati senza infissi e colonne grezze da cui i tondini di ferro fuoriescono a mazzi, perché il progetto è solo di costruire un piano in più del vicino, e lanciare sul fronte un aggetto il più voluminoso possibile sulle strade e gli altri spazi pubblici. Cemento e polvere invece dei giardini di agrumi, approssimando Reggio Calabria.
Manufatti in cui sono seppelliti i risparmi di una vita, i debiti con la banca, e annualmente le imposte e le tasse. Che non saranno mai completati e utilizzati, e anzi nascono inutili. Nessuno nei Comuni che imponga il rispetto dei regolamenti edilizi per il loro bene. Nessuno che spieghi o fornisca moduli semplici ed economici di costruzione di una civile abitazione, Nessun imprendo tre che metta a punto una formula abitativa in grado di soddisfare le esigenze di chi no ha moto da spendere per una casa vera. Le case migliori sono le costruzioni di chi è emigrato, che di ritorno porta i moduli delle brutte periferie di Milano o di Roma, le sole realtà che ha conosciuto.
È l’anarchia, si dice. È la democrazia integrale. Nessuna Auctoritas è riconosciuta alla funzione pubblica, perché le istituzioni fanno capo agli stessi che le svuotano, se non per fini personali e di clientela. Non c'è disobbedienza perché non c'è governo - se non il governo abusivo dell'abusivismo. Né c’è legge che tenga, l’unica soddisfazione è la sopraffazione. Anche a un costo, c’è chi ci rimette “per il principio” della sopraffazione. Per l’invidia sociale che vi è l’unica costante, e anzi una virtù. Se essa non è, a ben leggere la realtà, il vero cuore della democrazia. Non il benessere, non la libertà, ma la piccola vendetta è lo scopo principale, anche a costo di rimetterci: la democrazia non regolata è una brutta bestia.
La casa è sempre stata un problema in Calabria, espressione materiale dell’anarchismo autodistruttivo, del disordine interiore. Lo svizzero Charles Didier, in viaggio per la penisola nel 1830, a 25 anni, era stupito della natura e delle persone, ma inorridito dalle case: “I villaggi della Calabria, come le città del resto, sono orrendi: nessun ordine, nessuna regola costruttiva, neppure l’ombra di architetture, le case, veri e propri tuguri informi, sono sovrapposte a caso le une sulle altre come massi precipitati dalle montagne per un terremoto…”
Palmi ha un mare di trasparenza cristallina, spiagge di chilometri e un entroterra omerico, ma non ha un piano regolatore. Non che si veda: ognuno costruisce dove vuole, con l’acqua corrente e col bagno, o anche senza, e chiede milioni per l’affitto. Per quante volte?
“Modena libero! No mafia” W la P.S.” Una scritta murale nel quartiere Modena di Reggio Calabria, che chiunque può aver fatto con lo spray, anche un agente di P.S., infiamma da qualche giorno la “Gazzetta del Sud”. Che ci vede “un segnale di svolta”. Verso dove?
leuzzi@antiit.eu
domenica 31 ottobre 2010
Dante vivo, in un giallo, negli Usa
Debutto folgorante a 28 anni, ora Pearl ne ha 35. Da scuola di scrittura - la verosimiglianza è snobbata. Ma di capacità superiore, se non altro per la conoscenza di Dante, e delle traduzioni di Dante in America. Di Dante vivo, specie a petto del modesto culto di routine della nostra (non) scena letteraria. Anche nella scelta delle date: il 1865, quando si svolgono i fatti, è il seicentesimo della nascita di Dante - e il calendario del 1865 è uguale a quello del 1300. Tra alcune icone della letteratura americana dell’Ottocento, Longfellow, Lowell, Wendell Holmes, Ticknor. Con l’università di Harvard contro il Circolo Dante, di suoi professori peraltro emeriti: tradurre un poeta medievale, scolastico, cattolico? L'accademia che prende vita è un un miracolo.
Matthew Pearl, Il circolo Dante, Bur, PP. 538 € 9,90
Matthew Pearl, Il circolo Dante, Bur, PP. 538 € 9,90
Ombre - 66
Al quinto giorno Ruby “Rubacuori” cambia le carte in tavola e mette nel mirino il giudice Pietro Forno. Ruby che più che una minorenne sembra una società per azioni: con script-writer, manager, promotori, editori (Mondadori?), addetti all’immagine, p.r. Mentre l’avvocato Ghedini monta il suo team d’investigazioni per conto di Berlusconi.
Volendoci trovare una logica, è tutto un gioco delle parti, o Forno contro Berlusconi. Ma più probabile è la solita comparsata ambrosiana, più stucchevole ormai di una sceneggiata di Merola,"Isso, issa e 'o malamente". Orrenda è poi la claque, i grandi giornali della capitale morale d’Italia.
Di solito, quando Berlusconi viene messo sotto pressione, il fido Confalonieri e la figlie maggiore, gli unici due “operai” del suo gruppo mediatico, intervengono sul “Corriere della sera” per difenderne l’integrità. Questa volta è intervenuto solo Fidel. I figli non hanno molta pazienza coi padri.
Non passa settimana che la Banca d’Italia non trovi un argomento contro lo Ior, la banca del Vaticano. Sul tema turpe del riciclaggio. Il Vaticano lamenta l’accanimento, e del resto nessuno crede al riciclaggio del Vaticano. Resta da sapere perché queste “notizie di reato” si accavallano. Non da parte della magistratura ma della Banca d’Italia. La risposta è che il governatore sente puzza di governo tecnico e aspira alla pole position. Ma governatore è il buon credente Draghi, educato dai gesuiti. Che dobbiamo pensarne? Che Draghi pratica il rovescio del noto “Parigi val bene una messa”, del miscredente Enrico IV di Francia? Che i gesuiti sono diventati antipapisti?
Maria Cassi, che per anni ha recitato incognita al suo Teatro del Sale di Firenze, tra l’altro ottimo ristorante, gestito dal marito Fabio Picchi, patron del celebrato Cibreo, diventa un must per Milano e i suoi giornali dopo che stata scoperta a New York e a Parigi. Provincialismo?
Carlo Vizzini, presidente Pdl della Commissione Affari costituzionali alla Camera, propone un referendum della maggioranza sul lodo Alfano – il referendum minacciato dall’opposizione. Sicuramente infatti lo vincerebbe. E questo ripropone il quesito: perché la sinistra, Napolitano in testa, fa quadrato a difesa di una casta, quella dei giudici, e dei suoi privilegi. Una casta per di più cinica e spesso corrotta. Non per senso dello Stato, fa ridere.
Alemanno concorda col Prefetto che d’ora in avanti si farà a Roma “un solo corteo al giorno”. E ne dà annuncio trionfante.
S’impone giustamente la raccolta differenziata della spazzatura. Roma ha esordito imponendo in Centro la raccolta in sacchetti di vari colori, ognuno dei quali andava lasciato in giorni predeterminati in un luogo comune, in genere non distante, se non nell’androne del proprio palazzo. Poi si è imposto di portare i sacchetti in luoghi di raccolta sempre più lontani. Ogni colore in un posto diverso. Ora s’impone di portarli in luoghi sempre lontani, in luoghi diversi e giorni diversi a seconda del colore, in orari diversi e tassativi. Come se Roma vivesse per la raccolta della spazzatura.
Piero Ostellino lamenta sul “Corriere” il finto giornalismo (scoop) delle ville di Berlusconi. Ma omette di dire che è il suo giornale ad averlo imposto, montando il debole servizio di “Report”.
Alfonso Marra, napoletano, 71 anni, della cui vita in magistratura a Milano tutte le correnti riconoscono “l’assoluta correttezza”, così l’impavido Ferrarella sul “Corriere della sera”, deve lasciare la magistratura perché in sospetto a un altro giudice, il dottor Capaldo, che a Roma si sta preparando la pensione da senatore della sinistra. Giustizia a Milano? E a Roma? Ma finisce sempre così, per i napoletani a Milano.
Marra doveva essere giudicato e condannato dal Csm per aver caldeggiato in un paio di telefonate la sua promozione. Da un Csm soprannominato Consiglio degli Straccivendoli Magistrati, di cui ognuno dei membri ha fatto almeno un centinaio di telefonate per assicurarsi il posto. Non molto onorevole, anzi da boia giudiziario, ma per questo ambito. Giustizia, presidente Napolitano del Csm?
Volendoci trovare una logica, è tutto un gioco delle parti, o Forno contro Berlusconi. Ma più probabile è la solita comparsata ambrosiana, più stucchevole ormai di una sceneggiata di Merola,"Isso, issa e 'o malamente". Orrenda è poi la claque, i grandi giornali della capitale morale d’Italia.
Di solito, quando Berlusconi viene messo sotto pressione, il fido Confalonieri e la figlie maggiore, gli unici due “operai” del suo gruppo mediatico, intervengono sul “Corriere della sera” per difenderne l’integrità. Questa volta è intervenuto solo Fidel. I figli non hanno molta pazienza coi padri.
Non passa settimana che la Banca d’Italia non trovi un argomento contro lo Ior, la banca del Vaticano. Sul tema turpe del riciclaggio. Il Vaticano lamenta l’accanimento, e del resto nessuno crede al riciclaggio del Vaticano. Resta da sapere perché queste “notizie di reato” si accavallano. Non da parte della magistratura ma della Banca d’Italia. La risposta è che il governatore sente puzza di governo tecnico e aspira alla pole position. Ma governatore è il buon credente Draghi, educato dai gesuiti. Che dobbiamo pensarne? Che Draghi pratica il rovescio del noto “Parigi val bene una messa”, del miscredente Enrico IV di Francia? Che i gesuiti sono diventati antipapisti?
Maria Cassi, che per anni ha recitato incognita al suo Teatro del Sale di Firenze, tra l’altro ottimo ristorante, gestito dal marito Fabio Picchi, patron del celebrato Cibreo, diventa un must per Milano e i suoi giornali dopo che stata scoperta a New York e a Parigi. Provincialismo?
Carlo Vizzini, presidente Pdl della Commissione Affari costituzionali alla Camera, propone un referendum della maggioranza sul lodo Alfano – il referendum minacciato dall’opposizione. Sicuramente infatti lo vincerebbe. E questo ripropone il quesito: perché la sinistra, Napolitano in testa, fa quadrato a difesa di una casta, quella dei giudici, e dei suoi privilegi. Una casta per di più cinica e spesso corrotta. Non per senso dello Stato, fa ridere.
Alemanno concorda col Prefetto che d’ora in avanti si farà a Roma “un solo corteo al giorno”. E ne dà annuncio trionfante.
S’impone giustamente la raccolta differenziata della spazzatura. Roma ha esordito imponendo in Centro la raccolta in sacchetti di vari colori, ognuno dei quali andava lasciato in giorni predeterminati in un luogo comune, in genere non distante, se non nell’androne del proprio palazzo. Poi si è imposto di portare i sacchetti in luoghi di raccolta sempre più lontani. Ogni colore in un posto diverso. Ora s’impone di portarli in luoghi sempre lontani, in luoghi diversi e giorni diversi a seconda del colore, in orari diversi e tassativi. Come se Roma vivesse per la raccolta della spazzatura.
Piero Ostellino lamenta sul “Corriere” il finto giornalismo (scoop) delle ville di Berlusconi. Ma omette di dire che è il suo giornale ad averlo imposto, montando il debole servizio di “Report”.
Alfonso Marra, napoletano, 71 anni, della cui vita in magistratura a Milano tutte le correnti riconoscono “l’assoluta correttezza”, così l’impavido Ferrarella sul “Corriere della sera”, deve lasciare la magistratura perché in sospetto a un altro giudice, il dottor Capaldo, che a Roma si sta preparando la pensione da senatore della sinistra. Giustizia a Milano? E a Roma? Ma finisce sempre così, per i napoletani a Milano.
Marra doveva essere giudicato e condannato dal Csm per aver caldeggiato in un paio di telefonate la sua promozione. Da un Csm soprannominato Consiglio degli Straccivendoli Magistrati, di cui ognuno dei membri ha fatto almeno un centinaio di telefonate per assicurarsi il posto. Non molto onorevole, anzi da boia giudiziario, ma per questo ambito. Giustizia, presidente Napolitano del Csm?
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