La domanda che tutti si pongono è perché si pubblicano gli affittuari di comodo del Pio Albergo e del Policlinico e non quelli delle banche? La risposta possibile è che l’interesse pubblico in atto privato non è reato. Ma è dato per scontato che, “privatamente”, la corruzione sia di migliaia e non di centinaia di casi. La città è turbata, le case a Milano sono casini. Aperte o chiuse, è uguale: se si tocca la casa l’indignazione sale sicura. Come già vent’anni fa col Pio Albergo Triulzio, il maggior immobiliarista della città, così ora, sempre col Pio Albergo. Ma con alcune differenze.
Nel giorno in cui Berlusconi veniva rinviato a giudizio la città si appassionava sopratutto ai primi nomi dei signori che avevano avuto le case del pio Albergo, le migliori, ad affitti da poveri. Subito centri sociali e gruppi spontanei hanno manifestato, oscurando il “fiume di donne in piazza” contro Berlusconi. Ma né il “Corriere”, forse obnubilato da questi “fiumi”, né “Repubblica ritenevano la notizia degna. Rimediavano dopo qualche giorno. Dopo la protesta degli altri immobiliaristi, per la concorrenza sleale del Pio Albergo.
Non è interessata neppure la Procura della Repubblica di Milano. La vicenda è stata sollevata dalla Guardia di finanza, con la Corte dei conti. La Procura di Milano ha aspettato una settimana, e ora fa sapere di “avere aperto un fascicolo”. Stancamente, senza nemmeno, specifica, un indiziato di reato, e senza alcun atto istruttorio, giusto per la voce pubblica.
Non si può dire che “Corriere”, “Repubblica” e Procura siano “comunisti”, come vorrebbe Berlusconi. Una volta deciso che la notizia c’era, tutta la colpa è stata infatti riversata su Giuliano Pisapia. Che non c’entra col Pio Albergo. Ma è colpevole di avere vinto le primarie per la candidatura a sindaco del centro-sinistra, contro il candidato del partito Democratico. Gli indignati diventano strumenti di una vendetta politica, non tanto larvata. Il regime è ancora al centralismo dmocratico, anche se non si può dire – non si possono dire Bruti Liberati e Boccassini soggetti al Pd, anzi a una frazione del Partito, quella ex piccina-diessina.
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