lunedì 7 febbraio 2011

Ingeborg, Paul, Max, scoprirsi raccontandosi

La migliore (più ambiziosa, più rapida, più sapida) narrativa di Ingeborg Bachmann si lega anche qui alle cose viste, e anzi all’autobiografia, seppure analitica. Nel racconto più lungo, che dà il titolo alla raccolta in italiano (il titolo originale è quello del primo testo, “Simultaneo”), tratteggia con rispetto il padre, pure in pubblico rifiutato per le sue vecchie simpatie naziste – il padre come avrebbe dovuto o voluto essere. E accenna la tentazione dell’incesto, l’amore del fratello, di cui lascerà tante pagine confuse, poi confluite ne “Il caso Franza”. Nel “Latrato” tratteggia la madre, di cui il figlio si occupa poco e male, da lei peraltro non amato – come tra la stessa Ingeborg e la propria madre. Nell’innominata interprete di “Simultaneo”, nella Beatrix di “Problemi problemi”, e nella Miranda di “Occhi felici” è la Ingeborg che la convivenza con Max Frisch a Roma negli anni attorno al 1960 ha portato a nudo. Una figura curiosa e divertente, e poi drammatica, che Ingeborg scopre essa stessa sorpresa (era ben la musa di mezza letteratura tedesca) e, apparentemente, divertita, negli occhi di Frisch diversificato in vari partner: dormigliona, demi-vierge, indecisa a tutto, eccetto che nelle frivolezze, a cui lui paziente fa “sempre notare tutti i suoi errori di ragionamento”. O dell’irresolutezza in amore, la poltroneria, se non l’ipocondria, e la mancanza del senso del tempo, il rifiuto della realtà. A dieci anni dai fatti, a otto dalla versione che Frisch ne ha rappresentato in “Il nome sia Gantenbein”, e dopo un doloroso e alla fine irreparabile crollo fisico.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta in italiano è peraltro notevolissimo per il ricco ritratto di Paul Celan, “Franz Josef Eugen Trotta”, i mitici nomi “cacanici” di Paul a Vienna quando ancora poteca scherzare, che risvegliò Ingeborg all’amore e all’intelligenza della vita, e qui, da ultimo, ritorna in tutto il lungo racconto: il “lieve sarcasmo” che mai lo abbandonava, il “dissolvimento” conseguente a Parigi al perfetto bilinguismo, il possesso geloso della lingua, il tedesco, anche contro i tedeschi. Notevole pure l’intelligenza della storia e la politica che la poetessa manifesta dal fondo della remota provincia: la sofisticata lettura della Colpa collettiva, diversa per i tedeschi e per gli austriaci, nonché delle guerre del Terzo mondo (Ingeborg si accredita una partecipazione all’insurrezione algerina, con l’aiuto ad alcuni ribelli a passare “in un luogo sicuro, soprattutto in Italia”), della rappresentazione della guerra che i giornali fanno, e dello stesso impegno politico – “molte riviste si pubblicavano a Parigi sul Terzo mondo, che sapevano tutto sui problemi della Bolivia e niente dei normali problemi che toccavano direttamente i parigini”. Se non è fiabesca o d’invenzione(azione, avventura, sentimenti, storia, crimine), il racconto che si vuole di verità, psicologico, d’introspezione, dev’essere di cose viste e vissute. È anche una consolazione: Ingeborg poi chiuderà male la sua storia, morendo pochi medi dopo la pubblicazione nell'incendio del suo appartamento a Roma, ma qui si diverte.
Ingeborg Bachmann, Tre sentieri per il lago

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