Una pubblicazione d’altri tempi. Camilleri racconta la storia a Eileen Roman, direttrice di Skira. Che ne è affascinata, e se ne fa riscontro con amici e luminari – gli amici sono luminari: Salvatore Settis, gli archeologi Nicola Franco Parise e Maria Conconi, la numismatica Maria Travaini. È un ritorno della Marchesa Colombi, un Centopagine calviniano di “buone maniere”. Anche nelle illustrazioni a corredo: leziosi oli e guazzi di Houël, molto poco campestri, e le foto famose del terremoto di Messina. Ma Camilleri, sornione gatto di casa, è al suo meglio. Formidabile contastorie: anima una monetina che fa di tutto per scomparire, dal giorno in cui Akragas fu distrutta dai cartaginesi.
L’esito è più stimabile perché il dialetto che Camilleri intercala qui suona falso, gli interlocutori essendo contadini con la zappa e non sbirri: è l’ipostatizzazione di una realtà che avvince il lettore, più che il lessico e il linguaggio? Bisognerà tenerlo presente quando si analizzerà il dialetto quale strumento del successo, invece che dell’ostracismo, di Andrea Camilleri. Che ne fa anzi lo scrittore più amato e venduto per quasi vent’anni, un’epoca della letteratura e della storia.
Andrea Camilleri, La moneta di Akragas, Skira, pp. 118, € 15
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