Un diario di viaggio, un trattamento, e un documentario, il tutto poco curato ma già nell’impianto esplicito, di un’antropologia povera. L’occhio di Pasolini è sempre distratto e interiore - l’India sa perfino di “vacanza intelligente” più che di letteratura di viaggio, meno che mai d’impegno politico vero (attento, studioso).
Gli “Appunti“ sono un lavoro lungo dieci anni, e tuttavia non hanno una sola immagine reale di Africa. Il continente è un nome e uno sfondo per il sentimento del tragico, sia negli “Appunti” che nel “Padre selvaggio”, che Pasolini sente forte e ha saputo esprimere nei suoi migliori film – ma senza l’immagine del reale, il senso forte pittorico che è l’altra sua grande qualità di artista. Il popolare di Pasolini si rivela invece in questo mondo esotico, più nettamente che nella nostalgia agreste (friulana, nazionale), solo un aspetto del patetico.
Pier Paolo Pasolini, L’odore dell’India
Il padre selvaggio
Appunti per un’Orestiade africana
mercoledì 26 gennaio 2011
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