La natura del liberalismo è ancora da scoprire, in Italia, travisata tra l’idea della libertà di Croce (che la trovava in Hegel, in Spaventa…) e l’azionismo di Gobetti, che la trovava in Lenin. Una tradizione italiana recente tutta in linea col germanesimo, per il quale non gli scozzesi esistono, anche se Kant per metà è scozzese (quella buona?), né gli inglesi. Soprattutto estranea l’idea vera del liberalismo è rimasta alla Destra dopo il fascismo. Riccardo Paradisi, cha introduce questa antologia del 2004 con un ampio saggio, la recupera. Ma il concetto stesso evoliano di apolitìa ne è prodromo, se non è già un fondamento.
L’apolitico è chi vive fuori dalla storia e la società, quello del “particolare”. L’apolitìa è invece una dichiarazione di dissenso, di chi porta un giudizio anzi appassionato sulla politica, e se ne esclude per meglio incidere – o almeno sperare: è una forma di critica radicale. Ben diversa dall’impolitico di Thomas Mann - un ammontare lurido di pregiudizi, seppure scusato dallo stato di guerra - l’apolitìa è la condizione cui la politica politicante costringe l’uomo onesto, non ipocrita cioè né violento – l’apote a Evola contemporaneo di Prezzolini. Tanto più oggi, che la politicanteria assume le forme abiette dell’antipolitica: virtuista al meglio alla Gobetti, nei fatti una consorteria ribalda, di giornali, giudicature e baroni della finanza, che tiene sotto tiro ogni ipotesi di governo, o di autonomia del politico, di destra e di sinistra indifferentemente.
Evola, a suo modo ribaldo, vedeva già nel 1957, “Cavalcare la tigre”, la verità: “Oggi non esistono idee, cause e fini degni di un impegno del proprio vero essere”. Il vizio è antico, se lo stoico di Seneca (“De Otio”, XXIII) sapeva che “non a qualsiasi repubblica deve il sapiente partecipare”. Ma in certi momento non c’è rimedio.
Su questa base Paradisi tenta un innesto ancora più interessante. Del mercato, il mondo qual è. Partendo dall’innesto dell’individuo nella tradizione. Individuo che Evola nega ma per eccesso di egotismo, senza argomenti, né storici né filosofici. Il presupposto è semplice: la teoria politica evoliana fa riferimento a un modello di unità di altra, remota, epoca storica. “Si comincia a ragionare secondo un principio di realtà”, dice Paradisi, “se si è coscienti che con la modernità nasce l’individuo”. Che peraltro nasce col primo pensiero politico e filosofico occidentale, cioè greco, nel IV secolo a.C., Paradisi fa dire a Scaligero - se non già con Erodoto. Il Super-Io traditore di Evola Paradisi fa criticare anch’esso da Massimo Scaligero, con la consueta bonomia: gli evoliani tradiscono quella che dovrebbe essere la pre-condizione di Evola, svuotarsi del proprio Io. Meglio lo avrebbe aiutato la tagliente Yourcenar, che pure da Evola prese molto, e molto se ne attese, trascrivendone in abbondanza “Lo yoga della potenza” in italiano e commentandolo nella prima pare di “Sources II”: “Il barone Julius Evola, che nulla ignorava della grande tradizione tantrica tibetana, non s’è mai dotato dell’arma segreta dei lama, il pugnale-per-uccidere-l’Io”.
Il mercato non è solo monetario o mercantile, argomenta Paradisi, e quindi mercantilista e imperialista: “La società di mercato è un modello di civiltà che, come l’ordine medievale, è fondato su rapporti volontari e comunitari, coincide cioè con quell’ordine naturale basato sulla proprietà e sulle libertà di contratto, contro il quale, con particolare accanimento, hanno portato il loro attacco Marx ed Engels”. Può essere. Il mercato potrebbe portare a quel recupero di Auctoritas di cui hanno utilmente discusso Alessandro Passerin d’Entrèves e Hannah Arendt, in una funzione di potere che si è ridotta alla Potestas. Per ora non si vedono che dei poteri, più o meno manifesti o dichiarati, ma tutti esclusivi e invasivi: la guerra umanitaria, o diritto d’intervento, la cancellazione della tradizione (fede, storia, cultura), da parte di quegli stessi organismi sovranazionali che solo qualche decennio fa ne ordinavano il censimento a Jeanne Hersch, e la Nuova Conformità del politicamente corretto, che non si sa che cosa è e a cosa serve ma è una salda leva di potere.
Ammirabilmente, anche negli scritti qui raccolti, Evola pensa e scrive da solo pensò e scrisse da solo quanto il Collège de Sociologie, Bataille, Caillois, e anche Dumézil, e mezza Germania, in testa Jünger, Gottfried Benn e il confuso Heidegger sono andati almanaccando: una società di anime nobili, integre, spietate, che salvi l’umanità dalla glaciazione, o desertificazione, che il denaro e la ofidica tecnica minacciano, e dalla decimazione ugualitaria. Con la contrapposizione geniale tra “mondo della storia” e “mondo della tradizione”, ossia tra azione nella storia e azione metastorica, che distingue, questa sì, l’uomo superiore. Ma pensiero antimoderno e antiliberale, e antipopolare. Radicale, viscerale, logico, e quindi disumano. Esoterista mirabile, avendo scoperto la forza demoniaca, la “magia nera”, della pubblicità e della propaganda. Con Plotino e lo yoga consigliando: “Non andare verso Dio con impazienza, ma attenderlo”. Ma il precetto ha dimenticato di dare ai suoi allievi. Se Massimo Scaligero, che pure gli era amico, lo chiamava da ultimo “il cattivo maestro di corso Vittorio”, alla Chiesa Nuova. Dove formava i giovani, suo ultimo motivo d’interesse, tra imprendibili Graal, ghibellino in terra santa, riconciliando le sparse origini cristiane - giudaiche, iraniche, elleniche - coi fratoni celtici, e i cavalieri medievali con celata e corazza che vedevano la Madonna. E dove certo, se guardava fuori dalla finestra, sarà soffocato dalla collera, al sesso finito laico in spasmo breve. “Prendere sempre, per principio, la linea di maggior resistenza” è precetto prioritario del suo yoga della potenza: “Non fare ciò che ti piace, fa’ ciò che ti costa”. Etica santa, o della rinuncia. Ma dov’è la massima resistenza, o eroismo, se “la violenza è l’unica soluzione possibile e ragionevole”? Questo è pentirsi o piangersi addosso, di uno che dicesse: “Scusatemi, ho messo le bombe”. A disagio tra le caste inferiori dei vaisha-mercanti e dei sutra-operai - a disagio nel mondo. Non c’è maestro senza speranza. “Indianista”, lo bollavano gli sbirri di Mussolini, sprezzanti con ragione: il viaggio in India è contagioso. Maestro tuttavia dei tempi.
Julius Evola, Apolitìa
venerdì 11 febbraio 2011
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