È un testo dei “Latter Day Pamphlets” (1853) ma più apocalittico degli altri, mai pubblicato in evidenza, mai tradotto, di critica radicale all’uguaglianza e all’abolizione della schiavitù – già in corso peraltro, nelle Antille britanniche cui Carlyle si riferisce, dal 1807, da oltre quarant'anni quindi, e in tutto l'impero britannico dal 1838. Più violento ancora nel titolo inglese, “Occasional Discourse on the Nigger Question”, dove lo storico e filosofo scozzese volle peggiorare pure l’aggettivazione, sostituendo il “negro” della prima redazione nel 1849 col più spregiativo “nigger”. Da parte di un fautore del suffragio allargato, storico simpatetico della Rivoluzione francese, traduttore e corrispondente di Goethe, amico di John Stuart Mill, ammirato da Ralph Waldo Emerson, altro grande liberale.
Il curatore di questa traduzione cita Herbert Spencer, secondo il quale Carlyle era umorale: “Secretava ogni giorno una certa quantità d’imprecazioni e gli bisognava trovare qualcosa o qualcuno su cui riversarle”. Ma anche il ragionamento a tratti è intollerabile. Era l'anno dopo il Quarantotto, la “primavera dei popoli”, una sorta di “sorpasso democratico” sull'ordinato svolgimento della storia, che Carlyle aveva accolto con furiosa stizza. Il momento storico insomma è particolare. Ma la critica alla uguaglianza Carlyle spinge al dileggio, in particolare per gli africani, che vuole servi per così dire costituzionali: “Servi di quelli che sono nati più intelligenti di voi,che sono i vostri signori di nascita, servi dei Bianchi, se questi ultimi sono nati (e chi potrebbe dubitarne?) più intelligenti di voi”. Lo stesso Thierry Gilleboeuf, che ripropone il pamphlet in francese, ne è imbarazzato: ne fa una curiosità storica, tradotto per una sorta di completezza dell’informazione su Carlyle.
Il lettore italiano vi trova invece più cose. Anzitutto le radici della Lega di Bossi, antimeridionali, antistranieri, che poi sono una: l’indignazione (“l'indignazione”, annota Gilleboeuf citando Dario Fo, che “è l'arma dei coglioni”). Il “negro” è sfaticato, fa troppi figli, è ubriacone, non cura il lavoro né ha ambizioni – non produce. Curiosamente, J.S.Mill non si occupa nella risposta di argomentare contro questi pregiudizi, si limita a difendere l’abolizione della schiavitù in quanto “riduce” le sofferenze di grandi masse di persone. Il problema vero, dice J.S.Mill, ma questo è anche il rovello di Carlyle, è il lavoro. È il tema più interessante del libello. Il lavoro per il mercato, che sia cioè remunerabile e riproducibile. Il lavoro deve avere un costo-retribuzione, ma cosa deve dare in cambio? È il problema della produttività.
J.S.Mill ha risposto nel 1850 alla prima pubblicazione del pamphlet con una lunga critica, “The Negro Question”, specialmente acerba sulla questione dell'uguaglianza - ma senza togliere l’amicizia a Carlyle. Sia Carlyle sia il suo amico J.S.Mill hanno parole dure su che cosa è “necessario” produrre. Ma Carlyle ne parla anche da economista e, a parte le intemperanze, viene utile ancora oggi. L’abolizione della schiavitù nelle Antille britanniche, mentre vige ancora in quelle francesi, a Cuba e in Brasile, mette fuori produzione chi lavora sotto la legge britannica. Attualizzando: è il problema delle garanzie etiche e normative al lavoro in Europa e negli Usa che non vigono invece nel resto del mondo. L’abolizione della schiavitù senza correttivi ha prodotto nelle Antille britanniche carenza di manodopera, che va colmata con nuova immigrazione dall’India, retribuita, ma poco e male, in un sistema produttivo che s’impoverisce, pieno di sottoccupati e inoccupati (Carlyle cita qui l’Ignavia di Dante, degli “oziosi” che si accontentano di “mangiare le loro zucche”). Attualizzando: è il mercato del lavoro diviso e non unico, tra quello garantito, che può anche non produrre, non per il suo costo, e al limite può accontentarsi della sopravvivenza, anche se mette a rischio l’intero sistema produttivo, e il lavoro precario (occasionale, in nero, immigrato).
Dietro i sarcasmi razzisti Carlyle appare a suo modo coinvolto: è qui che conia l’epiteto di “scienza triste” per l’economia (ma dismal è di più, è tetra, sconsolante). Non è, dice, la “gaya scienza” dei trovatori – altro eco che ritornerà con Nietzsche.
Thomas Carlyle, Discours de circostance sur la question noire, Mille-et-une-nuits, pp.119, € 3,85
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