La sentenza del giudice americano Chin che condanna la libreria-biblioteca online di Google, su iniziativa degli editori, malgrado la transazione già definita tra le parti in causa, non condannerà forse Google, ma certamente sì il mercato Internet come mercato free, a costo zero o limitato. La sentenza del giudice Chin è a vantaggio dei concorrenti di Google sull’online, e imporrà a Google una transazione più onerosa con gli editori, a spese dei fruitori – i navigatori. È d’altra parte singolare che un giudice si pronunci su una materia che non è più oggetto di contesa, se non appunto nel senso di favorire una delle due parti in causa. Ma si restringe ulteriormente il mercato libero di Internet.
Lo stesso giudice lo riconosce. “La creazione della biblioteca digitale (Google) sarebbe stata un’ iniziativa a vantaggio di molti, tra cui biblioteche, scuole, ricercatori e popolazioni svantaggiate”, ammette. Riconoscendo che l’accordo intercorso “avrebbe consentito ad autori ed editori di trovare nuove audience e fonti di guadagno”. Nonché assicura “ai libri rari e antichi” di “essere preservati, trovando nuova vita”, a vantaggio dei molti che sono esclusi dalle biblioteche. Ma “l’accordo intercorso va troppo in là”, sentenzia, in quanto dà a Google “un vantaggio sleale rispetto ai suoi concorrenti”.
La procedura contro google-books era stata avviata ne 2005 dagli editori e dagli autori congiuntamente, a protezione dei propri diritti. La vertenza si era conclusa tre anni dopo con una transazione, con la quale Google s’impegnava a pagare fino a 125 milioni di dollari a editori e autori le cui opere fossero finite, senza il loro consenso, nella sua libera libreria online. Nell’occasione la biblioteca si trasformava in libreria, offendo l’opportunità a editori e autori di utilizzare anche la libreria virtuale, con una ripartzione a tre degli utili, circa il 33 per cento a ognuno dei tre soggetti interessati.
Apparentemente il giudice apre nuovi spazi agli autori. Criticato aspramente dagli autori, che ne giudicano la sentenza tardiva e inopportuna, il giudice Chin chiede un nuovo accordo che consente ai titoli dei diritti d’autore di poter decidere autonomamente se partecipare agli accordi fra Google e gli editori. Ma in realtà, gli autori e i loro aventi diritto avevano già questa facoltà: Chin ha voluto soltanto rendere più oneroso l’accesso a Internet.
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