astolfo
Capitalismo – I leveraged buy-out, i raid, eccetera, sono la fine di ogni “giustificazione” del capitalismo. Alleanze mutevoli, tra banditi di lungo corso, per assaltare di nascsto, e poi smembrare e cancellare ogni ipotesi di razionalità e d’impegno costruttivo, dietro lo scudo della “cerazione di valore” che è invece il mero istinto – la violenza – che presiede all’accumulazione. Un’azienda è un corpo vivo, che non si smembra impunemente. Il gioco del rso vede normalmente tutti sconfitti, come nelle economie mafiose, gli assalti non solo ma anche il corteo degli assalitori, fondi, banchieri, cordate.
Il capitale, essendo crudele, non può essere saggio. Perché dovrebbe esserlo? Per comprarsi una coscienza (razionalità). Nei suoi primi millenno l’evergetsimo è stato di rigore, le opere di bene. Il capitale deve sempre discolparsi. Anche se forse è necessario, comunque inevitabile. Come l’amore.
L’assunto di Weber, che lega (legherebbe, in Italia si vuole così, in realtà non lo fa) lo sviluppo del capitale al protestantesimo, è vero in colonia. Il Brasile ha tutto più degli Usa: clima, vegetazione, fiumi e comunicazioni interne, minerali. Anche l’Angola. Se al Sud fossero andati i Padri fondatori invece dei cappuccini, che subito si insabbiarono con le africane…
Chiesa - È il contrario del nome: non unisce ma separa, attraverso i sacramenti, i dogmi, la liturgia, i santi, la morale.
È proprio di ogni profeta, e quindi di ogni dottrina o istituzione, recare un proprio messaggio. La chiesa – qualsiasi chiesa – non può andare più in là di questo messaggio, in quanto comunità di un profeta?
La chiesa cattolica è laica. Nel regno di Giovanni Paolo II la sua laicità è perfino eccessiva, il papa era un laico benché prete. La chiesa è stata emendata dai laici molto di più e più profondamente che dai suoi più agitati riformatori, francescani, domenicani, gesuiti. Suo titolo di merito è semmai di capire in tempo utile, anche se con ritardi qualche volta di secoli, e con errori costosissimi, perché e come cambiare.
I ritardi testimoniano il suo non opportunismo, la sua ascendenza trascendentalistica. Ma non ne fanno certo il depositario della verità. Gli adeguamenti temperano peraltro sostanziosamente la sua ispirazione trascendentale.
Commercio – È il miglior veicolo, dopo Constant, delle “sorti progressive”. I romani antichi e Napoleone puntavano invece sulla guerra – che ancora per Lujo Brentano è il motore del progresso - e la politica. Le arti, la letteratura e la filosofia rispendono sulla mediocrità del business, tra gli antichi greci e nel Rinascimento. L’utopia però, il desiderio, eccetera, riportano ai romani.
Nella globalizzazione, trionfo del commercio, torneranno le arti, la letteratura e la filosofia?
Consumi – La civiltà dei consumi, si diceva, vent’anni fa, prima o dopo Tienanmen, dopo il secondo, o terzo, shock petrolifero, sta per finire. L’acquisto e il consumo che hanno sostituito, con l’imporsi definitivo dell’economia finanziaria nella specializzazione internazionale, il lavoro e lo scambio diretto come estensione della persona. E c’erano già i discorsi di fine del mondo, non sapendo cosa si sarebbe sostituito al consumo per continuare il piacere di estendere nelle cose la vitalità umana. Poi venne Tienamen, l’accordo non detto Usa-Cina. Col decollo invece dichiarato della globalizzazione: ineccepibile, che alcuni miliardi di persone porta ai consumi.
Controriforma – È un mutamento radicale nello svolgimento della storia, perché mette la realtà al riparo dall’indagine critica, teorizzando la tolleranza come sistema di convenzioni (convenienze).
È cultura generale in Europa, anche nei paesi riformati. V. la teorizzazione “controriformistica” del vescovo Berkeley sulla natura convenzionale – Popper dice strumentale – della conoscenza. Così come era cultura generale la Riforma, che condivide molte ricette con le regioni più (convintamente) cattoliche, l’Italia del Nord, la Francia e la Germania del Sud: individualismo, tolleranza, ipocrisia, con parafrasi delle Scritture e sortes vergilianea per la necessaria Auctoritas.
Fondamentalismo –Il suo suicidio contempla non in modo estemporaneo, o a uso tattico, poiché è il dominio della morte. Facendosi l’esame dopo la sconfitta (“Ex captivitate salus”, pp. 91-94), Carl Schmitt scopre l’autoannientamento insito nell’annientare il nemico, nel volere il nemico annientato.
Giustizia – “L’indugio delle leggi” è per Shakespeare (“Amleto”, brano dei sassi e dei dardi), insieme con “l’ingiustizia dell’oppressore e l’ingiuria dell’uomo superbo”, tra le cose che rendono la vita difficile da sopportare.
Occidente – Non è una meta, sta “in pizzo”, come uno dei suoi tanti finis terrae. L’Occidente era il limite con le colonne d’Ercole, dove l’uomo muscolare si fermava - terminava la sua corsa dalle steppe dell’Asia. Ma perché non si correva verso quelle steppe?
Andando a sinistra, nel vecchio mondo patto, si cadeva subito di sotto. Andando a Oriente invece no. Nasce da qui la profondità dell’Oriente?
Si è salvato a Maratona, o a Salamina, al Garigliano, a Granada, a Lepanto, a Vienna. E a Stalingrado. L’Occidente salvato da Stalin non è male – dall’Oriente.
È terra e acqua: densità e intensità. È il “ventre molle”: solo sesso, niente bocca; solo nervi, niente denti; solo umori, niente feci. È la Grande Madre? L’Occidente è allora l’emancipazione inutile.
L’Oriente s’incontra per via di Occidente, in senso colombiano. In senso colombiano si può non incontrarlo mai, perché l’Occidente si sposta con noi – si mimitizza attorno a noi e non ci consente d’incontrarlo (ricostruirlo), e quindi di uscirne, se uno volesse. Andare nell’altro senso è come, da attaccante della propria squadra, avventarsi stolidamente all’indietro e dare una zuccata contro il proprio difensore. Si può fare ma non è bene, non è necessario, e le conseguenze possono essere pessime.
L’immaginario greco va verso Occidente: le Esperidi, gli Argonauti, le Colonne d’Ercole, Atlante. Le Esperidi che poi erano il posto della terribile Medusa. La via d’Occidente, l’unica aperta ai greci, popolo terragno adattatosi a fare il marinaio, era quella della curiosità, lusinga e minaccia insieme. L’Occidente, al fondo, è la curiosità (avventura, ricerca, innovazione).
Ma poi, nei fatti, l’Occidente cos’è? La filosofia greca, la civiltà romana, il cristianesimo, Carlo Magno, il Rinascimento, la Conquista, la rivoluzione industriale, le rivoluzioni costituzionali e sociali, nel senso della libertà. Con i processi alle streghe e la tratta dei negri, e tuttavia sempre sotto la legge: il dominio è sempre stato temperato, dal diritto prima ancora che dal cristianesimo. I disastri del Novecento, nazismo e sovietismo, vanno bene in conto all’Oriente.
“Sarebbe una buona idea”, diceva Gandhi arguto. Ma è l’unica delle buone idee politiche che in qualche modo si è realizzata.
È la storia. È figlio di Erodoto, né più né meno: dopo il mito la storia. È un tentativo.
“Questa difesa della storia”, dice Ernst Jünger (“Al muro del tempo”, 40), “è il grande tema della civiltà occidentale”. E implica una funzione lineare: la memoria non come fatto episodico ma normativo (la storia “maestra di vita”): “L’essenziale è il mantenimento di un nomos particolare”, dice ancora Jünger (p.41), “di un modo di essere che si riafferma nelle civiltà e nelle culture, che viene difeso nelle guerre. È la dignità dell’uomo storico che ha cercato di affermarsi da un lato contro le forza della natura e i popoli barbari, dall’altro contro il ritorno delle potenze mitiche e magiche”.
astolfo@antiit.eu
giovedì 27 gennaio 2011
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