Il rinnovato boom della Germania, con una crescita nel 2010 di ben il 3,7 per cento, si produce in presenza di vincoli legali al lavoro più rigidi che in Italia. L’art. 18, in Germania in vigore dal 1951, è stato lievemente ristretto, ma si applica pur sempre alle aziende con più di 10 dipendenti (in Italia sono 15). Inoltre, rimane in vigore la Mitbestimmung, la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda. E un sistema contrattuale nazionale e statuale (dei Länder, le grandi regioni). In questo quadro, però, il sindacato ha negoziato e accettato una forte serie di limitazioni, già negli anni del governo rosso-verde del cancelliere Schröder, quando la disoccupazione era arrivata poco sotto i cinque milioni.
Nel 2004 imprenditori e sindacato hanno sottoscritto gli “accordi di Pforzheim”, ipotizzando una serie di deroghe aziendali ai contratti, sia sul salario che sull’orario di lavoro. In particolare, hanno aperto la strada ad Accordi (alleanze) aziendali per il lavoro: accordi tra imprese e consigli di fabbrica per garantire comunque il posto, in cambio di orari e salari flessibili. Accordi o alleanze che coprono ormai più delle metà delle grandi aziende, e un terzo di tutte le aziende tedesche. Altre innovazioni del secondo governo Schröder hanno riaperto i contratti di apprendistato e di formazione, con una riduzione degli oneri sociali, e un parallelo scudo fiscale per i capitali esportati all’estero. Una particolare valvola di flessibilità sono i minijob (per retribuzioni fino a 400 euro al mese), e i medijob (fino a 800), con aliquote fiscali e sociali limitate.
La disoccupazione è stata così ridotta drasticamente e durevolmente. Su questa base la cancelliera Merkel ha poi potuto innalzare notevolmente l’età della pensione, a 67 anni – pur col beneficio transitorio del raddoppio dell’indennità di disoccupazione, da 12 a 24 mesi. In una prospettiva di sviluppo dell’occupazione. Il presidente della Federmeccanica tedesca ha spiegato che il problema principale è avere lavoro qualificato: “Se a noi mancasse la gente nelle officine, che crea innovazione e crescita, tutto il nostro benessere andrebbe perduto. Le nostre maestranze dovranno diventare non solo più grigie, ma anche più femminili e culturalmente variopinte”. Il nuovo boom è buona parte frutto della stessa industria metalmeccanica, che pure è ritenuta “matura”, se non obsoleta: l’industria automobilistica è riuscita a comprime i prezzi di un 25 per cento, senza scadere di qualità, ed è quindi oggi imbattibile in Europa.
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