Nel 1786 il marchese di Bouffleurs, noto come cavaliere di Bouffleurs per essere cavaliere di Malta, governatore del Senegal, riscattò e mando a Parigi tre piccoli africani. Un maschio, “un bellissimo ragazzo, nero come l’ebano”, ai figli de Sabran, che lo chiameranno Venerdì: la sedicenne Delphine (che poi sarà marchesa di Custine, madre di Astolphe, bella e intelligente amante di Chateaubriand) e il tredicenne Elzéar, figli della sua amante Mme de Sabran, vedova trentasettenne da dieci anni, dopo appena sei di matrimonio. Una femmina alla duchessa d’Orléans, una bambina “bella non come il giorno, come la notte”. E un’altra bambina a sua zia la principessa di Beauvau, di due anni, chiamata Ourika, che a sedici morirà. La duchessa de Duras ne farà l’eroina triste di questo racconto, finita in età adulta in convento, dovendo prendere atto del suo stato di africana nera al momento di entrare in società, dopo un’infanzia felice con la madre adottiva, che la condanna a una mésalliance, con persone e ambienti non confacenti alla sua ottima educazione e alle sue ambizioni di ragazza bella e colta – la vera Ourika sarà evocata teneramente nei “Mémoires de la princesse de Beauvau”. È una storia modernissima, scritta nel 1821, di un’impossibile integrazione. Moderna anche per la scrittura asciutta – di tradizione peraltro all’epoca già consolidata, sulla traccia ormai secolare di Mme de Lafayette.
Questa edizione si segnala per il saggio di Benedetta Craveri su Mme de Duras, che prende un centinaio delle pagine complessive. Su un personaggio e una scrittrice che arricchisce sostanziosamente il buon numero di donne francesi letterate a partire dal glorioso Seicento. Bretone, nata a Brest nella famiglia dei conti di Kersaint, esule a sedici anni, dopo la decapitazione del padre il 5 dicembre 1793 in piazza della Rivoluzione a Parigi (piazza della Concorde), dapprima negli Usa, poi alla Martinica e a Londra, fino al 1808, duchessa de Duras per matrimonio, ritorna sulla scena pubblica con il salotto più raffinato alla prima Restaurazione, protettrice di Chateaubriand. Sua figlia Claire avrebbe dovuto sposare Astolphe de Custine, il quale però si tirò indietro tre giorni prima della cerimonia - probabilmente per rispetto verso la madre, oltre che verso la figlia (farà poi uno dei matrimoni voluti dalla propria madre, e avrà anche un figlio, ma nel mentre che si lasciava andare pubblicamente alle pulsioni omosessuali). Una musa della Restaurazione. Il cui padre però aveva partecipato alla Rivoluzione per quattro lunghi anni, prima del Terrore giacobino, essendosi segnalato per tempo, qualche anno prima della Rivoluzione, per un progetto di monarchia costituzionale.
Si può aggiungere che Claire de Duras si acquisì fama di donna impegnata, si direbbe oggi, sulle spine per tutte le cause. Ma fu “persona vera in una società falsa” per madame de Staël. I migliori spiriti ammirarono “Ourika” al momento della pubblicazione: von Humboldt, Goethe, Walter Scott, Talleyrand, Cuvier, la principessa Luisa di Prussia. Il racconto fu messo in versi (Delphine Gay) e in forma teatrale (Alexandre Duval). Un quadro del pittore Gérard fu diffuso in multipli in acqueforti.
Il problema dell’epoca della duchessa era la schiavitù, se andasse abolita o meno. Per la duchessa e i suoi amici il problema non si poneva in alcun modo: la schiavitù era ignobile. Una posizione che si può più apprezzare se si riflette che ancora un quarto di secolo più tardi uno scrittore non reazionario, Thomas Carlyle, scozzese, quindi di tradizioni liberali, obiettava all’abolizionismo di John Stuart Mill, con un “Occasional Discourse on the Nigger Question”, mai più ripubblicato. De Duras va oltre, per un senso acuto della solitudine maturato nell’esilio e divenuto una sorta di cifra esistenziale, malgrado la socievolezza e i salotti.
Madame de Duras, Ourika, Adelphi, pp. 169 € 13
Bisognerebbe provare ad interrogare una persona qualunque, di media ma anche di buona cultura, su chi fosse Toussaint Louverture, o L'Ouverture, personaggio assai poco conosciuto da più. Perché facendo un viaggio a ritroso, troviamo un Napoleone fautore dell'uguaglianza, sì, ma non dei neri, o negri come si diceva in tempi meno politically correct, tant'è che manda una bella spedizione contro gli ex schiavi ribelli a far piazza pulita di quelle belle idee che aveva proclamato con tanto fervore, ma solo per i "bianchi". Questo è il lato della storia che in genere non s'insegna a scuola. E dunque, niente di nuovo sotto il sole. All'epoca il libello suscitò imbarazzi? E perché? Non era tanto straordinario quel che scriveva per la mentalità di allora,( e poi, solo di allora?) straordinari erano coloro che la pensavano diversamente ( anche se magari i più tacevano. )
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