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Filosofia – Non si dà senza spirito religioso – come per la storia: nonché sul senso della vita e sul fine ultimo, non si dà altrimenti una riflessione sul senso delle cose.
Psicanalisi – La sua gloria è così sintetizzata da Claudio Magris, che ne fa il fulcro-verità del Novecento: “L’analisi freudiana ha dissolto ogni preteso fondamento originario immune dalle contraddizioni della vita, ma ha scoperto in tal modo lo «spaesamento» dell’uomo, la conturbante – e non inebriante – assenza di patria”. Magris lo ha scritto a gennaio del 1979, e lo ripropone nel 2005, in “Itaca e oltre”, senza ripensamenti. Freud non è invece espressione del secolo marcio?
Registra, e solletica, la tendenza del Novecento all’introversione. Un individualismo che confina nella paranoia: la ricerca del sé è culto del sé, necessariamente implausibile e impossibile, una “malattia”. Che la psicanalisi stimola, induce, favorisce, e non cura. Cosa ci può esser dentro i propri nervi, la vita prenatale, l’inconscio? Oggi molto è quello che psicanalisi ci ha messo dentro. A un fine superiore, terapeutico. Con regole, rispondenze, significati, leggi. Espressione di razionalità, nei fini e anche nei mezzi, anzi la sua quintessenza. Un’esagerazione: la logica calata nell’ineffabile.
Una ragnatela di miti logicizzati – di bassa logica quando si blocca sull’istintuale. Porta all’estremo, più radicale di Nietzsche, la filosofia del secondo Ottocento intesa come critica, decostruzione. A fini terapeutici? È terapia che non guarisce.
Come diagnosi è legata a pochi parametri. L’anamnesi è tutto, in psicanalisi, e il paziente ne è autore assoluto.
La terapia è liberazione. La psicanalisi crea dipendenza, da fenomeni sfuggenti, i sogni, i ricordi, le associazioni d’idee, impossibili da dominare (ricostituire) per intero. Come una falsa testimonianza, che mette alla mercé del Superiore (inquirente, analista): mette i pazienti dentro le reti.
In quanto autocoscienza è una ricerca cieca: il paziente non ha gli strumenti né, normalmente, la capacità per venirne a capo.
È vera in quel suo fondamento, che sembra una tautologia: la malattia è psicosomatica. Chi crede in Freud è sicuramente malato.
È patriarcale, nel suo subconscio. L’insensibilità di Freud all’analisi e alla psicologia infantile (Melanie Klein). La sua irritazione contro il mondo americano, che è matriarcale – pratico, regolato.
La scuola del sospetto dà armi terribili ai soggetti meno affidabili. Soprattutto la psicanalisi.
È letteratura, certo imponente. D’appendice: più di ogni altra è legata ai temi popolari, amore, morte, odio, passione, tradimento, pazzia
Storia – Ha il passo lungo, lento. Si può drammatizzarla, ogni istante della vita può essere drammatico, ma la storia è poco mutevole. Anche quando si esplica in fatti drammaticissimi. Non presenta molti cambiamenti, né di rilievo, a un superiore giudizio critico, distaccato: si legge Erodoto come fosse oggi, o il codice di Hammurabi, mentre Tucidide è perfino troppo complicato oggi, per l’ordine semplificati della cultura di massa, ugualitaria.
Tempo – Osservato da un a steroide a velocità della luce è lentissimo. Da un buco nero andrebbe invece a velocità fulminea, moltiplicando le sparizioni (le morti), fino a renderlo insignificante, una still motion, un’inquadratura. In entrambi i casi, naturalmente immaginari, si annulla. La vita è al di quale della luce e al di là del buco nero: non è ipotetica, è fattuale. Come la poesia, il racconto, il mito, la scienza, e ogni altra forma pratica, non ipotetica, di vita. Questo ha qualcosa a che fare con la filosofia? La debase. Ma questo non è eversivo (innovativo) – è irreligioso.
La perdita di Do, dice Kierkegaard, trasforma il tempo in un susseguirsi monotono e i sentimenti in un’indistinta malinconia – la noia. L’abbandono dell’attesa. Che anima la volontà, il desiderio. Il temo è scandito, se lo è, dalla volontà.
La condanna è all’immortalità, per l’ebreo errante e non solo. Cioè all’inesistenza. Solo ciò che è caduco e muta esiste. Si trasforma, si conforma. Il tempo è la forma dell’esistenza.
“Negli interstizi del tempo” è titolo redazionale per una nota che Claudio Magris intitola “Il non-tempo dell’amore”. Volendo dire il contrario: che il tempo vero è l‘amore, prima e dopo o attorno, è il flusso degli eventi e non gli interstizi - a condizione naturalmente che per tempo vero s’intenda la vita. Magris immagina qualcuno che non stia su un buco nero, attorno al quale il tempo trascorre rapido, quasi istantaneo (senza intervalli), una still motion ripetitiva, un punto d’osservazione con forza centripeta mostruosa (egoismo). Il tempo è dimensione dell’etica.
zeulig@antiit.eu
lunedì 10 gennaio 2011
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