“Vi esorto al non studio”: questo in sintesi l’“elogio” di Stevenson, ragazzo ribelle che invita all’esperienza – che è poi l’esperienza di tutti. Alla natura, e al tempo naturale. Contro la solerzia, l’accumulo, l’ingordigia, sia pure di libri. La saggezza (l’ozio) è lenta e selettiva: “L’estrema operosità, che si a scuola o all’università, in chiesa o al mercato, è sintomo di mancanza di vitalità” (p. 31 della traduzione, l’edizione è bilingue). Giacomo Leopardi, che ora si vorrebbe allegro e non più pessimista, lo rivendicava con l’amata Fanny, ricorda Franco Venturi nell’introduzione, senza sensi di colpa “passare la giornata disteso su un sofà”. Anche se “il non far nulla è la cosa più difficile del mondo”, direbbe O.Wilde.
Una divagazione più che un trattato, ma come tutto Stevenson di rinvigorente lettura. Le ghiottissime note ci apprendono che Coventry era nel Seicento una fortezza in cui i parlamentaristi tenevano prigionieri i realisti, i papisti e ogni altro dissidente.
Robert Louis Stevenson, Elogio dell’ozio, La Vita Felice, pp.59, €6,50
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