Gli investimenti sono subito ripartiti, con un saldo attivo di ben trecentomila nuovi posti di lavoro a dicembre, e quindi non si torna indietro: nuovo deficit per la spesa pubblica Usa, invece della prevista riduzione, e dollaro debole saranno al centro della politica economica americana fino alle presidenziali del novembre 2012.
L’apertura politica di Obama ai repubblicani, dopo la sconfitta elettorale due mesi fa alla Camera, si è fatta come si sa sul terreno della spesa pubblica. Verranno mantenuti ancora per due anni i tagli fiscali operati da Bush, anzi saranno accresciuti nel 2011 per l’equivalente di un 2 per cento del pil. Mentre la Federal Reserve immetterà nel corso dell’anno denaro fresco per 600 miliardi di dollari, mediante acquisti di tioli del Tesoro. In precedenza, le tre commissioni istituite da Obama per analizzare la spesa pubblica dopo lo shock del 2008, le commissioni Bowles, Rivlin e Peterson, concordavano su una riduzione del debito a partire dal 2012, per un ammontare fra i 4 e i 6 mila miliardi di dollari entro il 2020.
L’intesa stipulata sulla base del deficit si presenta durevole anche sul piano politico, almeno fino alle presidenziali fra due anni. L’intesa fra il partito Repubblicano e la presidenza rientra infati, in questi termini, anche nel piano d’azione del movimento dei Tea Party, che rappresenta la parte politica più vivace all’interno del partito Repubblicano, ed è essenzialmente un movimento anti tasse. I Tea Party vogliono anche la riduzione del debito, ma non a costo di aumentare le tasse: vorrebbero cioè un’ulteriore riduzione della spesa. Ma si accontentano dell’accordo sulle tasse ridotte. Al quale potrebbero sacrificare anche l’altro loro richiesta, l’abolizione dell’Obamacare, la riforma sanitaria fatta votare da Obama.
Gli interventi della Fed sul mercato dei titoli pubblici, definiti “d’emergenza”, in realtà non sono occasionali. Sono stati concordati tra la presidenza e il Congresso, e sono stati programmati, entro un tetto di 600 miliardi di sospesa, entro agosto. L’obiettivo è di mantenere il dollaro in posizione di debolezza, contro le spinte di mercato, che lo vorrebbero riapprezzarsi contro l’euro.
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