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venerdì 21 gennaio 2011

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (77)

Giuseppe Leuzzi

Nel “Suicidio della rivoluzione” Augusto Del Noce nota che con De Sanctis si abbandonò Dante per l’apologia e il mito di Machiavelli. E conclude. “Il passaggio da Dante a Machiavelli è l’inizio della crisi o errore del Risorgimento”, l’esclusione dell’Italia religiosa.
È una delle varie esclusioni. un’altra è del Sud, che pure era metà dell’Italia, e un po’ di più.

Che fine ha fatto Giufà? Con le sue storie irridenti e mansuete, comprese quelle cruente, di furbizia giocosa. Per l’imprevedibilità mansueta dell’asino, il suo compagno, lo scarto della fantasia con l’irresponsabilità del folle-giovane. Il personaggio, senza età, è presumibilmente giovane, anzi adolescente – sventato come un adolescente: è scomparsa anche l’adolescenza. Sono storie del Sud, giocate sul paradosso fine a se stesso: l’uomo del Sud è Giufà, irridente e perduto. Un linguaggio comune nel Mediterraneo: Giufà è Karayozi in greco, Karaguz per i turchi jonici. Storie scomparse quindi, con tutto il folklore, per la scomparsa del Sud.

Il calciatore Neuville ha madre calabrese nelle cronache tedesche delle scommesse sul calcio. Quando ha giocato la finale del Mondiale del 2002 non aveva madre.

“Milano ai primi posti nel mondo per arte e creatività”, annuncia in prima il “Corriere della sera”, “nella lista dei 41 luoghi da visitare stilata da “New York Times” per il 2011”. Ma non ha più molto da dire, eccetto che “il Museo del Novecento è una delle attrazioni segnalate: in un mese i visitatori sono a quota 200 mila”. Senza dire che la visita al nuovo museo per il primo mese è stata gratuita.
Per dare consistenza alla “notizia”, il giornale interpella Carlo Bertelli. Che però, con tutta la buona volontà, non può che criticare le assurde mostre di un quadro di Leonardo o di Tiziano, ingombrate da videodeformazioni di particolari e altri reperti. Mentre Brera, il Poldi Pezzoli e la Fondazione Pomodoro sono vuoti.
Milano non sarà la 41ma città del catalogo newyorchese, perché bisognava includere una città italiana? Lo è, ma questo il “Corriere” non lo dice.

Celebrando il centenario di Camilla Cederna”, il “Corriere della sera” ne ricorda il “Giovanni Leone. La carriera di un presidente”, il libro che portò alle dimissioni di Leone, poi riconosciuto diffamatorio. E ricorda che Inge Feltrinelli, l’editore del libro, ha dichiarato con orgoglio: “Perdemmo tutti i processi, ma che soddisfazione… Il libro vendette 600 mila copie. Lo avevano letto anche i tassisti”.
Milano ha una vocazione giustizialista? A carico degli altri.

L’odio-di-sé meridionale
Si celebra l’unità e il Sud non trova di meglio che rivendicare l’eredità dei briganti. Sempre si vuole delinquente e ignorante, come gli viene autorevolmente suggerito.
Ma perché l’esercito non apre gli archivi della lotta al brigantaggio? O magari dice che gli archivi non ci sono, che sono stati distrutti.

Celebrando il padre, sullo sfondo del terremoto di Messina, Quasimodo si dice: “Ho portato il tuo nome\ un po’ più in là dell’odio e dell’invidia”. Molti meridionali lamentano l’odio e l’invidia locali, che ne insidiano e intossicano le appartenenze: Verga, Pirandello, De Roberto, Alvaro (il padre di Alvaro specificamente, che i figli istruiva con gravosi sacrifici, per il loro migliore futuro naturalmente, ma anche per l’invidia del paese – Alvaro sarà sempre risentito della separazione a nove anni dalla madre, dalla famiglia, dal paese). Più in Sicilia e Calabria che altrove, è vero. Ma c’è più odio minuto, più invidia sociale a Messina che in altre città a Nord?
È tutto il Sud un focolaio di risentimento, Che più facile (senza ritorsioni, senza esclusioni) si esercita sul Sud. C’è risentimento sempre nell’emigrato, e più in quello non di necessità, che potrebbe essere un senso di colpa.

L’intellettuale meridionale più spesso è depresso. Sia che viva al Sud sia che viva al Nord. Non gliene mancano le ragioni: quando esce di casa la mattina, o quando torna a Ferragosto, non vede che brutture, anche nei parenti, sporcizia, discariche, cementificazione, e non respira che veleni, quasi sempre mortali, inviati da potenze oscure attraverso la superiore mafia che lo governa, e sparsi in ogni anfratto, boschi, valloni, pozzi, fiumare, e da alcune stagioni estive anche in mare. Gli automobilisti sono maleducati, gli impiegati ignavi, i baristi incapaci, sporchi, neghittosi - a meno che non sia una giovane rumena, di cui non si sospetta che possa essere sfruttata, come invece normalmente è.
Si può dire: a chi mancano le ragioni per uscire depresso? Basta ascoltare la radio, coi Bossi, Berlusconi, la Borsa di Milano e il Ponte di Messina – il ponte dei miraggi, si sa che i meridionali sono anche creduloni. Ma l’intellettuale meridionale, un tempo si sarebbe detto il galantuomo al circolo, non ne ha bisogno, si basta da sé.

La “Gazzetta del Sud”, che si fa a Messina ma è il giornale della Calabria, è pieno ogni giorni di assassini, tentati assassini, malversazioni, reati di ogni genere. Poi uno compulsa l’annuario Istat della criminalità e scopre che la Calabria non è la regione peggiore, anche in termini relativi, per numero di abitanti, dai reati più gravi a quelli minori. È la percezione che è diversa.
Racconta il signor L.C., che ha scontato una lunga pena per omicidio, che nel carcere di Torino si faceva arrivare in abbonamento la “Gazzetta del Sud”, ma finì presto per non leggerla, preferendo “La Stampa” e cominciando, nel tempo restante, a compulsare i libri di storia. Non interruppe l’abbonamento perché la “Gazzetta” era divorata, “letteralmente”, da altri carcerati del “paese di Corrado Alvaro” – e con ciò intende dire abbrutiti, avendo essi invece a disposizione un così illustre compaesano con cui farsi compagnia leggendo (anche se ne professa grande stima: “Gente di una sola parola”). Ma il signor L.C, era, ed è tornato, imprenditore edile, affidabile. Il problema è: avere, oppure no, qualcosa da fare, qualcosa di utile.
È tuttavia vero che ovunque ci sono soprusi, dei vicini, dei prepotenti, che spesso sono stupidi, di giovani incredibilmente cresciuti male. Tutti soggetti alla depressione di genitori e zii, tanto più lagnosi quanto più sono inerti.

Fino a pochi anni fa Messina era la capitale della Calabria, culturale, commerciale e professionale – si andava a Messina anche per il dentista. Ora ogni città calabrese si può dire più ricca di Messina, che si è ridotta a fare da transito dall’A 3 all’A 18, ai traghetti canguro roll on-roll off. A pochi metri dall’approdo dei canguro ha un museo provinciale pieno di Antonello e Caravaggio, ma nessuno lo sa. Messina ha liquidato l’università e il commercio, riducendosi al ruolo di piccolo società di galantuomini, chiusa a Ganzirri mentre fuori imperversa il popolazzo vile e corrotto – che non c’è più, nemmeno quello, solo immigrati nordafricani spaesati, per piazza San martino e il viale dei Mille. Ha rifatto in piccolo la fuga da se stessa che ha fatto Marsiglia – ora però recuperata dopo un trentennio di abbandono. Mentre le città calabresi hanno ognuna la loro università, i centri commerciali rutilanti e, bene o male, l’ospedale.
Avviene in ogni stagione e in ogni paese, ci sono dei cicli storici. Particolarmente intensi, violenti, per le città. Siracusa, che fu abbandonata per secoli, ora è un gioiello in pieno sfolgorio. Ma l’abbandono di Siracusa era dovuto al clima e all’agricoltura povera, prima dei nuovi miracoli della Val di Noto, di Vittoria e Pachino, del nero d’Avola – a Avola quarant’anni fa si sparava impunemente sui braccianti, gli ultimi assassinati fra i tanti, oltre quattrocento, della Repubblica con le sue “forze dell’ordine”. Mentre Messina è stata abbandonata dalla sua borghesia - dalla sua “classe dirigente”. Che pensava di stare meglio chiusa in villa a Capo faro e ai laghi di Ganzirri. E il sorpasso delle ex città colonie della Calabria si fa “in discesa”, come se si perdessero passioni invece di acquisirle o moltiplicarle.

leuzzi@antiit.eu

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