Non può emanare il federalismo per decreto, ma salverà la riforma: il no di Napolitano al decreto federalista è in realtà un sì. È una maniera per il presidente della Repubblica di smarcarsi dal condizionamento, che al Quirinale si definisce “pesante”, del presidente della Camera Fini. Che avrebbe fatto boicottare il federalismo alla Bicameralina non per un’opzione politica o un principio ma per tattica, se non per motivi personali.
Al Quirinale si considera che anche alla Camera, oltre che al Senato, il federalismo ha una maggioranza. Qualificata dal punto di vista politico, cioè della maggioranza di governo. Ma ancora più ampia al di fuori del gioco politico tra maggioranza e opposizione. Di interesse comune dell’Anci, l’associazione dei Comuni. E anche del centro-sinistra, sopra e sotto l’Appennino ovunque dove il centro-sinistra governa: in Friuli-Venezia Giulia, in Piemonte, in Liguria, e nelle regioni centrali. Dove il partito Democratico è radicato, la riforma federalista è ritenuta prioritaria per la società civile e l’elettorato, soprattutto dai sindaci ma anche dai presidenti delle Province e delle Regioni, e qualificante per l’opinione pubblica. Se si votasse sul federalismo, come avverrebbe in caso di rigetto dei decreti, Bossi e Berlusconi avrebbero il successo assicurato.
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