giovedì 10 marzo 2011

Il viaggio di Poe sulla luna

Tre noti racconti di Poe, “Hans Pfaall”, “La beffa del pallone”, “Von Kempelen”. Il lungo e anche noioso. Ma presentati in ottima traduzione, fedele e scorrevole, da Nicola Manuppelli. Scelti in quanto proposti come “falsi” – hoax: una “notizia” falsa e insieme beffarda. Un genere che veniva di moda negli anni 1830 (Poe ne scrisse altri tre), con la rivoluzione industriale e a cinquant’anni dal primo volo dei fratelli Montgolfier, e avrebbe avuto larga fortuna nella seconda metà dell’Ottocento. Di cui un secolo dopo sarebbe stato maestro Borges – “Von Kempelen e la sua scoperta” è puro Borges.
L’hoax come criterio della piccola raccolta ha il merito di evidenziare il canone principe di Poe, lo “scrittore dei nervi” di Baudelaire:l’umorismo, l’ironia - che, per quanto sorridente, è distruttiva, e dissecca (dissecca anche lo spirito critico). L’hoax, burla, falso, è secondo il Roget’s Thesaurus rumour, trickery, fable, false alarm. Il rumour, le voci, e il false alarm sono ricorrenti nel giornalismo. Ma l’hoaxer, aggiunge il Roget’s, è un trickster. Il genere Münchhausen, ma in ambito già critico, della “letteratura sulla letteratura” - che a fine Novecento si reinventa come post-moderno. Nell’hoax più celebre, lo sbarco dei marziani raccontato alla radio da Orson Welles nel 1938, gli ascoltatori non si appassionarono ai marziani, ai quali non credevano, ma alla loro rappresentazione – la maestria di Welles. Di questi viaggi non fatti, sulla luna, sull’Atlantico, e dell’impossibile alchimia dell’oro, il racconto non è di vicende o personaggi o passioni, ma del falso dichiarato: come viene argomentato, gestito, raccontato. Hans Pfaall parte per la luna un primo di aprile, ed è la storia di un debitore che si fa aiutare dai creditori a fuggire, sulla luna – caso non infrequente, ai debitori piace scomparire, ma sulla luna?
Con ironia più rarefatta, questa è la ricetta prevalente anche della fantascienza, come il genere sarà poi chiamato: darne per scontata l’irrealtà. E del genere horror, di cui Poe si fa capostipite a livello colto con la sua prima novella, “Metzengerstein”: Poe la scrisse come una satira di quel genere già popolare. Le peripezie del viaggio di Hans Pfaall in pallone sulla luna non hanno oggi nessun interesse, se non appunto come falsa notizia, e come beffa di un bancarottiere - Poe l’accenna al’inizio e poi la conferma nelle ultime righe. Ma non ce l’avevano nemmeno nell’ottica dello scrittore e dei suoi primi lettori. La lunghissima nota che Poe fece seguire a “Hans Pfaall”, qui omessa, benché più godibile del racconto stesso, ne è un’illustrazione. In polemica con un “Mr. Locke” (Richard Adams Locke) che tre settimane dopo di lui pubblicò un altro viaggio sulla luna con maggiori pretese “scientifiche” e vantando la primogenitura dell’idea, Poe sbeffeggia i “rigori della scienza”, e le stesse primogeniture.
Poe si vuole “strano”. In massima parte perché è ancora vittima, come persona e come letterato, dell’imbastitura demoniaca che gli costruì addosso dopo morto un suo nemico dichiarato, Rufus Grismond, che se contribuì al suo successo postumo, ne infangò indelebilmente la memoria. I biografi lo vogliono influente anche in fatto di crittografia, cosmologia, e demonologia. Ma non è più strano di Swift, o di Voltaire, o di Kafka, degli scrittori che portano un occhio distaccato sul mondo, che non raccontano storie ma il mondo attraverso le storie.
Poe coltivò con insistenza la carriera militare, ma lesse sempre molto. Per scrivere “Hans Pfaall” ha letto con attenzione Humboldt, Gay-Lussac e Biot, Cassini, Hevelius, Johann Hieronymus Schroeter - “Eureka” invece, che scrisse di getto di testa, come se volesse rifare il “De rerum natura” in prosa (“un poema in prosa” è il sottotitolo), senza riferimenti specifici o enciclopedici, è pieno di errori, anche se gli si accredita l’anticipazione, niente di meno, della teoria del Big Bang. Quando passò al giornalismo, Poe continuò a leggere molto – anche se confusamente, e forse più articoli di giornale che parlavano di libri che libri veri e propri ((nella “Lettera rubata” deride la “falsa («spurious») profondità che è stata attribuita a Rochefoucauld, a La Bougive, a Machiavelli, e a Campanella”, dove La Bougive è forse La Bruyère). Fu noto come critico letterario, e scrisse almeno 855 articoli, tanti ne sono censiti, ventimila pagine, tra essi i testi di spessore noti come il “Il fondamento del verso”, la “Filosofia della composizione”, il “Principio della poesia”. Ma fu scrittore di fortuna tardiva, dopo il successo istantaneo del “Corvo” ne 1845 e le altre poesie. Quattro anni prima della morte. Quando aveva già pubblicato “Il racconto di A.G.Pym”, 1838, e i racconti per i quali diverrà celebre, come capostipite di vari genere, per primo il giallo, una raccolta dei quali ha titolo di sensibilità ancora contemporanea: “Racconti del grottesco e dell’arabesco”.
Fra le tante primogeniture di Poe c’è anche quella di primo scrittore americano che vive dei suoi scritti. Scelse il giornalismo negli anni di maggior fioritura dei giornali - il giornale venduto a un cent, nel 1833, è una data nella storia del giornalismo, se non della democrazia. Lui stesso nel 1840 coltivò un progetto di periodico letterario, “The Penn” o “The Stylus”, per il quale pubblicò anche dei prospetti, ma non raccolse i finanziamenti necessari. Erano quelli però anche gli anni della prima grave crisi finanziaria della nuova nazione, impreparata a gestirli – il primo “panic” è del 1837. E non c’era ancora la protezione internazionale del diritto d’autore: in America si pubblicava di preferenza, senza diritti, ciò che aveva avuto successo in Inghilterra.
Si fa preso, insomma, a dire maledetto. Oltre che di Grismond, Poe è peraltro vittima del maledettismo di programma della poesia francese di metà Ottocento. Di cui divenne l’icona. Poe se ne colloca anche cronologicamente al centro, tra il Vigny di “Stello” nel 1832 che ne anticipa il nome, e l’antologia di Verlaine nel 1884, “Poeti maledetti”, che ne fa già la storia (“Il corvo” era stato tradotto da Mallarmé nel 1875, con illustrazioni di Manet). Per il tramite di Baudelaire, che lo scoprì e tradusse quindici anni dopo la morte. Per la stessa concezione distaccata dell’arte, “l’arte dell’arte”, e l’interesse per ciò che Poe chiamava “il demone della perversità”.
La nota a “Hans Pfaall” fa un hoax dell’hoax. Il viaggio sulla luna Poe attribuisce primariamente a un Dominique Gonzales, “aventurier espagnol”, le cui peripezie dice aver letto in francese, in una traduzione del 1647, opera di un certo Davisson, che egli opina essere un Davidson. E invece si scopre essere Francis Goodwin, un vescovo inglese, altro personaggio solforoso, contemporaneo di Galileo e probabile uditore di Giordano Bruno a Oxford nel 1583. “L’uomo sulla luna” di Godwin, pubblicato postumo nel 1638, si presume scritto dieci anni prima. John Wilkins subito, Aphra Benn e Thomas d’Urfey dopo alcuni anni nello stesso secolo, lo riscriveranno. E qui l’hoax si può elevare alla terza potenza: Poe poteva non sapere tutto, ma non che, ad appena dieci anni dalla traduzione di Godwin in francese, Cyrano de Bergerac si era prodotto in un altro viaggio sulla luna, subito famoso e ben più diffuso della traduzione, “confusa” la dice lo stesso Poe, del vescovo Godwin. Il viaggio sulla luna, anche quando ci arrivò Armstrong, sa sempre di promettere la luna – naturalmente hoax.
Edgar Allan Poe, Impareggiabili notizie, Mattioli 1885, p. 144 €10,90

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