Salvatrice dell’America, apprezzata in Africa, dove è l’unica presenza straniera che ha prodotto sviluppo, la Cina si appresta a diventare patrona, in discreta misura, anche dell’euro e dell’Europa. Tre mesi di viaggi nel più profondo della crisi finanziaria ne hanno consacrato il ruolo. A ottobre il primo ministro Wen Jiabao ha visitato Atene e Roma. A novembre il presidente Hu Jintao è stato a Lisbona e a Parigi. A gennaio una lunga tournée ha portato il vice-premier Li Keqiang in Spagna, Germania, Gran Bretagna e Ungheria. I successi del presidente Hu Jintao negli Usa, di fronte a un impotente Obama, a fine gennaio hanno consacrato questo ruolo.
In Europa la Cina è, per ora, il solo vero baluardo contro il partito dei “defaultisti”. Che è “anglosassone”, fatto cioè di banche anglo-americane, e del vorticoso intreccio di professionalità e interessi che stanno sotto il nome di banche d’affari. Ma è sempre forte nell’amministrazione americana. E, non dichiarato, anche in Germania. È il partito di coloro per i quali la bancarotta di uno o più paesi dell’euro non sarebbe una disgrazia fatale e sarebbe anzi benefica.
Acquistando (avendo già acquistato secondo le banche) debito europeo a rischio, in Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, per una ventina di miliardi (200 secondo le fonti bancarie), la Cina si vuole protettrice sicura dell’euro. Secondo le valutazioni di mercato, d’altra parte, la Cina è già il maggior creditore dell’euro, avendo acquistato debito europeo per 850 miliardi di dollari, poco meno degli acquisti di debito Usa, 900 miliardi. Che però è un “cliente” di vecchia data dei fondi cinesi, mentre l’euro è un fronte recente. Inoltre, mentre la protezione europea, del nuovo Fondo di garanzia, Efsf (European Financial Stability Facility), va soggetta caso per caso a una valutazione politica, prima che di merito economico, la Cina non pone condizioni.
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