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sabato 1 gennaio 2011

Letture - 48

letterautore

Dante – La “Vita nova” è un romanzetto d’amore, che tanto fervore di fantasie alimenta, quasi una fissazione. Se non sembrasse un’autoedizione commentata dei proprio sonetti, o un compitino per il maestro. È un diario al confessore, una confessione allo psicanalista – entrambi un po’ retori, attenti cioè alla forma, come ogni specialista (scienziato).

Divismo – È tutto falso, l’immagine bella-e-buona e quella cattiva. Le storie di abiezione, quelle dell’infanzia vanno molto, e quelle d’amore e bellezza, le tresche del grande Fratello, le veline con i calciatori, il fidanzamento di George Clooney, mere “sedute” di fotostorie. Marlene Dietrich ne è il prototipo, che ha vissuto una vita, per settanta lunghi anni, del glamour creato da von Strohem e “L’angelo azzurro”, inventandosi di farsi cinque amanti al giorno, oppure di non tollerare il sesso, e una storia d’amore lunga trent’anni con Remarque, che si dichiarava impotente. Giorgio Dell’Arti su “Io Donna” la immortala in uno dei suoi aneddoti recenziori, nell’atto di entrare nello Studio Ovale da John Kennedy, che si denuda e all’uscita le chiede: “Hai mai fatto l’amore con mio padre Joe? Bene, finalmente un posto in cui sono arrivato prima io”. Quando Marlene aveva sessant’anni.
Il mito è tutto falso?

Manzoni – È una consolazione per Emerson, che legge “I Promessi sposi” a Firenze nel 1833: “Aver conosciuto questo moralista così elevato e eloquente è una gioia del tuto inaspettata”. Manzoni è romanziere per non essere confessore, predicatore: “Renzo e Lucia”, continua Emerosn, “Fra Cristoforo e Federico Borromeo, sono tutti personaggi straordinari e – elogio massimo – tutti incitano i lettori alla virtù”.

La Spagna che è mezzo vandala e mezzo araba, coi suoi olè, Allah, a ogni bella ragazza che passa, e ojalà, insh’allah – questa al Manzoni è mancata, nel tanto colore che butta sopra la Spagna.

Il suo catalogo è certo impressionante: mafia, stupro, aborto, anche in convento, gli sciacalli nella peste, la corruzione della giustizia e della religione, morte, puzza, idiozia. Non c’è altro romanzo, gotico, nero, che accumuli così tanta turpitudine. Tanto più per un’anima pia, che si assolve nella Provvidenza, e proprio perché si assolve. Pretendendo che Dio lo ascolti e lo aiuti.

Odissea – È il viaggio del ritorno – della famiglia, della tradizione, dell’ordine. L’avventura è l’“Iliade”, capricciosa, imprevedibile. Odisseo non cerca la sorpresa, la evita (la gode passivamente), la sua spinta è il “nostos”, è l’uomo delle radici, in ogni luogo cerca la sua casa.

Poeta e\o gentiluomo – Voltaire, in visita nel 1726 da Congreve che ammirava, al secondo dei suoi cinque anni di studio Londra, si trovò davanti un vecchio uomo che si schermiva: “Sono solo un gentiluomo”. Al che il futuro filosofo si offese. “Non faccio visita a un mero gentiluomo”, gli fa dire il Dr.Johnson nella “Vita di Boswell”. E: “Fosse stato così a mal partito da ridursi a un mero gentiluomo, non sarei mai andato a vederlo: fui disgustato moltissimo da una tale irragionevole esibizione di vanità”. Ralph Waldo Emerson dice invece: “Un gentiluomo, suppongo, è raro quanto un genio”. È vero che lo dice girando per l’Italia, nel 1833.
Congreve, a 56 anni, era semicieco, tormentato dalla gotta (morirà tre anni dopo), in disgrazia con i critici.

Proust - Anticipa la still motion, il procedimento cinematografico del movimento attraverso la ripetizione dell’immagine. Che diventa ossessiva, quindi significativa, per il semplice fatto della ripetizione – le tette che Andy Warhol mostra palpitanti, su e giù, su e giù, luce e ombra, per una quindicina di minuti portano a immaginare, sopra, sotto, dietro, ogni cosa. La ripetizione dà anche corpo (senso) al tempo lungo.

Due vene ha irresistibili (dominanti): il patetico e il comico. Il molto patetico non può essere che ironico, cioè sarcastico. Ma lo strano è che convivono: Proust non è autocritico. Perché vive il melodramma, la forma originaria del romanzo cioè. Non occupata dalla verosimiglianza, e anzi impegnata, se si potesse dire, a eccedere, contro ogni logica e perfino il buongusto: l’adattamento del meraviglioso (mitico, fiabesco, ….) alle vicende di amore e morte, archetipiche del romanzo. Mme Verdurin che diventa principessa di Guermantes è pura opera – che invera il progetto della “Ricerca”, il matrimonio tra borghesia e nobiltà, patrimonio e genealogia, avere e essere.

Ha il fascino della letteratura. Della vita per la letteratura non solo (tutti gli artisti vivono dell’arte e per l’arte: sono artificiosi), ma della letteratura come mondo ricreato, della sapienza e dell’etica (estetica).

È il primo scrittore senza un filo di divino. Nemmeno come evento sociale. E frequentava le chiese.
Uno scrittore perfettamente secolarizzato, senza residui cioè, ansie nostalgie. Scrive febbrile, programmando anche le pause, per fare prima della morte, senza una smorfia di disgusto, un grano di depressione. Un’incertezza, una caduta di tensione.

Se è qualcuno, fra tutti, della “Ricerca”, è Mlle Vinteuil. Il moralismo della scene lesbica non può che averlo “oggetto” e non “soggetto” – una “scena primordiale” a rovescio, da adulto verso una “figlia” degenere. Sarà alla fine l’amico di Mlle Vinteuil a curarsi di salvare le testimonianze del musicista – dare persistenza all’arte.
Come storia d’amore a “Ricerca” è piuttosto la storia, debole, della morte (la fine, l’impossibilità, l’inconsistenza) dell’amore.

Albertine è probabilmente il personaggio più scritto di tutta la “Ricerca”, occupandone un buon terzo, una buona metà delle “Fanciulle in fiore”, la parte centrale di “Sodoma e Gomorra II”, i capitolo che i curatori dell’edizione 1954 della Pléiade titolano poeticamente “Gelosia nei confronti dl Albertine”, “Le intermittenze del cuore”, “I misteri di Albertine”, e le prime due grandi narrative di “Sodoma e Gomorra III”, “La Prigioniera” e “La Fuggitiva”, o “Albertine scomparsa”. Più, molto più, dei più noti Swann, Odette, Gilberte, e di Verdurin, Saint-Loup, i Guermantes, Charlus compreso. Volendo leggere la “Ricerca” per quello che è, non per come è stata stilizzata dai suoi grandi lettori, è l’ossessione più coltivata. Per questo è odioso doverla immaginare nelle sembianze mostacciute e quadrate di Alfred, lo chauffeur fedifrago: Albertine falsifica tutto. A partire dalla stessa descrizione della gelosia. Mille pagine, o duemila quante sono, di anatomia sul tavolo al centro dell’emiciclo, fredda.

Della sua insensibilità alle cose il tratto più sorprendente è la mancanza di ogni traccia della questione ebraica. Che a Parigi c’era, in ogni minuto evento della vita quotidiana, e nel linguaggio. Negli anni di Dreyfus, dei processi di condanna e di revisione. Da parte del figlio di madre ebrea, amico di ebrei anche praticanti, come Mme Straus. Questione di tatto? Ma i nobili e gli intellettuali c’erano dentro, pro e contro. Compresi alcuni amici intimi di Proust – tra essi Léon Daudet, antisemtita acceso. Mentre il personaggio intellettuale più ambiguamente ridicolo della “Ricerca” ha nome ebraico, Bloch. E la traccia è, più o meno voluta, doppiamente rivelatrice, direbbe Freud, se Bloch è modellato, Come sembra, su un poetastro del filone parnassiano che si distinse per l’antisemitismo, Quillard.
È una causa, o una conseguenza, del rifiuto della madre, dietro il devotissimo attaccamento (l’amore-odio freudiano – anche di Pasolini)? Il padre, apparentemente ignorato, era cattolico e colpevolista. E Proust giovane non legge e non consiglia di leggere che autori della tradizione dell’attualità cattolica. La religione naturalmente non c’entra: i Proust, genitori e figlio, non erano religiosi e non se ne facevano un problema. È un fatto d’identificazione, solo apparentemente sociale, poiché ebree erano molte persone in vista, molto naturalmente accettate, Dreyfus o non Dreyfus, della Terza Repubblica.

Romanticismo – L’idea romantica dell’amore (della storia d’amore) e della donna è opera di donne: “Lettere portoghesi”, D’Aulnoy, Lafayette.
Il canone lo stabilisce la signorina Phillips, anch'essa puro Seicento, di un secolo cioè che non credeva ai sentimenti. Anche se non dell'amore propriamente romantico, ma di quello sentimentale: il sentimentalismo nasce, come dice Oscar Wilde, per mano di Katherine Phillips. Che però non è sola, sono sempre donne a volerlo, da “La principessa di Clèves” a “La signora delle camelie” eccetera – l’autore della “Signora”, Alexandre Dumas figlio,si pregiava del titolo di “femministo”. Le donne che solitamente sono realiste.
Ma, poi, non c’è storia d’amore infelice (romantico vuol dire infelice) che non sia maschile, da Richardson in poi - meno di un secolo dopo Mme de Lafayette. Mentre le “Lettere portoghesi” si rivelano maschili, di Guillerages. Resta da accertare il sesso di D'Aulnoy, Lafayette e Phillips. O la natura ludica dell'amore romantico-sentimentale.

letterautore@antiit.eu

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