sabato 22 gennaio 2011

Morire per De Pasquale?

Un futuro Ken Follett, ammesso che in Italia sia consentito averne uno, scriverà il romanzone di quando il terrorismo islamico e le banche americane di concerto abbatterono l’euro, nella più grande speculazione della storia, agganciandosi alla lotta feroce di una giudice intoccabile annidata nel bunker del palazzo di Giustizia di Milano, contro l’uomo più ricco e potente d'Italia, l'inafferrabile Berlusconi. O forse, più che Follett, uno dell’avventura, ci vorrebbe un Ballard, per spiegare l’inspiegabile. Per ora e a noi resta solo da vedere come la politica italiana, e specialmente la buona politica, venga di continuo scavata e poi ricoperta di fango da alcuni personaggi che si annidano nella magistratura. Nell’ordine cioè più fascista d’Italia, ma che si atteggiano a gente di sinistra, rispettosi del progresso e della democrazia: Boccassini, Forno, Ingroia, Ielo, Quattrocchi, De Pasquale, gente emersa dalle terre oscure delle province come il loro vessillifero Di Pietro, che “Milano” fa suoi scudi e scudieri a difesa degli affari. Anzi, che non si atteggiano nemmeno, se si eccettuano i pregressi Colombo e D’Ambrosio che abbatterono il partito Socialista per conto dell’ex partito Comunista. Gli altri non nascondono di marciare all’avventura, i più per vendicare l’amata Dc, qualcuno all’origine scudiero di Fini prima che diventasse di sinistra – anche lui.
Già Fini di sinistra è un indicatore. Ma che dire di Caselli, che ha processato Andreotti come mafioso per ricavarne uno statista immortale? Mentre nessuno ha visto i benefici della guerra ai socialisti, anzi, a parte le (piccole) carriere personali di Colombo e D’Ambrosio. E un esito è certo: che non c’è più una sinistra. Né di governo né di lotta. E questo non si può imputare a Berlusconi. Ora a Berlusconi viene recapitato un avviso di reato non delle solite due pagine piene di intestazioni e riferimenti ai codici, ma di quattrocento piene di pettegolezzi: una gigantesca palla alzata.
Sono sbagliate le idee? Non può essere. Sono sbagliati i capi, i leader, le guide, gli interpreti. E questa non è un’ipotesi, è un fatto, se i capi, le guide eccetera sono Ielo o Boccassini. La quale sarà pure simpatica ai milanesi, finché gli serve, ma non è che la regina delle intercettazioni. Che ancora fa ridere a Roma, quando, fra le tante da lei predisposte, montò uno scandalo sul giudice Francesco Misiani, che prendeva il caffè al bar con la moglie di Vespa, anch’essa giudice, facendone polpette – di lui, il povero Misiani di Taurianuova, sincero credente, il calabrese ingenuo al solito fregato dal napoletano, seppure qui in gonnella (non ebbe infatti ragione di lei, la moglie di Vespa, ben più abile, non per nulla andreottiana). Una strada, per quanto ridicola, che porta però al dissolvimento, e a Berlusconi. A lui o a un altro come lui: alla fine della politica, e quindi della sinistra.
La sinistra solo vive di ideali e idee. Delle idee può anche fare a meno, per periodi brevi, finché non ci si raccapezza, e i tempi sono tumultuosi, in mutazione rapida e vertiginosa, non è agevole capire come orientarsi – su Mirafiori, la sanità, la scuola, l’università, e i teatri d’opera gratis per il pubblico, con migliaia di dipendenti. Ma sui principi bisogna stare fermi, tenere duro, sul noi e loro. Quando D’Alema nel 1998 candidò Di Pietro nella circoscrizione bulgara del Mugello, disse semplicemente: “Se non lo eleggiamo noi, questo porta un sacco di voti agli altri”. Era vero e Di Pietro poi l’ha dimostrato. Ma la cosa era ancora tollerabile, non c’era commistione, era una briciola di realismo in un discorso nel 1996 ancora di sostanza, se non già non più integro. Ora non c’è che il fascismo dei giudici. Che non sempre sbagliano, come Caselli, Colombo, D’Ambrosio, sicuri compagni. Cioè, sanno bene cosa fanno. Mentre a noi rimane solo Napolitano. Che però non può governare. E dunque, ci tocca morire per De Pasquale.

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