Non se n’è parlato oggi all’Ecofin, e non è stato un buon segnale. Mario Draghi è per il momento candidato unico alla presidenza della Banca centrale europea, ma nessun ministro europeo se n’è congratulato con Tremonti: la sua resta al momento un’autocandidatura, anche se avallata dal ministro italiano dell’Economia. E in un certo senso, negli umori ipersensibili di Bruxelles, si è bruciato proponendosi con un’intervista al “Financial Times”. Il giornale londinese, pur affettando europeismo, resta a Bruxelles la bandiera della City e quindi dell’euroscetticismo in senso stretto, dell’attacco costante all’euro - nonché, con l’“Economist”, il giornale delle banche di affari angloamericane.
Dopo il ritiro di Weber, altro autocandidato come Draghi, la corsa al rinnovo a novembre della presidenza della Bce appare per il momento deserta. Ma se non c’è il nome, si conosce già il percorso della candidatura. Il successore di Trichet sarà scelto anche lui di comune accordo da Parigi e Berlino. Dovrà essere eurofan senza se e senza ma. E potrà non essere tedesco, ma dovrà avere la piena fiducia di Berlino. Quella di Draghi appare al momento la candidatura più lontana da questo percorso. Il suo prevedibile (in parte annunciato) allineamento con la dura politica di rientro dal debito che la cancelliera Merkel proporrà tra un mese all’Eurozona non dirada i dubbi sui noti legami che Draghi ha con le banche d’affari anglosassoni, reputate oggi le grandi nemiche dell’euro.
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