astolfo
Antiamericanismo – È “una malattia psicologica” per Massimo Teodori, “Raccontare l’America. Due secoli di orgogli e pregiudizi”. O al contrario, non è una “malattia” politica, un residuato della guerra fredda? L’America è stata liberatrice per tutti, finché non sono intervenuti i blocchi – l’antologia di Piero Craveri e Gaetano Quagliariello, “Destra, sinistra, cattolici: il pregiudizio antiamericano nel Novecento”, lo spiega, che dal titolo sembra una quasi unanimità, destra, sinistra e cattolici lasciano poco fuori in Italia, ma conferma che il pregiudizio è politico, è illiberale.
Diversa è invece la posizione del tradizionalismo, la corrente di pensiero europea così forte tra il 1920 e la guerra. L’antiamericanismo (l’antioccidentalismo di marca anglosassone) è centrale nella rivoluzione conservatrice tedesca, di Spengler, Möller van den Bruck, Schmitt, Heidegger, per quel poco che capiva di politica, e in Italia di Evola. E sarebbe rimasto radicato anche fra quelli di loro che nel dopoguerra si faranno scudo degli usa contro Mosca, Schmitt o Evola. Perché è una visione del mondo che essi respingono, livellata dal materialismo nella non-entità. Ritenuta più insidiosa nel caso americano perché coperta dalla libertà di espressione, benché pleonastica.
Germania – La riunificazione era nei fatti, anche dovuta, ma è stata, è, “diversa” – da questo punto di vita è la Germania il paese che non riesce a essere “normale”: la Germania è sempre quella del Nullpunkt, il punto zero del 1945. Si controlla, lavora, si affanna a rassicurare, magari pagando, ma non ha un senso e una prospettiva del suo essere al centro dell’Europa e al mondo. Perché non ha elaborato un’analisi vera della tragedia, malgrado i tanti Mea Culpa, non si è ribattezzata, non si è liberata.
Il senso tribale è sempre prevalente. La Dieta di Francoforte ha fatto un censimento che né gli anni, né le sconfitte, né le trasformazioni del mondo intaccano. Da duecento e più anni i tedeschi a Ekaterinenburg gli Außiedler continuano a parlare tedesco. Male, malissimo, ma si sentono tedeschi in terra straniera. E così pure in Ucraina- o nel Kazakistan, dove Stalin li aveva confinati. E si censiscono. E la Germania ha pagato e paga per essi, come il riscatto ai saraceni, come se fosse in terra ostile e non di emigrazione o occupazione, come se fosse in un armistizio nel corso di una interminabile guerra. Il sogno è sempre quello del Großdeutschland: il nazionalismo dell’Ottocento con la lavateriana Schwärmerei (patetismo). La dote nobile e minacciosa del “Tedeschi di tutto il mondo, unitevi!”.
Il complesso di colpa non c’è – non opera – perché non è introiettato, vissuto, capito (c’è solo Norimberga). Mentre ci sono tanti buoni motivi per la revisione, per una critica della sconfitta e degli assetti assurdi del dopoguerra, peraltro fondata. Della Polonia, colonizzata (russificata) a Est e colonizzante a Ovest, della Bessarabia, degli immarcescibili Außiedler e Einsiedler, e delle origini e le responsabilità della guerra, delle sue atrocità. Dopodiché? Si potrà razionalmente procedere al riassetto (revisione) della storia contemporanea. Dopodiché? Non ci potrà più essere, per quanto la Germania diventi ricca, un impero tedesco. È allora un problema di quando: quando la Germania accetterà la “normalità”?
La storia si può anche dire così: il tedesco è un popolo appassionato. Perché “giovane”, non ha ancora avuto la sua maturità, un primato. I latini l’hanno avuto, e sono più scettici. Gli anglosassoni pure, e sono pragmatici. Gli slavi lo hanno tentato con grandi ambizioni, e si sono ricreduti. I tedeschi lo cercano, lo cercano come popolo, malgrado una politica ora prudente. Se con Hitler hanno definitivamente perduto l’occasione, dove deborderà tutta questa energia? Quali sconquassi dobbiamo attenderci prima che i tedeschi diventino ragionevoli? Un popolo che per metà (la metà celtica?) è bon vivant, di arcigni, modesti, conservatori, bevitori, cantori. È contadina la metà Sud, con molte aree del Nord. Traumatizzata a sua volta dal destino imperiale. Questa metà non ha ceduto, nella psicologia, la sociologia, l’economia, al contrario della campagna italiana, non si è dissolta, ma è diventata schizofrenica.
Occidente – È quello che ha perduto la fede, unico al mondo. Anche nel comunismo. Nel nome del quale però si fa grande, Stalin è l’ultimo conquistatore europeo.
L’Occidente è l’America, è nella costituzione americana, il Western Hemisphere. La frontiera cioè, il nemico - l’americano è uno attorniato da nemici, cattivi, infidi.
È evidente che l’Occidente ha molti nemici, ebrei, musulmani, induisti, buddisti, arabi, africani, asiatici, latinoamericani, che ne minano le basi morali e culturali, di libertà, democrazia, carità. Ma i suoi peggiori nemici, i più duraturi e devastanti, sono gli occidentali stessi, gli unni un tempo e le chiese, poi i fascisti e i comunisti, e la buona volontà disarmata. Hegelianamente l’Occidente, cioè l’Europa, è l’antitesi, che fa passi avanti grazie a nuove sintesi, ma si tiene su con affanno. Geograficamente è una deriva dell’Oriente, le migrazioni, le invasioni, si fanno da Est a Ovest. L’Europa non ha mai mandato la peste a Oriente. Religiosamente è l’area mitraico-ebraica, quindi cristiana, dall’Oxus in qua - a Babilonia comincia l’Oriente. Storicamente nasce al primo rigo di Erodoto, dopo il mito la storia, e con Francesco Saverio, che inventò l’Oriente metafisico, inesistente se non in funzione antioccidentale, una reazione all’inizio degli stessi occidentali. L’Oriente è creazione dell’Occidente, l’Occidente pure, e così tutto ciò che è anti, imperialista, europeo, occidentale. In una sommatoria, di segni più con segni meno, è già scomparso.
L’Occidente si può dire nervoso per costituzione, essendo altro nome per caduta: da qui l’irrequietezza, per uscirne o, temendola, andarle incontro o affrettarla. È cagionevole. Ogni tanto si salva, a Salamina, o a Maratona dove combatté Eschilo, a Granada, a Lepanto, a Stalingrado, per un miracolo. L’Occidente miracolato da Stalin non è male. O da Franco a Hendaye. L’Occidente è una spugna: coltiva l’ozio e la guerra, lo sport e il cavillo, imita le orde per farsene una colpa, e si ubriaca. Ma filosoficamente si nutre di se stesso, checché esso sia, genealogia, filologia, epica, ermeneutica, vino d’annata, invenzione della tradizione. Con la fissa, ora, delle donne senza tette - “Quando le mosche per il mondo andavano\con le cicale mostrando le tette” si ricorda in qualche ciclo di Bertoldo. E questo è quanto, quanto è rimasto: no bra perché non ce n’è più bisogno, anoressici perché obesi, afflitti dall’abbondanza.
Già per Evola, quindi almeno cinquant’anni fa, è la negazione (deiezione, rovesciamento) della tradizione europea. “L’uomo occidentale moderno (che per noi è un tipo regressivo) lo si può paragonare, sotto molti riguardi, a un crostaceo: tanto è «dura» la parte esteriore nei comportamenti dell’uomo d’azione, dell’imprenditore senza scrupoli, dell’organizzatore ecc., altrettanto è «molle», inconsistente, e senza forma la sua sostanza esteriore. Ciò è vero in grado eminente per l’Americano, in quanto egli rappresenta il tipo occidentale portato all’estremo”. Qui poi Evola trascende nel razzismo – questa critica è compresa nell’articolo “Negri americani” (1957), contro l’ipotesi d’integrazione razziale. Ma è chiaro che gli Usa sono l’Occidente dell’Occidente, e non solo per la posizione geografica.
L’Occidente anglosassone è già criticato, prima di Evola, da Th.Mann con violenza (per la Germania evocando un “destino” non europeo, salvo finire esule volontario, proprio negli Usa, sebbene ancora irriconoscente), Spengler, Möller van den Bruck, Schmitt. Cioè da una tradizione europeista che di fatto è in contraddizione con la guerra del 14-18 che essa idealizza, ed è perdente. Su tutti i fronti, il primo in difesa di se stessa – Evola è, come tutti, meno convincente sulla tradizione e l’Europa che invoca.
Rinascimento – È innovazione tecnica. Il Rinascimento si caratterizza per la ricerca del nuovo, geografico, tecnico (militare: fortificazioni, esplosivi, armatoria), finanziario (banca). Prevale il desiderio di saperne di più, piuttosto che di compiangersi.
astolfo@antiit.eu
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