Antimafia
Figli e sorelle gestiscono la memoria dei martiri della mafia in modo che avrebbe indignato i morti, Costa, Falcone, Borsellino. Gestiscono è la parola giusta.
Non si celebra-ricorda Rocco Chinnici, il Procuratore Capo dei grandi processi, dai quali la mafia ancora non si è ripresa. Perché non amava, e anzi criticava, i sostituti politicanti, Scarpinato e Lo Forte – che poi effettivamente insabbieranno l’antimafia nell’antipolitica (democristianamente, anzi pretescamente)?
La giustizia politica è sempre abominevole. Applicata alla mafia invita alla violenza: è insopportabile.
Sicilia
Giovanni, il figlio secondogenito del principe Salina, fuoriesce dalla storia andandosene a Londra, andandosene a lavorare. Basta poco per perdere le stigmate: la sicilianità, il principato, il gattopardismo.
Le Cocalidi, le siciliane figlie del re Cocalo, per farsi Dedalo, che era intelligente e bello, invitarono Minosse con loro nel bagno, e lì stesso lo bollirono. Per godere le cocalidi normalmente preferivano un capro, che dicevano Dio. Le figlie di re sono terribili. Le Danaidi, le cinquanta figlie di Danao, quarantanove di esse, uccisero a pugnalate la notte delle nozze i quarantanove cugini loro mariti, ne recisero le teste, e le gettarono nel Lerna.
Le siciliane sono bionde con gli occhi trasparenti, più normanne che arabe, quando si farà il conto all’anagrafe bisognerà cambiarne l’immagine. Anche i siciliani, che sono più alti e robusti che piccoli, l’industria delle confezioni lo sa - anche se molti sono lombardi e piemontesi. Verga era di pelo rosso. Sono di occhio cinerino in realtà e non glauco, su fondo verde e non azzurro.
L’eredità può anche essere vandala, chissà, non hanno lasciato immagini. O greca della Ionia, quello è il colore dello Ionio, Omero si sbagliava.
È vezzo costante in Sicilia, dall’ultimo dei cronisti a Sciascia, addebitarsi, oltre che la mafia e il nepotismo, le peggiori nefandezze in ogni campo. Nell’urbanistica, per esempio, nella protezione ambientale, nella conservazione del patrimonio – storico, culturale, artistico. E nei rapporti familiari, in quelli di vicinato, nel senso civico. Insomma, per ogni dove. Senza porsi paragoni. Con la Liguria per esempio e la prospiciente riviera apuana in Toscana per lo scempio della natura e del territorio. Con qualsiasi cittadina toscana o veneta per lo “sviluppo urbano” delle città storiche. Con la provincia toscana o umbra per l’impoverimento delle tradizioni e la standardizzazione del gusto. Con ogni dove per la gestione misera di musei e biblioteche. Per non dire delle eccellenze: l’aura che si preserva a Taormina, Tindari, Segesta, Sólunto, una vera città punica, strabiliante anche per la posizione, cui la “Guida d’Italia” del Touring dedica una paginetta, anzi metà pagina, la valle dei Templi, o a Siracusa per ogni dove, dal porto a Ortigia, alla città ottocentesca, alle latomie e alla Neápoli, non ha equivalenti.
Un paragone non è necessario, certo, si può anche portare a credito dei critici siciliani la loro sensibilità: non c’è limite alla volontà di purezza. Ma ogni critica è inevitabilmente comparatistica. Questa Sicilia è da buttare allora in confronto a un passato migliore? Che pochi però conoscono - è da molti anni che la Sicilia non si studia più. E a occhio e croce non c’è stato, altrimenti la Sicilia non sarebbe scappata a Torino, a Roma e a Milano. Non avrebbe maturato un tale complesso d’inferiorità. Pur essendo così superba nei suoi assetti urbanistici, nella conservazione, nella protezione culturale, nella rivalutazione del patrimonio.
L’odio-di-sé è difficilmente intaccabile, in costanza di sudditanza, finanziaria e di opinione. Molti geni della finanza che sono siciliani, e napoletani, a Milano non devono dirlo, anzi negarlo, negare le origini e qualsiasi radice.
La Sicilia sempre divora i suoi figli eroici, politici, poetici. Li osanna e poi li dimentica, per ultimi Bufalino, Sciascia, Buttitta, Consolo, Rosa Ballistreri. I politici li vota in massa, e poi li distrugge: come se li mettesse nel mirino invece che dare loro fiducia. A intervalli sempre più brevi, nervosi. Come mafiosi, corrotti, incapaci, vanitosi e inutili. Sindaci, presidenti, ministri, intellettuali. Odia l’idea del potere. Che è una buona cosa. A cui associa però la politica, e la letteratura. Delle quali finisce così col privarsi, è un corpo che fosse senza testa.
Scelsi, Pirandello, Evola, o Cuccia, alcuni siciliani si fanno “estremi” per sottrarsi alla giubilazione. In Italia contro il conformismo, in Sicilia contro l’anticonformismo – in Italia il conformismo è la prassi, in Sicilia l’anticonformismo, egualmente giubilatori.
Sud e Nord
Non ci sono spacciatori veneti a Palermo o Napoli. Né ladri lombardi che assaltano le banche a Cosenza o Salerno. Non ci sono presidi piemontesi nelle scuole lucane, né insegnanti toscani d’italiano nei licei pugliesi o sardi. Né prefetti, questori, provveditori, direttori dell’Inps, delle Poste, dei casinò. Si può anche dire che è il Sud a invadere il Nord. Con risultati buoni e cattivi. Ma da questo Nord non scende nulla di buono.
Marcelino dos Santos, il poeta lusitano d’Angola, che fu ambasciatore del suo paese in lotta e avrebbe dovuto esserne il ministro degli Esteri all’indipendenza, non fosse stato per il sovietismo, guardava il colonialismo da questo punto di vista (è nel romanzo di Astolfo, “La gioia del giorno”, p. 371): “C’è chi ha avuto i francesi, chi gli inglesi, chi i gesuiti. Noi abbiamo avuto i portoghesi e i cappuccini, i poveri di Europa e gli ignoranti, che dopo due settimane montavano come conigli, insabbiati nella brousse”. L’Africa subì i cappuccini, ma i guaranì e gli altri nativi americani, che i gesuiti protessero dalla stupidità coloniale, non ne furono salvati. Né si può dire negativo l’ardore dei cappuccini. Il progressista marchese di Pombal, che perseguitò i gesuiti, impose agli angolani l’emigrazione in Brasile. Ne nacquero il samba e tanti brasiliani. Il marchese, riponendo la prosperità nella demografia, fece del Brasile un fottisterio. “L’estrema voluttà dei portoghesi li portava a integrarsi senza difficoltà ai tropici”, così Freyre spiega il lusotropicalismo. Prima della squalifica del negro, e delle negre.
Avrebbe potuto essere un’altra storia? Certamente sì, l’invenzione del Sud è recente. C’era evidentemente una debolezza di fondo, su cui gli equivoci si sono innestati. Che non c’era nei ducati padani, o negli stessi stati del papa. Ma ci fu anche, più forte, continuato, mai sopito, il tradimento degli emigrati.
La squalifica del Sud è recente e ruota attorno all’unità. Invano si cercano al Sud i segni di una peculiare arretratezza rispetto al resto d’Italia nei viaggiatori del Settecento e del primo Ottocento. Non c’era la libertà, non dopo i moti del 1820-21, non dopo quelli del 1848, ma non c’era nemmeno nel resto d’Italia. Al Sud non ci fu nemmeno nel regno napoleonico di Murat, se non per l’eversione degli assi ecclesiastici, che però non si può dire atto di libertà o liberalizzazione, se non a profitto di ceti ristretti, laici, e ancora, di certe logge e non di altre – la massa, come lo stesso Pasquale Villari dovette constatate nel 1878 (ma già nel 1861) era meglio “mantenuta” dai conventi e la nobiltà. Per non dire del finto, ristretto, diritto di voto che la costituzione unitaria introdusse: selettivo – o tutti elettori o nessuno elettore, la democrazia su questo è chiara.
Si può discutere naturalmente sul diritto di origine dei conventi, e sul loro dare e avere con la comunità. Ma erano un fatto acquisito, come opere pie, in qualche modo di bene, e quindi da sostituire con un di più e non solo eliminarle. Vilari non fa un elenco delle opere pie soppresse. Una lista dei primi del Seicento comprendeva: ventuno sedi francescane, diciassette dei domenicani, nove degli agostiniani, sette dei carmelitani (cinque i calzati e due gli scalzi), dei gesuiti e dei teatini, quattro dei minimi, tre dei servi di Maria, due dei celestini, i canonici regolari del Salvatore, i canonici regolari lateranensi, i chierici della Madre di Dio o lucchesini, i ministri degli infermi, i fatebenefratelli, i pii opreraii, i barnabiti, e una dei certosini, i comaschi, i filippini, i benedettini cassinesi, i benedettini di Monte Vergine.
1 commento:
Era meglio quand'era peggio.
Espedito
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