Ha colpito molti, nella tre giorni di Napolitano al Nord, il suo bellicismo, ai più apparso disinvolto. Il presidente della Repubblica ha passato i primi tre giorni di guerra tra strette di mano e brindisi con i grandi imprenditori, Marchionne, Tronchetti Povera, l’ex sindacalista Moretti ora ad di Trenitalia. Ma più di tutti Napolitano ha lasciato sgomenti i politici a Roma. Compresi molti Democratici, e anche il fronte dei costituzionalisti, che pure gli era fedele e anzi fedelissimo.
Gli si imputa di avere prevenuto ogni decisione del governo sabato pomeriggio anticipando la mattina a Torino l’entrata in guerra dell’Italia (il famoso paragone della “rivoluzione” libica col Risorgimento). Di avere forzato e forzare l’art. 11 della costituzione, che parla di guerre e non di “missioni di pace”, cioè d’intromissione negli affari interni degli altri Paese. Di voler forzare il cap. VII dell’Onu, che non prevede neanch’esso “missioni di pace” ma solo “stati di guerra”.
L’art. 11 della Costituzione è chiaro: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. È chiaro nel dettato, oltre che nelle intenzioni dei costituenti. Ma Napolitano dice che ci consente di andare in giro a bombardare questo e quello, eminando molte perplessità.
Sul governo pesa peraltro, più che il suo interventismo, la superficialità con cui continua a proporre la questione dell’immigrazione clandestina. Come se si trattasse di rifugiati politici, e di numeri piccoli. Mentre si tratta di traffico di uomini, accertato sotto ogni profilo in Tunisia, e di numeri ingenti. Questa superficialità, di un ex ministro dell’Interno che si era segnalato per i “respingimenti” degli albanesi, e per la creazione dei famigerati Cet, centri temporanei di accoglienza, ha lasciato perplessi molti anche a prescindere dagli schieramenti.
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