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Amleto – Essere di (per il fatto di) non essere: il buco incolmabile. È il principio del buco nero astrofisico, la fonte di energia che ti sprofonda. È il principio del λάτε βιώςας applicato all’anagrafe.
L’essere senza identità. Cos’è l’identità? Le tracce che si lasciano sulla polvere, o i gas, dell’universo.
Arte contemporanea – Un aspetto certo dell’arte oggi è che l’artista esce la mattina da una magione prestigiosa, comunque trendy, sia pure nell’East Side o a San Lorenzo, e va a creare, realizzare, detriti, rifiuti, scarti. Da vendere comunque a caro prezzo, dunque non da disperato, solitario, in fuga da se stesso, bohémien, ribelle, eccetera. L'arte vuole anonima, giusto il precetto di Warhol nel 1968, "in futuro ognuno sarà famoso in tutto il mondo per quindici minuti", e più per lo scandalo-novità che per uno studio o un pathos, ma dotata, businesslike. Nel Rinascimento invece accadeva l’inverso: l’artista usciva la mattina da un’abitazione povera, di arredi, di conforti, d’estate calda d’inverno fredda, e cercava di realizzare il più bello che potesse immaginare, in composizione, taglio, forme, colori. Per il prezzo che riusciva a spuntare dalla buona volontà del committente, senza il supporto di procuratori, agenti, pr, marketing, non essendoci un mercato.
È il mondo esterno oggi peggiore che nel Rinascimento, tale da giustificare un’arte del rifiuto e della rivolta, sia pure a caro prezzo? Non lo è. È l’umanità più insicura, più venale, più sfruttata che nel Rinascimento? Sicuramente no. È il mercato dell’arte più selettivo, più esigente, miglior critico, della committenza? Non sembra. L’artista è “vittima” di se stesso, che lautamente vive la disperazione – quando non la finge. È vittima della facilità di fare e dell’assenza di gusto e di criterio critico, sostituito dal marketing. Che facilita la vendita ma non il tipo di lavoro, la ricerca – la personalità. L'opera è la parola dell'opera, più nel gergo socio-psicologico, preferito, o pop, che non vuole cioè dire niente. La desolazione è corriva all’assenza di criterio – dove c’è la teoria c’è già uno zoccolo, se non un fondamento generatore. È arduo ricordare un artista invece di un altro, né una immagine o un oggetto, in questo è giusto dire l’arte anonima. Che però è una contraddizione in termini.
Bovary – “Seguire lo sposo\m’è forza a Ceprano”, dal primo atto del “Rigoletto”: lei vorrebbe farsela col duca ma… E questa è tutta la storia di Emma B. Che non si riscatta nel finale: Emma si dà la morte come a teatro, in un teatrino di provincia: penetra nel cafarnao, il laboratorio della farmacia, per entrare si deve far aprire con la chiave dal commesso, in presenza del quale s’ingozza di arsenico, ma di quello per i topi, per un’agonia lenta che porti al suo capezzale tutti i colpevoli, dopo avere scritto: “Non si accusi nessuno”.
Céline – Come Pound, Hamsun, e Jünger, ha affascinato nel secondo Novecento il radicalismo antiborghese. Che detto ora va portato a capo d’accusa, un altro, ma quarant’anni fa, anche venti, era “rivoluzionario”.
Dante – Oggetto di due serializzazione di giornali a grande tiratura, con “Panorama” a fine Novecento, col “Corriere della sera” in questi primi mesi del 2011. Entrambe lunghe, una quindicina di puntate, costose, sui 300 euro quella del settimanale, sui 150 quella del quotidiano, e impegnative: quella di “Panorama” con i i diversi apparati critici, questa del “Corriere” con le letture di Benigni.
È uno scienziato della poesia, un ricercatore, uno che studiava senza posa, per Contini, introduzione alle “Rime”, p. 13: “La tecnica è in lui una cosa di rodine sacrale, è la via del suo esercizio ascetico, indistinguibile dall’ansia di perfezione”.
Dante, come Goethe, non aveva umorismo, dice Musil (“Saggi”, p.761).
Scrisse in toscano, la lettura va quindi fatta in toscano – questo è Malaparte, “Sangue”, p.54.
La “Commedia” è per Voltaire (“Essai sur les moeurs”, cap. LXXXII) un “poema bizzarro”.
Decostruzione – La fa già Sancho Panza, che a cavallo, seppure di un asino, guarda per terra.
Eroi - Battisti, Curcio e altri terroristi sono scrittori seguiti. Cagol, Braghetti e altre terroriste protagoniste di film e drammi. C’è il pregiudizio politico in queste scelte di personaggi – Peci è miglior soggetto di dramma ma non si fa, o Fioroni. Ma c’è anche la scarsa o poca presa della libertà e della democrazia sulla fantasia dei lettori e gli spettatori: è la violenza che fa gli eroi.
Lukáks – È l’autore di un solo (buon) libro, “L’Anima e le forme”, a venticinque anni, nel 1911. Ma viene celebrato (ricordato, discusso) per la cinquantennale militanza comunista, di stretta obbedienza sovietica. Una triplice adesione che ne umilia la scrittura, e si vede. Ed è stata una servitù volontaria e anzi entusiasta.
Proust – Non ha nel romanzo compagni di gioco ma compagne. Femminucce, che gli piace ricordare ma senza amitié amoureuse: poiché ne era compagna-concorrente egli stesso?
All’ultima riga del “Principio speranza”, Ernst Bloch prospetta un mondo che sia patria a ognuno, la patria che tutti s’illudono, nel ricordo e nel rimpianto, di veder splendere nell’infanzia e nella quale, in realtà, nessuno si è ancora mai trovato. La patria in senso proprio, il sé. Come si fa a ipostatizzarla in nomi, zie, rose, compagne trascurate di giochi, e nel buon tempo antico? Si può, certo.
Sherlock Holmes - Il suo fascino sta non nelle cose che scopre, né nel fatto che le scopre, ma nel modo come ci arriva: l’ingegnosità. Di cui il metodo deduttivo è la tela, ma solo perché consente ogni combinazione. Non è l’uomo della verità ma della costruzione della verità. Che può anche essere esotica, arcana, bizzarra. La sua forza non è di lavorare sugli indizi, come si vuole, ma sulla sorpresa (forza) della verità.
Conan Doyle è certamente l’allievo di grandi fisionomisti e di celebri clinici, sa far significare gli indizi, ma lavora sulla verità: le sue soluzioni sono sempre la verità. Il suo uomo sorprende per la forza della verità, cioè del fatto, contro ogni verosimiglianza. Nella maturità la verità farà di C.Doyle uno stolido “corrispondente di giornali”, il genere colonnello in pensione che scrive lettere al direttore, ma in gioventù, e nel bisogno, è fonte con S.Holmes di affascinanti indiscutibili sorprese – quando di più rassicurante.
La serie di Granada Tv, con Jeremy Brett e David Burke o Edward Hardwicke, benché ormai vecchia di venti-venticinque anni, resta vivace perché accentua questo lato, anche per tagliare le tante parti deboli (lunghe) dei racconti. Ne ottiene sorprese in continuazione.
Solitudine – Quella assoluta viene coi libri. La più perfetta, non inquinata dalla sopravvivenza, da una cosa da fare, un obbligo sia pure volontario (pena da scontare, abitudine insopprimbile, modo d’essere compulsivo). È il dialogo continuo muto, con interlocutori immaginari. Odiernamente la proiezione dello spettatore nelo spettacolo interattivo – la tv è sempre interattiva, sia pure solo per l’auditel, fare pubblico, il quiz, Santoro, “Amici”, “Il grande fratello”, Pivot.
Usa – Sono l’ultimo rifugio della cultura – dell’erudizione? Si riedita “L’infelicità dei letterati” , scritta nel 1529, all’indomani del Sacco di Roma, da Pierio Valeriano, al secolo Giovan Pietro Bolzani (1477-1560), in latino, “De litteratorum infelicitate”. Uscita postuma nel 1620, Armando Torno la segnala come opera densa di “profili esemplari di autori quali Pico della Mirandola o Poliziano”, e “fonte di opere utili ancora oggi, come la settecentesca «Storia della letteratura italiana» di Gerolamo Tiraboschi”. Ma l’edizione italiana esce in ritardo di undici anni sulla prima riedizione, opera della studiosa Julia Haig Gaisser, dell’università del Michigan.
Sono americani alcuni degli scrittori più colti e immediatamente riconosciuti da un vasto pubblico: Poe, che tanto stimolava Baudelaire, Melville, Hawthorne, e gli spontaneisti, Jack London,Whitman, Thoreau, Mark Twain. Non c’è scrittore europeo che sia filosofo la metà di Hemingway, benché assillato dal machismo, Faulkner, McCullers, del linguaggio o dell’esistenza.
letterautore@antiit.eu
mercoledì 12 gennaio 2011
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