George Orwell, Ricordi della guerra di Spagna, datanews, pp. 94, €4,50
lunedì 28 febbraio 2011
Orwell molto italiano nella guerra di Spagna
I moti del maggio 1937 a Barcellona hanno una sola laconica riga nella dettagliata cronologia della guerra civile spagnola fornita dall’Anpi, l’Associazione dei partigiani. Non per tristezza: la guerra tra le sinistre, con l’annientamento dei (pochi) trockisti del Poum e degli anarchici, molti, di sinistra, organizzati e popolari, del Cnt-Fai, segnò l’inizio della sconfitta della Repubblica. Ma perché evidentemente nel 2007, quando questo libro è stato pubblicato, non si poteva ancora dire la verità - la riga è anche incidentale e censoriale: “Nei drammatici scomntri nele file repubblicane a Barcellona muore l’anarchico Camillo Berneri”. A settant’anni dai fatti, a venti dalla caduta del sovietismo, che quello scontro fratricida e suicida aveva voluto. Il libro del resto è finito subito ai remainders a metà prezzo (comprende la raccolta dallo stesso titolo, 1942\43, l’articolo “Sono stato testimone a Barcellona”, pubblicato nel 1937, subito dopo i fatti di maggio, nella rivista “Controversy” in agosto e in “La révolution Prolétarienne” il 25 settembre, oltre a trenta pagine della cronologia estratta dal sito Anpi).
Non è il solo interesse di questa pubblicazione. Orwell, che come si sa fu volontario in Spagna e poi ne fuggì sdegnato proprio per i fatti di maggio, li narra vividamente in un testo qui ripreso, in coda alla raccolta di articoli da lui pubblicati in guerra col titolo di “Ricordi”. Sono ricordi offuscati dal suo personale fallimento - suo come di Simone Weil e tanti altri, ma non era facile nel Novecento mantenere lo spirito libero: o ruote di scorta o il deserto, Mosca vigilava. Ma spiegano perché la Repubblica non poteva non perdere, sola in realtà e disarmata, mentre Franco aveva abbondanza di uomini e mezzi dall’Italia e dalla Francia – un dato che la storia successivamente ha acquisito. E propongono tra i tanti il ritratto di “un italiano”, un operaio volontario non meglio identificato, un contatto fuggevole che segnò tuttavia Orwell a vita per la carica di umanità e di speranza (“Omaggio alla Catalogna” era già uscito con l’omaggio iniziale a “un miliziano italiano”). La guerra poi, nelle prime pagine, è come avrebbe potuto vederla un italiano. Sono pagine sincere cioè, di fame, freddo, paura, non come ci hanno abituati a vederla a lungo le storie e i film britannici, di soldati scattanti, con le scarpe lucide. E ammoniscono contro le rappresentazioni che della guerra danno i media, i quali, spiega Orwell, scrivono ciò che “devono” scrivere, ognuno secondo le proprie “fonti”. Una lezione, si vede, ancora da imparare. Ci sono già i lager, col lavoro schiavistico, che accomuna polacchi, russi, ebrei e politici.
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