Pd all’improvviso perplesso sul referendum a Mirafiori tra una settimana, che dovrebbe superare le resistenze del leader della Fiom Landini. E più nella componente confessionale del partito che tra gli ex Ds. A una posizione di ovvio sostegno all’accodo sottoscritto dagli altri sindacati, cautamente sponsorizzata dalla Cgil, si sono frapposte chiare e autorevoli indicazioni di dissenso: soprattutto sul “Sole” e sul “Corriere della sera”, ma anche su “Repubblica” e, domani, su “L’infedele” di Lerner. Altolà molto espliciti, dietro i quali il partito vede gli editori De Benedetti, Marcegaglia, Bazoli e, per Lerner, Prodi.
È Marchionne che per ora è venuto sotto attacco, per essere “amerikano” dapprima, poi per essere troppo pagato. Ma lo sgomento del Pd nasce dal fatto che con Marchionne è chiaro che si vuole, o si può, colpire la Fiat, l’industria residua dell’automobile in Italia. Senza altra ragione che quella di non fare chiarezza nei rapporti industriali, tra le aziende e il sindacato. O, che è lo stesso, di non adeguare l’Italia al mercato europeo, delle stesse relazioni industriali.
Il Pd si trova preso in mezzo tra Marchionne, cui dà ragione ma che non è suo sponsor, e suoi sponsor dichiarati che invece sono contro la soluzione auspicata, quella di un contratto Mirafiori in deroga. La perplessità è acuita dalla sensazione che l’altolà a Marchionne e alla Fiat, senza spiegazione valida, sia una maniera sbrigativa (si dice “padronale”) di concepire il rapporto con la politica e con lo stesso sindacato.
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