È dubbio che la cancelliere Merkel abbia abbandonato la candidatura tedesca alla presidenza della Bce. Resta sempre vero che a Berlino importa avere “una presidenza non tedesca ma affidabile”. Ma a questo è espediente candidare un tedesco. Anche se non necessariamente Weber, candidato di matrice bancaria, quindi non della cancelliera, e un autocandidato. Mentre resta certo che la Germania, anche senza Weber tra i piedi, intende assoggettare i paesi membri a ulteriori dure restrizioni, quali il pensionamento per tutti a 67 anni, e la costituzionalizzazione del divieto di deficit di bilancio. Tutto questo nell’ambito della Efsf, European facility a protezione del debito, e dell’euro, di cui Angela Merkel è, e si ritiene, il nucleo fondamentale, anche se ne è il finanziatore alla pari degli altri paesi membri. E già il prossimo mese, all’Eurogruppo.
La Germania è sempre contro il consolidamento di parte del debito dei paesi più esposti con l’emissione di eurodebito (proposta Tremonti-Juncker). E anche contro l’abbandono di alcuni debiti al loro valore residuo, un terzo, un quarto, un quinto di quello nominale, cioè al fallimento di alcuni paesi membri (banche d’affari anglo-americane, “Economist”, “Financial Times”). Berlino vuole proteggere tutto il debito europeo, attraverso la Efsf, ma con ulteriori condizioni restrittive.
In pratica, si dice a Berlino, è come applicare all’Europa la lezione della riunificazione tedesca. Ma partendo subito dalla condizioni finali, che infine si sono cioè imposte, molto più restrittive, e socialmente costose, di quella dell’allegra galoppata di Kohl vent’anni fa: partendo appunto dall’obbligo del pareggio di bilancio e dell’alleggerimento della previdenza.
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