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Amicizia – È un percorso in parallelo. Senza bracci di fero, adescamenti, lusinghe, adulazioni, prevaricazioni, neppure pedagogiche. È un andare insieme, ognuno nel suo percorso, spalla a spalla, ritrovandosi a certe tappe, con commozione ma senza esagerare. È misura.
Amore – L’amore è guardare, dice R. Barthes (intr. A “Michelet par lui-même”, in Michelet, “L’amore”), è l’intimità corporea, non l’orgasmo. Che sembra corretto, ma è strana concezione “ottocentesca”, o residuo di secoli di claustrazione vestimentaria, se non di rifiuto del corpo.
Per Balzac “parlar d’amore è fare l’amore”. Con se stessi? È anche vero che di tutto non restano che parole e immagini.
Anarchia – Un’utopia che in tutte le forme nelle quali si realizza parzialmente (misantropia, droga, rivolta, terrorismo, managerismo) espelle disperazione. Si presenta sotto un velo idilliaco, da déjeuner sur l’herbe in riva al ruscello fra i gorgheggi dell’usignuolo, ma non ha nulla di gentile né di piacevole. Se non in chi vi è perdente – anche l’anarchia è un gioco concorrenziale, a sommatoria.
È il nichilismo di Dostoevslij, autodistruttivo.
Città – È il luogo della limitatezza (“Libro delle ore” di Rilke). La polemica antiurbana è, come la polemica antindustriale e antiborghese, che non è diatribica classista, l’oggettivazione del bisogno di utopia. È il moralismo dei classici, che passa dai repertori mitologici e le iterazioni alle domande espresse di utopia, sogno, mistero, redenzione, paradiso. Perché la razionalità borghese (industriale, urbana, civilizzatrice) per la prima volta ha escluso, esplicitamente, l’utopia.
Tutto ciò che è naturale è antiurbano (antimoderno). Bere acqua o lavarsi il corpo, prendere la pioggia e il vento, ma non solo questi accademici idrici, non potrebbero mai figurare in un film di Spielberg. La tecnica addomestica la natura, si sa. Ma la città implica di più: l’abbandono delle forme tradizionali, “naturali”, di superficie, dello spazio e del tempo. L’acqua non è più un bene, e così il sorgere e il tramonto del sole, il caldo e il freddo, la pioggia e il vento. Il futuro è ristretto alla vita urbana, senza spazio e senza tempo.
La rappresentazione del futuro ha sempre fatto a meno delle convenzioni realistiche. Ma la scelta delle semplificazioni è essa stessa indice di una condizione reale.
Filosofia tedesca – Intraducibile nel senso di sublime è la parola non chiara, misterica. La filosofia tedesca che si vuole intraducibile è una contraddizione in termini.
Gadamer vuole intraducibile l’ermeneutica, la parola, in “L’eredità dell’Europa”. Dove però l’eredità è tutta tedesca. Per la pretesa intraducibilità della filosofia tedesca?
Giustizia – Nella “Repubblica” Platone fa apparire “i neri giudici”, “la nera giustizia”.
Hobbes – Si applica per primo al problema che il Rinascimento apriva: dare spazio all’individuo dentro e sotto lo Stato, garanzie alla sfera privata. È ancora l’unica traccia aperta, tra l’assolutismo illuminista, fino a Napoleone compreso, e il liberalismo impolitico.
Il liberalismo si preciserà come non-politico (malgrado Spaventa e Croce, o l’hegelismo attaccato al liberalismo). E cioè economico: utilitaristico, privatistico, piccolo borghese. Oppure anarchico (l’utopia anarchica non è più poetica né piacevole).
Non c’è naturalmente il vuoto neppure in politica. Ma c’è politica e politica: quelle dei gruppi d’interesse, legate a interessi particolari, contingenti, e spesso distruttivi, che grado di politica è?
Lavoro – È condanna ne senso biblico-cattolico, è ornamento dell’uomo (il lavoro ben fatto) in quello biblico-calvinista. È oggi il miglior compagno e una seconda pelle: senza lavoro è l’abiezione. L’offesa peggiore, all’onore prima che alla sussistenza, è la disoccupazione.
È il limite della condizione umana nella società moderna, la necessità di un lavoro remunerato. È una forma di servitù. Il limite basso della libertà, il minimo comune denominatore, è la libertà dal bisogno. Quindi un lavoro remunerato, cioè un po’ di servitù, dal padrone o dal cliente.
Nazismo – Si possono dire Heidegger e Jünger i critici più radicali, anche se non espliciti, del nazismo. Che – per questo? – se ne faceva onorati alfieri. Per l’equivalenza che essi pongono fra tecnica e nichilismo, o annientamento della personalità, quale caratteristica del tempo. E il nazismo non è soltanto il loro tempo, ma è – essi non lo dicono ma il nazismo sì – espressione ideale della tecnica assimilata al nichilismo, o rifiuto dei valori, la tecnica idealizzata.
Il nichilismo, dice Jünger a lettere chiare, e Heidegger sottoscrive, per una volta con altrettanta chiarezza – è di bell’apparenza. Non è il caso, la malattia, il male, ma l’ordine, la salute, l’indifferenza morale: “Perfino nei luoghi nei quali il nichilismo mostra i suoi tratti più inquietanti, come nei grandi luoghi di sterminio fisico, renano sovrani la sobrietà, l’igiene, l’ordine rigoroso” (Oltre la linea”).
La tecnica in sé è neutra, non annienta. Può annientare nella strutturazione produttiva, che è di natura politica, e quindi comune a regimi sedicenti opposti, fascismo, neocapitalismo, comunismo. È vano pensare di evitare i trabocchetti della politica rifiutando la tecnica. Ma c’è un’incongruenza doppia di altra natura. Una è che due nazisti contestino radicalmente, Jünger nel 1932 (Der Arbeiter”), Heidegger nel 1939 (seminari su Jünger), la natura del nazismo, e il suo fascino, di primo regime nella storia nichilistico e tecnologico. L’altra è che il nazismo non si adonti di questa critica ma se ne faccia una forza, una morale di fumi di fucina (stirpi e genealogie, ordini e walhalla, guerra e sangue) per dare un’anima, per quanto fake, ai suoi piatti orizzonti di acciaio.
Queste incongruenze sono dietro (spiegano) alcuni dilemmi: se Heidegger è nazista, l’appropriazione da parte dl nazismo della critica radicale, da Nietzsche-Wagner in poi, il fascino del mostro-nazismo – che solo la rozzezza “occidentale” del Thomas Mann “impolitico” e “fratello” di Hitler, la democrazia dei checks and balances, del buonsenso, tiene ancora ristretto alla gabbia delle bestie.
Razza – Ha implicita una connotazione negativa – alla “vil razza dannata”, nell’Opera dei pupi anche “marrana”. Nel Rinascimento è usata negli improperi – Karl Rahner ne registra più casi in “Ignazio di Loyola e le donne”, p.630.
Religione – È sempre esoterica, anche quando è rivelata. Per molti aspetti: la prova (o testimonianza), la santità (o concordanza), la prova della santità. E il messia è sempre un profeta, si autocertifica.
I teologi si contestano fra di loro, gli ordini religiosi pure, e i vari infiniti gruppi all’interno del cristianesimo, dell’ebraismo, dell’islam e, chissà, delle altre fedi. La chiesa non c’era che già registrava, nei primi ani dell’evo cristiano, una costante, virulenta faida tra gruppi di credenti. La fede è incertezza? O è l’ancoraggio del dissenso? Le contestazioni infatti non vanno contro le gerarchie, malgrado le apparenze, ma a questioni di fede.
Utopia – La città ideale, l’armonia universale sono una cosa sola, ordine. L’utopia ideale è il sogno dell’ordine. Il comunismo lo è. Ma il fascismo pure.
Il nazismo non lo è: la sua utopia è la violenza, la “guerra bella”.
zeulig@antiit.eu
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