astolfo
Civiltà – La crisi della civiltà è la guerra perduta. Anche dalla Francia, le cui guerre gliele hanno vinto gli Usa, in mezzo alla deiezione morale del paese.
Giornalismo – È una frazione, residua, dei mass media – dove tutti corrono a professarsi giornalisti, ma solo in Italia, per i privilegi connessi alla previdenza. Dell’enorme galassia della comunicazione cioè, dalla pubblicità commerciale al marketing, e dalle forme di rappresentazione che ne fanno un settore dello spettacolo, con i talk show, il cinema-tv verità, i reality show, gli stessi telegiornali e la televisione tutta, 24 ore d’immagini, su cento, mille canali. Una frazione piccola ma di grande “potere”, come d’illusionismo perfetto, alla Houdini, benché indirizzato a fin di bene. Una sorta di lievito, o di germe, con cui si dà sostanza all’insignificanza generale, o significanza della comunicazione di massa, corriva, sussidiaria, ancillare. Rende possibile la gestione dell’opinione con pochi o minimi argomenti.
Novecento – È stato il parossismo dell’Europa prometeica, un avvitamento, un delirio. Il primo industrialismo, a metà Ottocento, aveva maturato l’idea che una nuova specie di uomini, con un’altra storia, fosse in arrivo: è la traccia che da Saint-Simon, Fourier e Marx porta a Veblen e, nel delirio, a Nietzsche.Poi venne l’idea che la tecnica portasse una nuova specie di uomini. Alcune tracce di questo Prometeo, essenzialmente Heidegger, si collocano su quelle del nazismo, della pulizia etnica. Altre su quelle del comunismo staliniano, e dell’imperialismo americano, della potenza militare sconfinata – entrambe sono crollate con gli euromissili di Breznev e le guerre stellari di Reagan. La globalizzazione ridimensionerà questa febbre. Che però può sempre nuocere gravemente: l’idea che tutto è possibile lungo l’asse denaro-potenza è sempre, malgrado il Novecento rovinoso, fortissima.
Nietzsche naturalmente fa molto i più, fiutando con alcuni decenni d’anticipo l’uomo massa e la società di massa. Che è l’unico segno di realismo – rifiutato (snobisticamente, non aristocraticamente) – del secolo.
Sarà stato il secolo primo della secolarizzazione del mondo – della riduzione del mondo a evento materiale. L’Ottocento che l’ha avviata la viveva ansioso, incerto, il Novecento senza residui. Con esiti insieme brillanti e nefasti. Stragi senza precedenti, per grado di odio e devastazioni, progresso economico e tecnico senza precedenti. Mentre il sacro si è ridotto alla storia delle religioni e a una generica buona condotta: giusto e ingiusto, amico e nemico, piccole categorie, astratte e temporanee. Sarà stato il secolo dei semplificatori, la religione dà le proporzioni.
Sindacalismo - Il “Corriere della sera” scopre con Pino Sarcina, il primo giorno del nuovo anno 2011, che il sindacalista più duro della Volkswagen può diventare dirigente della stessa azienda. E anzi consigliere d’amministrazione. O meglio consigliere di gestione, membro del comitato che si riunisce ogni lunedì per decidere il da farsi. Non è mai troppo tardi? È una (timida) critica a Landini, dei sindacalisti carrieristi in proprio? No, è Togliatti: è la cattiva lezione togliattiana, purtroppo indelebile, del fare finta che il mondo non esiste.
In Germania il sindacato è quello che era: l’organizzazione che protegge il lavoro e il salario. In Italia è, come tutto del resto, un fatto di potere. Anzi una scorciatoia per il potere. Che molti sindacalisti hanno tentato, senza peraltro riuscire. In particolare i leader della Cgil, Lama su tutti e Cofferati – che per la sua carriera personale imbarcò il sindacato in una manifestazione mostruosa a Roma, dove, si disse, portò tre milioni e mezzo di persone (la Cgil paga ancora il mutuo). In Germania non c’è il partito tra il padrone e il sindacato. Né c’è in astratto, se si fuoriesce dalla trattativa-con-sciopero, il sindacato non ha altri strumenti – a meno, certo, della revoluciòn, ma quella è roba di Castro, di Chàvez, del subcomandante Marcos. E lo sciopero ha senso e forza all’interno di un negoziato, non contro il negoziato.
Sviluppo – È urbano. È legato alla rendita fondiaria. Il capitale (l’accumulazione riproduttiva) origina dall’insediamento-affollamento. Con le opere che a cascata si sono rese necessarie (ostensive, igieniche, sociali) alimenta un processo sostenuto di riproduzione del capitale. All’inizio è l’incontro fra una rendita di posizione e il bisogno di stare insieme. La rendita fondiaria è una rendita di posizione, il territorio in sé, pur essendo limitato, lo è meno degli altri fattori, l’acqua, la salubrità, il meridiano.
I limiti allo sviluppo, se ci sono, non lo stabilizzano ma lo svuotano. A meno di non ricostituire, attraverso questi “limiti”, nuove rendite – rendite monetizzabili, non spirituali.
Tecnici – Se ne sottintende il primato in politica, per una sorta di purezza originaria, e per il privilegio del sapere (esperti). Ma in politica configurano un soviet piuttosto che una élite, poiché mescolano il connotato notabilare, da Nomenklatura, con la “elezione dal basso”, dal favore popolare, piuttosto che con l’eccellenza del proprio ruolo, che necessariamente ancora latita.
Viaggiare – Dai tempi di Omero è inventare. Anche le cose viste.
Viaggiare è avvicinarsi. O allontanarsi. O tutt’e due, una compresenza: mentre si avvicina all’ignoto uno torna con occhio nuovo al noto, in forma di nostalgia, critica, rifiuto, per la prospettiva mutata.
Si vede comunque poco. Sempre si scopre, cioè, ma poco s’impara, si mette in cascina. Uno esce dalla stazione Piramide all’Ostiense, dove magari abita, e vede un’altra piramide di Cestio, inattesa, troppo bianca, troppo grigia, un’altra porta San Paolo, la stessa stazione sembra diversa e bisogna ogni volta orientarsi, sebbene sia solo una tettoia su due binari. O altri luoghi usati. E il contrario è pure vero, in alcuni luoghi si è già stati, senza affannarsi fra treni e aerei.
astolfo@antiit.eu
lunedì 10 gennaio 2011
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