Un Apollinaire che curasse oggi una collana di “Opere libere” non s’infognerebbe all’“Inferno” della Biblioteca Nazionale, lo scaffale dei libri proibiti ai minori, di cui il Poeta si prestò a fare il censimento. Andrebbe a palazzo di Giustizia. A uno qualsiasi, di Bari come di Milano, di Trani, o di Napoli. Alla Procura della Repubblica, che in genere ha l’ufficio migliore. Ma senza nemmeno spostarsi col sedere, giusto sfogliando i giornali o guardando la televisione, a qualsiasi ora, in qualsiasi programma. Resoconti troverebbe pronti dei tentativi di scopate di un povero ricco signore, abbandonato dalla moglie e vessato dalle amanti, che lui vede in figura di angeli e madonne, con escort dalle labbra avide e mai sazie, ma di denaro e di scandalo, che “fa bene al culo”, diceva Arletty, frigide, rifatte, impomatate, gastropatiche. Sempre gli stessi, ma la pornografia è ripetitiva.
Testi anonimi ma, è qui il sale delle pubblicazioni, attribuibili a magistratesse morigerate. Che, contro le loro intenzioni evidentemente, le labbra nella smorfia del disgusto, l’occhio violento della legge, implacabili dispensano invettivando colpi di frusta. Ce n’è per quattrocento pagine nella citazione del satiro Berlusconi. Per trenta nella sentenza della dottoressa Di Cento, che si presenta da brava bambina. E l’attesa non andrà delusa delle tre dame già sperimentate contro Berlusconi – che hanno a loro volta frugato Corona, ma non gli hanno trovato l’arma. Anche la storia di Corona con Lele Mora, che una delle tre giudici ha ricostruito, non è male. E quella di Corona con Belen Rodriguez, che a Sanremo è diventata la fidanzata di quindici milioni di italiani, e di italiane? Le intercettazioni sicuramente non mancheranno.
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