Marchionne dice l’ovvio, che Fiat potrebbe essere “americana” anche di diritto, e il sindaco di Torino Chiamparino non trova di meglio che chiedergli “un colloquio chiarificatore”. Si mostra così, come un abisso, la frattura fra la città, che per un secolo fu il luogo dell’innovazione, garantendo all’Italia il passo col mondo, e la contemporaneità. O forse solo fra una cultura politica obsoleta, dopo essere stata incapace, e la contemporaneità. Che politica è quella che non capisce il mondo? Ma è inutile chiederlo ai nostalgici – anche se non si sa di che.
Chiamparino, buon uomo, intende probabilmente proporre a Marchionne la mozione degli affetti. Ma dovrebbe sapere, uno che fa il sindaco di una città di un milione di persone, che un’azienda si batte ogni giorno per vivere, non può guardare al passato, se il passato non è espediente. E in cosa serve Torino alla Fiat? Che ancora poche settimane fa stava votando per non avere le vetture Chrysler a Mirafiori? Da parte di lavoratori che la cultura politica di Chiamparino illude che siano occupati a vita, e non si sa perché. Cioè si sa, se considera i metalmeccanici di Detroit stupidi o asserviti, e i suoi buoni perché utili a un titolo di giornale – si sa ma non si dice: il conformismo è doppio.
Dalla Juventus ai giornali il disimpegno da Torino dei vari rami della famiglia Agnelli è d’altra parte evidente da alcuni anni. Si può criticarlo (per poi magari, alla fine, ritenerlo giusto), ma come non vederlo? Come fa la politica torinese a non accorgersene? Magari imbracata nello schema Don Camillo e Peppone, che però è roba di cinquant’anni fa, sessanta, se mai lo fu. Dell’odio-amore, a base di “cattivi padroni” e “affettuosi operai”, come se gli affari fossero buffetti e pacche sulle spalle, magari all’osteria. La cultura del niente.
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