Lo studio di sei mesi fa di McKinsey Global Institute, “Lions on the move: the progress and potential of African economies”, è diventato proposta d’affari delle maggiori banche d’investimento. In parallelo con la domanda imperiosa di riconoscimento politico delle borghesie nordafricane, prima conferma degli esiti di quella ricerca. Gli ultimi dati della Banca Mondiale e del Fondo Monetario con fermano d’altronde i trend individuati dalla ricerca. Si conferma insomma ciò che McKinsey asseriva: “Oggi i ritorni degli investimenti stranieri in Africa sono più elevati che in ogni altra regione in via di sviluppo”.
Il Nord Africa è parte di una crescita tumultuosa, seppure ignorata, dell’Africa. Economica, e quindi necessariamente sociale, in questo scorcio di millennio. Favorita dalla crescita dei prezzi dei beni primari. Ma c’è di più, l’Africa non è più il continente delle monocultura a basso valore aggiunto lasciato dal colonialismo: le commodities non coprono più di un quarto del reddito del continente. Che beneficia ora della crescita demografica. Mentre riduce l’instabilità delle vecchie forme politiche, tribali e dittatoriali. Essa ha ancora punte feroci, ma non è endemica ovunque.
Ciò ha attratto in questa prima decade investimenti considerevoli, con un balzo nel decennio da 15 miliardi nel 2001 alla cifra record di 87 miliardi di dollari nel 2007, prima della crisi, e tuttora sempre oltre i 70 miliardi annui. Un flusso di capitali superiore – in rapporto al pil – a quello di cui ha beneficiato la Cina. La demografia e l’urbanizzazione combinate stanno creando rapidamente anche un vasto mercato di consumo interno. Un terzo della popolazione africana è urbanizzata, tra vent’anni lo sarà il 50 per cento. L’Africa nel suo insieme “vale” oggi quanto la Russia. Anche se con sproporzioni: poco meno di un quinto del pil africano è in Egitto, mentre la Nigeria, che ha una popolazione doppia dell’Egitto, ed esporta petrolio e gas, non copre il 13 per cento – alla pari del Sud Africa, che ha una popolazione di 50 milioni (ma è pure in paese minerario ricchissimo).
La maggior carenza è delle infrastrutture. In parte supplita dalle tecnologie – sono 340-350 milioni gli abbonamenti a reti cellulari dal 2010. Ma all’attivo il continente può ora portare quelli che finora erano i suoi maggiori handicap: la crescita delle popolazione e la grandezza del territorio. La Fao censisce nel continente il 60 per cento della superficie arabile mondiale, non coltivata. La demografia porterà l’Africa ad avere nel 2040 “la più grande popolazione in età di lavoro al mono” (Mckinsey). Ma già oggi il continente è al primo posto nell’offerta di lavoro giovanile, fra i 12 e i 24 anni di età: “Il potenziale per un dividendo da un’ampia forza-lavoro giovane, con poche persone a carico, è ampia” (McKinsey).
lunedì 14 marzo 2011
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