Giuseppe Leuzzi
L’ultima indagine disponibile (dopo la derelizione del benefico Istituto Tagliacarne, che troppo coinvolgeva il Sud) sulla distribuzione regionale del reddito, quella della Banca d’Italia del 2003 (sui dati del quinquennio 1995-200), dà una maggiore concentrazione (sperequazione) “nelle regioni meridionali, in particolare in Sicilia e in Campania”, E spiega che “utilizzando l’indice di benessere di Sen, che tiene conto sia del livello medio del reddito sia della sua distribuzione, il gap tra le regioni meridionali e quelle del Centro e del Nord risulta quindi ancora più pronunciato”.
È la concentrazione della ricchezza che alimenta il gap, o il gap porta a un minore sviluppo? È la stessa cosa: lo sviluppo vuole parità di condizioni.
La cosa più interessante è l’altra parte dello studio della Banca d’Italia. Da cui risulta che le disuguaglianze di reddito tra le regioni risentono “in misura marcata” della diverse condizioni socio-demografiche, a loro volta in parte connesse col mercato del lavoro: numero di componenti, numero di percettori di reddito, dimensione del comune di residenza, età, istruzione e condizione professionale del capofamiglia. I ricercatori, Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio, “al fine di isolare questo nesso”, hanno posto “la distribuzione delle famiglie per ciascuna variabile socio demografica rilevante” uguale a quella media nazionale. Ma così facendo hanno scoperto che nella distribuzione, e anche nei livelli, del reddito le diverse “strutture socio demografiche” incidono in misura rilevante: “Ad esempio, allineando la distribuzione per numero di percettori a quella media nazionale il reddito equivalente della Campania aumenta del 5,5 per cento; quello della Sicilia del 7,8. Nel Lazio”, invece, “controllando(lo) per il titolo di studio del capofamiglia, il reddito equivalente si riduce di circa il 5 per cento; un effetto simile si osserva controllando(lo) per l’ampiezza demografica del comune di residenza, -7 per cento.
Se l’Italia fosse “sociodemograficamente” unita, cioè standardizzata, “i divari tra le medie regionali… si ridurrebbero di circa il 40 per cento per i redditi equivalenti e di circa il 10 per cento per la ricchezza pro capite”.
La differenza, più che di reddito, è di testa: di iniziativa, costanza, adattabilità. E di organizzazione, certo: infrastrutture, servizi, sicurezza.
Napoli
Il giornale di Milano, il “Corriere della sera”, fu fondato da un napoletano, Eugenio Torelli Viollier, l’assistente di A. Dumas. Garibldino naturalmente, come molto uomini di affari - i garibaldini sono di due specie, alcuni ardevano per il business.
È stata anche austriaca, come no? Per la pasticceria. E l’innumerevole serie di regine regine e principesse biondine, deboli, lontane. Una storia durata tre secoli. Con collegamenti alla Boemia e alle Fiandre, oltre che alla Spagna e all’Austria, via Borbone e Asburgo.
Celebra i centocinquant’anni dell’unità scoprendosi sporca, povera e mal governata come ai tempi del Re Lazzarone, prima della Rivoluzione del 1979. Anzi a prima dei Borboni di Napoli, ai tempi del lontano viceregno di Spagna, di Masaniello. Una città nel 2010 che vive come tre, quattro secoli fa, passati i fasti di “O sole mio” e dell’anema e core, la macchietta che s’è lasciata costruire addosso – la città più metropolitana (più crudele) d’Italia. Ma non lo dice. Forse non lo sa neppure. I suoi uomini migliori non lo sanno e non lo dicono, eppure ne ha molti ai vertici dello Stato e nelle magistrature.
Fa il lavoro sporco. Coi suoi legulei, a Napoli, Milano, Roma, i questori, i giornalisti compiacenti. Lo fa per Milano.
“Non abbiamo mai perseguitato nessuno, e non guardiamo in faccia nessuno”, afferma il Procuratore Capo di Napoli Lepore. Perché non guada in faccia nessuno? Converrebbe alzare ogni tanto il capo.
“Se sono stati consumati reati essi vanno perseguiti”, afferma ancora il dottor Lepore: “Se non ci sono stati ci saranno proscioglimenti o archiviazioni”. Dopo paginate di accuse su tutti i giornali? Ma l’uomo non è in malafede: a Napoli si può credere a tutto, Hegel vi sarebbe impazzito, anche Kant.
Scomparse a Milano, le foto del Berlusconi nudo riappaiono a Napoli. Quando si dice le coincidenze.
Non ricompaiono le foto ma i Procuratori e i loro giornalisti in cerca delle foto.
Si può anche dirla così: esclusa la Procuratrice Boccassini, napoletana a Milano, dalla ricerca, la ricerca è stata riaperta dai Procuratori napoletani di Napoli. Sempre “Milano chiama, Napoli risponde è”, l’accoppiata che governa l’Italia.
Poi si fa una distinzione tra la camorra e l’immondizia, e la “Napoli nobilissima”. Che sarebbe questa qui.
Calabria
Si gusta il tè all’essenza di bergamotto, o di gelsomino. Ma noi la coltura del gelsomino l’abbiamo dismessa, e del bergamotto non sappiamo che farcene.
Molta toponomastica è legata al Toro. È il residuo di un filone del culto della Dea Madre, Artemide Tauropolos, la cretese Madonna del Toro. La Vergine associata al Toro è reminiscenza micenea, di origine minoico-cretese – una storia ben più antica della colonizzazione greca e della Magna Grecia, (quasi) tutta ancora da esplorare.
I misteri del Toro-Dioniso nei taurobolii Ernst Bloch dice, in “Thomas Münzer teologo della rivoluzione”, misteri della rinascita: “«Renatus in aeternum», così suona l’epitaffio per coloro che partecipano ai taurobolii: attraverso il sangue del Toro-Dioniso essi vengono magicamente trasformati in lui”. Una simbologia che un orientalista aggancerebbe al Dharma, la legge cosmica, o naturale, il modo come le cose sono: “cavalcare la tigre” è saggezza orientale per dire che non si può abbandonare un’azione iniziata, non negarla, pena una brutta fine, mentre l’uso mitico, e ritualistico, voleva invece cavalcato il toro. Che ha molta energia, come la tigre, ma è domabile: si ravvede, diventa forza del suo eroe-cavaliere. Nella religione mitraica l’eroe uccideva il Toro, una volta domato. Nello Zen invece il Toro segue l’eroe che lo ha domato, la forza primigenia asseconda la volontà.
Siamo la regione più montuosa d’Italia, con appena il 9 per cento di terreni di pianura, ma non abbiamo nessuna cultura della montagna.
Abbiamo la superficie maggiore sotto vincolo in parchi nazionali, in rapporto a tutta la regione e in assoluto, 233 mila ettari, il 15 per cento del totale, e la peggiore situazione ambientale: edilizia, assetto idrogeologico, rifiuti, inquinamento.
Vittorio Sgarbi è stato deputato in Calabria nella legislatura del 1994 e poi nel 1996 (ma ha optato per il Veneto: la sue due elezioni in Calabria, nella famigerata Locride non figurato nel suo pur dettagliato sito). Per un paio d’anni cioè, per caso, avendo intercettato con Franco Corbelli i voti contro la malagiustizia. E al suo modo svagato, passando per la Calabria in gita, con la mano sinistra, nei pochi minuti di sosta elettorale in questo o quel paese, ha consigliato la pavimentazione a Gerace e Serra San Bruno, e la colorazione delle case di Ardore, insieme con l’arte antica del gelato di questo paesino. I sindaci pronti gli hanno obbedito, e questi sono i pochi segni congruenti di ammodernamento nella provincia di Reggio Calabria.
A volte basta poco: un volto (simpatico) in televisione. La politica (in Calabria) può essere semplice.
In Calabria, dove non c’è smog, e le fiumare sono al più inquinate da una rara cava, tutti pensano di essere avvelenati. Ma proprio tutti: gli insegnanti e gli alunni, gli impiegati, gli artigiani, i bottegai, e i braccianti, per non dire delle casalinghe, che si dicono quasi morte. Non c’è paese, o anche luogo isolato di campagna o di montagna, lungo le fiumare scoscese, nelle valli più chiuse, in cui non vengano indicati, ipotizzati, temuti sversamenti di ogni sostanza tossica immaginabile, solida, liquida, gassosa. Che ignoti mercanti di morte (ma si sa che c’è ovunque la ‘ndrangheta al controllo) trasportano e seppelliscono o seminano di notte, su camion invisibili, su è giù per questi luoghi reconditi.
Essere una discarica, anzi la discarica, è parte della depressione, si sa. Che però in Calabria è solida e universale – nella finitima Basilicata, dove pure sono stivati rifiuti nucleari, si respira già diverso. Ne sono parte anche le ricerche dei bidoni tossici disseminati un po’ ovunque, nei fiumi e in mare. Ma più sul mare Tirreno, nel mare del litorale cosentino. Sarà quel mare più profondo? E c’è il problema dei fiumi, che in Calabria non ci sono – non c’è un corso d’acqua che copra dei bidoni – sia pure tossici, quindi per natura sfuggenti.
È però vero che c’è spazzatura dappertutto. Ma perché la raccolta, che si paga in molti paesi più cara che a Roma, non si fa.
leuzzi@antiit.eu
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