Non se ne parla perché, dopo il salvataggio dell’Irlanda, la parola d’ordine è: “Tutto è in ordine”. Ma la proposta degli eurobond resta sul tappeto, ed è anzi l’unica fra le tre proposte emerse in autunno a restare in circolazione. Con più credito di quella adottata, voluta dala Germania: guarnire i salvataggi con una “convergenza” delle politiche fiscali nazionali. Che è in realtà la ricetta del salvataggio classico, caso per caso. Le altre due proposte sono il raddoppio della consistenza attuale (440 miliardi di euro) del Fondo europeo di stabilità, avanzata dal ministro delle Finanze belga Reynders, e la facoltà al Fondo di acquistare titoli di Stato nei paesi a rischio, avanzata dalla Banca centrale del Lussemburgo.
Gli eurobond sono titoli europei di debito. Progettati da Tremonti e dal presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, si basano sulla creazione di un’Agenzia europea del debito, che progressivamente verrebbe ad assorbire l’indebitamento dei paesi membri. L’Agenzia configura un mercato di titoli europei a tasso unico (tre mesi fa i differenziali erano arrivati fino al 3 per cento, rispetto ai titoli guida tedeschi). Che abbia le dimensioni del mercato dei titoli Usa, e quindi la stessa attrattiva per le grandi economie emergenti e i fondi sovrani. E strumenti in grado di sollevare i paesi dell’euro più indebitati dallo “schiacciamento monetario”: con la facoltà quindi di emettere obbligazioni fino al 40 per cento del pil dell’Unione monetaria, e di rilevare fino al 50 percento delle emissioni dei paesi membri (fino al 100 per cento nei casi di paesi a rischio crisi), sempre a tasso unico.
La Germania di Angela Merkel non ha voluto prendere il progetto in considerazione. In parte per mercantilismo, per lucrare il vantaggio differenziale dei suoi titoli di debito rispetto agli altri paesi dell’euro, la “superbia del virtuoso”. In parte anche perché quella degli eurobond è stata finora una proposta praticamente intellettuale. Presentate da due personalità politiche stimate, Tremonti e Juncker, ma di due governi minori della Ue - l’Italia avendo perduto ogni contato e credito, ormai da tempo, dalla caduta del Muro e la riunificazione della Germania, con Bonn-Berlino, anche per l’attitudine superbamente solitaria della Germania, sotto il cliché stantìo dell’asse con Parigi (nell’ultima crisi la cancelliera Merkel ha lasciato cadere nel nulla l’apprezzamento pubblico di Mario Draghi, il governatore della Banca d’Italia, sospettandolo forse di volere la poltrona di presidente della Bce, che invece dovrà essere tedesca).
Ma gli eurobond sono rimasti sul tappeto, come soluzione unica all’eccessivo debito europeo. L’attesa è concorde tra gli operatori finanziari che l’intervento caso per caso non è risolutivo, e che anzi ogni intervento apre le cateratte a un nuovo più massiccio intervento. Questa è l’opinione anche, dietro l’ottimismo di facciata, dell’Eurogruppo, che Tremonti ha reso pubblica mercoledì brutalmente. Compreso, nell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble - che nella coalizione di Angela Merkel, sassone dell’Est, rappresenta la tradizione cristiano-sociale e della vecchia Repubblica renana: “Prima dobbiamo migliorare gli strumenti che abbiamo; se questi non funzionano, allora, in questo ordine, dobbiamo parlare di alternative”. Come Tremonti e Juncker, Schäuble non fa della tenuta dell’euro una questione di potere, nazionale o regionale, ma di strumentazione: l’euro sarà, come egli dice, “uno strumento nuovo, in chiave con le esigenze del ventunesimo secolo”, ma è anche “una unione monetaria senza essere fiscale e politica”. L’Eurogruppo si appresta a emissioni record di nuovo debito nel corso del 2011, per non meno di 800 miliardi, metà dei quali della Francia e della Germania: una porta spalancata al rialzo degli interessi, cioè alle banche, da quì l'irritazione di Tremonti.
L’Agenzia di Tremonti e Juncker sembra la quadratura del cerchio, per uscire dal circolo vizioso del debito che crea debito e impedisce ogni rilancio dell’Europa, e lo è. Ma è la sola misura in grado di garantire contro la volatilità dei debiti pubblici nazionali, che è il vero motore della speculazione –l’avidità vince se fa leva sull’obbligo di difesa preventiva. Ed è poco costosa, meno che il Fondo. Per la Germania la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” stima il costo in 17 miliardi in tre anni, molto meno di quanto la stessa Germania potrebbe guadagnare dal rilancio delle economie dell’Unione. Con Schäuble si sono detti possibilisti in Germania pubblicamente Frank-Walter Steinmeier e Peer Steinbrück, ministri degli Esteri e delle Finanze del primo governo Merkel, di Grande Colazione con i socialdemocratici (2005-2009), personalità sempre eminenti nel campo socialista. Che propongono gli eurobond come “segnale politico inequivocabile” per prevenire attacchi alla Spagna e all’Italia, benché con emissioni di ammontare “limitato” – clausola che evidentemente non ha senso economico, serve ad addolcire la novità per un pubblico da qualche tempo in Germania conservatore. Proprio una Bce entro l’anno a presidenza tedesca, come si dà per scontato, avrebbe l’interesse maggiore a un’Agenzia del debito, per riprendere la sua autonomia in materia monetaria evitando di ridursi a bad bank, deposito di titoli spazzatura.
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