lunedì 7 febbraio 2011

Il pensiero era unico già col bolscevismo

Americanismo e bolscevismo si somigliano, e minacciano l’Europa – col “cavallo di Troia” dell’americanizzazione più che del comunismo. Sotto la superstruttura, direbbe Marx, dei diritti individuali e della libertà di opinione, o “apparenza di democrazia”, la struttura è la stessa: la meccanizzazione, la standardizzazione, e l’uomo-massa suddito, di un’idea che per lui è solo organizzazione, sottomissione. Queste considerazioni che si rieditano, costanti in Evola in tutta la sua vita di pubblicista, sono naturalmente datate (“Scritti sugli Stati Uniti 1930-1968”), ma, sullo sfondo de “Il cerchio si chiude”, il quaderno della Fondazione Evola che raccoglie il saggio “Americanismo e bolscevismo” in tre delle sue quattro redazioni, 1929, 1934 e 1969, propone una traccia interessante del passaggio senza residui dal mondo bipolare al pensiero unico.
L’America, dice Evola, è anticartesiana, che il “penso, dunque sono” traspone in “non penso, eppure sono”. In “Americanismo e bolscevismo”, nelle varie edizioni, ripeterà: “Stalin e Ford si danno la mano e il cerchio si chiude: la standardizzazione inerente a ogni prodotto meccanico e quantitativo determina e impone la standardizzazione di chi lo produce e lo consuma, l’uniformità dei gusti, una progressiva riduzione a pochi tipi… Tutto in America concorre a questo scopo: conformismo, likemindedness, è la parola d’ordine , su tutti i piani”. Che non è una posizione antindustrialista, o non di mero antindustrialismo: denuncia lo svuotamento dell’individuo, il suo declassamento a produttore massificato.
“Civiltà americana” (qui in edizione ampliata rispetto alla prima vent’anni fa) testimonia un interesse costante, seppure pregiudizialmente critico, verso gli Usa come potenza antioccidentale. Proprio così: antieuropea. Ostile, perlomeno, all’idea che Evola aveva a avrebbe voluto dell’Europa. Che non è quella della baronessa Ashton e di Bruxelles, che pure è governata da democristiani e conservatori. In “Civiltà americana” la critica, sempre insistita, è diversificata. In “Americanismo e bolscevismo” è sistematica. Benché il saggio sia una lettura in parallelo di due opere del 1927 ancora “nuove”, quella di René Fülop-Miller, “The Mind and Face of the Bolshevism”, sul bolscevismo, e quella di André Siegfried, un Tocqueville del Novecento meno accomodante, “Gli Stati Uniti di oggi”. Con l’aggiunta, per il freddo tecnicismo di Lenin, dei due scritti di Malaparte, “Lenin Buonanima” e “Tecnica del colpo di Stato”.
Più che antibolscevica, come ci si aspetterebbe da un filosofo che si vuole di Destra, la critica di Evola è antiamericana. Perché già ottant’anni fa “esisteva”, a suo parere, un solo sistema, produttivo e concettuale, quello americano. E perché l’America è ben Occidente, e pertanto insiste sulla tradizione europea che invece Evola vuole tutta all’opposto dell’americanismo. Di cui anzi l’americanismo (Evola ha difficoltà a togliere le virgolette alla parola “civiltà” accostata agli Usa) sarebbe il cavallo di Troia, per una conquista e un immiserimento da parte delle potenze della meccanizzazione, funzionale all’arricchimento. Il marketing spinto è l’applicazione del behaviorismo, l’onnipotenza del training. La libertà dal bisogno un mero auspicio, ipocrita, che Evola apparenta a “Mahagonny”, l’opera di Brecht e K.Weil, alla “disperazione bianca” che l’opera inscena, di chi ha donne, giochi e whisky, e tuttavia gli manca sempre qualcosa, “und doch es fehlt etwas”. Il sesso vi è sterile, dominio della contrattualistica matrimoniale – anche nella verginità, e nell’adulterio. Il fordismo è come il bolscevismo, dentro e fuori della fabbrica: “Non vi è aspetto dell’esistenza e della psicologia del lavoratore che venga trascurato, e l’indagine non si restringe alla vita di fabbrica ma investe anche il suo ambiente sociale e il complesso delle sue relazioni”. Il sistema produttivo nel suo complesso è una forma di “autocrazia”, managerial autocracy. Nel quadro di una democrazia che Evola vede solo negativamente: “La democrazia, in America come altrove, è solo lo strumento di un’oligarchia sui generis, la quale segue il metodo dell’«azione indiretta», con cui si assicura possibilità di abuso e di prevaricazione assai maggiori di quelle che comporterebbe un giusto sistema gerarchico lealmente riconosciuto”.
Per “azione indiretta” è da intendersi il circolo vizioso dell’opinione pubblica. In “Americanismo e bolscevismo” Evola si rifà al “Tao Tê Ching” che aveva tradotto, alla massima “Buon imprigionatore chiude senza sbarre,\ buon vincolatore lega senza corda né nodi”, per affermare: “Il più profondo grado d’intossicazione non è in colui che ancora riesce a sentirsi piegato ed inane, ma in colui che è privo della stessa coscienza di essere schiavo, ed agendo pensa di essere autonomo e spontaneo”. Nella stessa opera ha molte definizioni ultimative, solo apparentemente riduttive, sulla “diversità” dell’America. In particolare, essa non codifica l’uomo-massa “perché di fatto se lo reca contessuto nella sua anima: l’oro, la forza mostruosa ed impersonale di quella finanza senza patria che guida la rete inesorabile dei trusts d’America…se ne può dire il corpo, in cui vive invisibilmente la «Bestia senza Nome»”, la Bestia dell’Apocalisse. Il femminismo è, nella redazione del 1934, un “processo per cui la donna degenera, da personalità diviene «tipo» in contraffazione di uomo, tende quindi al neutro…”
Al sovietismo sono riservate poche considerazioni. È una realtà solo militaresca, non c’è una cultura “comunista”, non c’è una “civiltà proletaria”. In “Americanismo e bolscevismo” c’è di più: il bolscevismo è “meccanizzazione, disintellettualizzazione e «razionalizzazione» di ogni attività, su tutti i piani”. La libertà liquidando, con Lenin, come “pregiudizio borghese”. Nulla di originale, se non appunto l’appaiamento all’americanismo, sin dai tempi di Lenin, Majakovskij, dell’arte costruttivista, e poi di Stalin. Gianfranco de Turris, curando vent’anni fa il quaderno su “Americanismo e bolscevismo”, appare testimone sconcertato, da giornalista, dell’accettazione supina dell’“americanismo” da parte di Gorbacev. Nei rapporti con gli Usa, e con la Germania - Kohl a Mosca compra la riunificazione da Gorbacev con contratti vantaggiosi, il giorno anniversario della caduta del Muro, il 9 novembre 1990.
Questo “destra-sinistra” dell’analisi non è isolato e anzi è diffuso nell’Europa degli anni a cavaliere del 1930, che teme di essere “sommersa” da Oriente e da Occidente. Da destra (Pound, Céline) e da sinistra (ancora Céline, Brecht). Brecht irriconoscente annota nel suo “Diario di lavoro” il 7 febbraio 1942, al tempo della guerra contro l’Asse e di F.D.Roosevelt, esule confortevole negli Usa: “Un fascismo americano sarebbe democratico”. Heidegger lo rileva, benché poveramente, gravandone l’ignaro Hölderlin, nello stesso 1942, quando ancora la guerra era vinta: “Il mondo anglosassone dell’americanismo è deciso ad annientare l’Europa, cioè la patria, l’inizio dell’Occidente”. Ma già per Hegel l’America non esiste, non entrando nella triade, di tesi, antitesi, sintesi. E questo è più vero: l’America non è un’altra Europa - Tocqueville ha visto tutto, ma non che l’America non è Europa. Mentre l’Occidente è l’America: è nella costituzione americana, il Western Hemisphere. La frontiera cioè, il nemico. L’americano è uno attorniato da nemici, cattivi, infidi - Evola ne fa un cardine ribadito di “Americanismo e imperialismo”: la self-righteousness, l’autorappresentazione dell’americano come il giusto, da moralista senza morale.
Evola resta un personaggio scomodo, anzi “sulfureo”. Antifascista (da destra), che però curava “Diorama filosofico”, una pagina periodica su “Il Giornale Fascista”, di Farinacci – con contributi peraltro egregi, di Gottfried Benn, Valéry, Guénon, e l’attenzione ammirata della giovane Yourcenar (alla quale si dovrà l’acuto epicedio: “Il barone Julius Evola, che nulla ignorava della grande tradizione tantrica tibetana, non s’è mai dotato dell’arma segreta dei lama, il pugnale-per-uccidere-l’Io”). Un antirepubblicano che aderisce alla repubblica di Salò, per un suo senso dell’eroismo. Né fascista né antifascista, “l’antifascismo” considerando “nulla, il fascismo troppo poco”. Un antirazzista di lungo corso, nella lunga stagione dell’antisemitismo, molto vocifero anche contro il razzismo biologico e l’eugenetica, che si vuole orrificato, negli anni Sessanta, dalla parificazione dei “negri”. Il suo nome, prima che i suoi scritti, sono oggetto di anatema: l’Anpi e Rifondazione Comunista si sono mobilitate nel 2008 per impedire che un convegno di studi su Evola si tenesse. In un’Italia, peraltro, in cui gli ex neofascisti di Fini sono gli alfieri del partito Democratico.
Un altro siciliano “estremo”, come Scelsi, come Pirandello. Anticonformista, in un paese “cattolico” in questo senso, che non accetta l’anticonformismo, in assenza di delitti (Evola fu pure processato, nei primi anni Cinquanta, per gli atti di terrorismo delle Far neofasciste, ma assolto in istruttoria): l’anticonformismo non si vuole far perdonare.
Evola, studioso orientalista, riporta quello che sarà il pensiero unico a radici ahrimaniche, dell’“Ahriman” Angra Mainyu, il dio del male dello zoroastrismo. Ma, sotto l’apparenza esoterica, ne individua connotati storici e psicologici congrui e sempre attivi. Comprese le insorgenze democratiche (il politicamente corretto, le forme di diritto eccezionali, femminili, razziali), solo espedienti al principio sovrano dell’interesse. Si dice dell’utilità, ma l’utile è concetto molto ampio, e soprattutto non è del più forte abile, furbo, potente). Che gli interessi degli Usa e dell’Europa siano più conflittuali che convergenti, una volta finita la guerra fredda e la necessaria “interdipendenza”, è sotto gli occhi di tutti a ogni evento importante che implichi gli interessi primari dell’Europa. Dalla crisi del petrolio alla creazione dell’euro, alla pacificazione del Medio Oriiente, a quest’ultima crisi nel Mediterraneo. Dove l’apparente politica ondivaga di Washington non nasconde un intersse al tanto peggio tanto meglio, col sostengo, malgrado l’inafferrabile Al Qaeda e l’11 settembre, all’islam radicale, in Pakistan, Iran, Afghanistan, Algeria, perfino in Turchia, e ora in Egitto (il mezzo passo indietro di Obama e Hillary Clinton è dovuto alla fermezza dei generali). Sulla base, dottrinale e politica, enucleata da Kissinger nei primi anni Settanta a partire dal Pakistan di Zia ul Haq – ma in una visione geopolitica anteriore, fin dalla crisi di Suez nel 1956, se non dal protettorato saudita a inizio Novecento, o dall’invio delle corazzata e Tripoli da parte di Jefferson antimperialista. Si parla qui di interessi economici e geopolitici. Che però hanno anche una distinta matrice culturale: l’assolutezza (la purezza, l’inattaccabilità) del modello americano, in nessun modo compromissorio - l’americano, dice Evola, si ritiene sempre nel giusto, anche quando è violento e non committed o dedicated, compassionevole.
Il succubismo europeo è d’altra parte più spesso “volontario”, frutto dell’ignoranza progressiva che sta invadendo il continente. A fronte – per restare all’attualità – delle cognizioni che l’America ha di ogni angolo del mondo, e dei continui aggiornamenti, la superficialità si può dire copra il 90 per cento, se non il 99, dell’informazione che l’Europa si dà del mondo circostante. Dall’“extracomunitario”, che non vuole dire niente, all’indistinto arabo, per cui Mubarak e Gheddafi sono la stessa persona, o Ben Alì, l’Egitto è la Libia, e nel Libano ci sono strani cristiani. Totale è, e non da oggi, l’identificazione acritica, anzi ancillare, sul fronte culturale: la musica, pop e no, l’arte, la letteratura, l’architettura, e ogni concettualità, se non si può più parlare di filosofia. Che riguardi le leggi elettorali e la rappresentanza politica, o la giustizia, o l’informazione come pettegolezzo, gossip, e la stessa aberrante e falsa dottrina del mercato quale fonte di democrazia, oltre che di ricchezza per i pochi. È il mercato, la concorrenza, la società pulviscolare, che ci riporta dritti a Evola, o all’Europa come ottant’anni fa non avrebbe voluto essere.
Julius Evola, Civiltà americana, Quaderni di testi evoliani n. 45, pp.83, €10
Il cerchio si chiude. Americanismo e bolscevismo, Quaderni di studi evoliani n.24, pp. 63,€ 7

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