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Baudelaire – Il wagnerismo, depurato del desiderio di essere à la page con le nuove tendenze della musica, e filotedesco per anticonformismo, è preoccupante: c’è un doppio (triplo) Baudelaire, uno di Poe e uno di Wagner? Ma, mentre non scrive come Poe, scrive come Wagner: della marcia del Tannhaüser dice che, col “ritmo sontuoso e cadenzato” e le “fanfare regali”, crea “uno sfarzo fantasmagorico, una processione di eroi in rutilanti costumi, tutti di altissima statura, di volontà ferma e di fede ingenua, splendidi nei loro amplessi quanto tremendi nei loro duelli”. Gli “amplessi splendidi” impongono una revisione di Baudelaire, partendo dal wagnerismo.
Cicli - Ricorrono anche in letteratura. Un europeo arrivato alla lettura nel 1932 avrebbe trovato pronti la “Ricerca”, l’“Ulisse”, il “Viaggio” di Céline, le “Elegie Duinesi”, Freud in full swing, Pirandello, e perfino Zeno e Montale, con i quali probabilmente si sarebbe formato, perché erano letture nuove e insieme conclamate. Chi fosse nato una generazione prima si sarebbe invece formato con le letture epidemiche, da scaffale riservato, e giornalistiche che coronavano la Belle Époque, i buoni scrittori, Henry James, Thomas Mann trovando limitata accoglienza, e non nella critica militante e nell’industria editoriale. Negli anni 1960, sempre in Europa, c’era più sostanza ma grande confusione: Sartre, Camus, Pasternak, Solgenizin, Pasolini, Gadda, Ionesco, Böll, Grass, Osborne, Albee. Oggi?
Favola – Ha il ritmo del pensiero. I traslati spesso anche, l’immaginario. Ma soprattutto il ritmo: non la scansione, il ritmo mentale (fantastico, cioè libero), figurativo.
Per il suo tramite si rivaluta la poesia – che si rifà a una grammatica più complessa di quella della prosa? Dal ba-ba, linguaggio cantilenante, poco più che inarticolato, al linguaggio magico, e quindi inventivo, ordinato da una logica superiore.
È la fonte più ricca di trame e di tropi. E di anti-tropi.
Giallo – Il razionalismo vi è a buon mercato, consolatorio, complice, anche nel noir: i cattivi sono gli altri.
Ma sempre dimentica la vittima: l’assassinio è un pretesto.
È il mondo hobbesiano senza Dio, dell’uomo contro l’uomo, la specialità animale. Motiva il male, e in questo senso è redentorio, nella versione logica non solo (A. Christie) ma anche in quella irrazionale (S.Holmes). Il vero giallo è scià Abbas, Ugolino, Stalin, il cannibalismo ben motivato del genere umano.
Hölderlin – Il mondo orizzontale (adagiato), femminile, dello stoicismo, del naturismo, dei misteri (con i fratelli di gioventù, Hegel compreso) di contro all’aristocrazia, all’antimodernismo, all’antiscientismo, all’antiaccademismo che sarà di Schopenhauer, Burckhardt, Nietzsche. La poesia è l’abbandono voluttuoso del missionario (Gottesreich). La follia è la reazione delusa, l’orgoglio che si rinchiude – conseguente ma luciferino. Perché la follia non è stata anch’essa poesia? Per paura.
Ha avvertito la semplificazione dell’ateismo – della storia. V. E. Jünger, “Al muro del tempo”, 42: “Il mitico deve avere un suo particolare posto nello spazio storico”. E mette in guardia contro il ritorno dell’“antichissima confusione” (“Il Reno”).
Italiano – Lingua difficile perché per ogni sfumatura – anche se non ce ne sono molte: il dizionario dei sinonimi è magro – bisogna imparare altrettanti radicali. Imparare, letteralmente, inventare in italiano non si può, suona falso perfino nelle avanguardie. Differenza del tedesco, dove le parole si possono comporre a volontà, o dall’inglese, ricco di gerghi, locali e settoriali, che moltiplicano le caratterizzazioni idiomatiche. L’italiano dovrebbe ripartire senza purismi, arricchendosi dei dialettismi, che sono carichi di senso e non suonano artefatti.
Il purismo lo ha semplificato a nessun effetto pratico e impoverito. Per fare chiarezza il vocabolario è stato potato troppo. Sinonimi, localismo, colloquialismi danno più chiarezza che non il linguaggio mono-televisivo.
Le tante (tutte: le eccezioni si contano) traduzioni i classici, da Gòngora a Shakespeare, Gorthe, Hölderlin, e a Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, che sono più vecchie (datate, insignificanti) dell’originale. Non è un problema di capacità espressiva della lingua: il castigliano, per esempio, ha le stesse matrici, e perfino le stesse cadenze, dell’italiano. Né di una maggiore anzianità o gioventù della lingua nazionale rispetto alle altre, giacché l’italiano letterario viene storicamente prima. È il vezzo che vuole la parola nella poesia desueta, o rara, o incomprensibile.
Si spiega perché tanta cultura è sterile – in Italia c’è sovrabbondanza di “cultura” (tutto anzi è cultura) rispetto agli effetti: non sa esperimersi, e sceglie le forme esoteriche per coprirsi..
Joyce – Il plurilinguismo di “Finnegan’s” sarà pure derivato come vuole Folena (“Il linguaggio del caos”) dal suo amato italo-veneto. Ma con quale risultato, se comparato con i testi del Quattro-Cinquecento, e col “Mistero buffo” di Fo?
Libro - È un manufatto, ma è anche un’idea, delle storie, degli eventi, dei personaggi, delle narrazioni. L’idea del libro si può trasmettere anche senza il manufatto, per esempio per sentito dire. O anche nelle idee-libro, per esempio i repertori o i digesti delle opere perdute, Quérard, Suida. O si possono avere idee senza libro: Socrate, che non scrisse, ci è ben noto. Ma questa è la “normalità”.
Tuttavia, il libro è un’altra cosa dalle sue idee, o dalle idee in generale. Sopravviva, o muoia, è una cosa reale che sopravvive o muore. La biblioteca di Alessandria che brucia è un fatto reale. Può darsi che tutti i testi in essa raccolti ci siano stati tramandati attraverso altre copie, ma la perdita non per questo si cancella.
Il libro è una creatura vivente. Sembra azzardato dirlo quando una macchina Timson è in grado doi stampare ventimila copie in un giorno, e le copie giacciono senza nome nei magazzini, avvolte in carta da pacchi o in nastri di plastica, designati con una sigla. Ma ogni libro, anche il più svelto gialletto erotico stampato in carta da macero, ha una sua esistenza. Del resto non va meglio, quanto a selettività e qualità, nel mondo animale e umano. I libri scomparsi dei cataloghi di Quérard e di Suida suscitano la stessa nostalgia che i dinosauri e le altre specie scomparse. Tutti gli esseri viventi vorremmo averli con noi, è qui il senso di perdita che viene dalla morte – e l’attrattiva della storia, che tutto recupera e fa rivivere.
Proust– Alla “spirituale coterie dei Guermantes” attribuisce, onore supremo (“Swann”, p. 334 della Pléiade 1982), la sopravvivenza di “qualcosa dello spirito svelto, scarnito di luoghi comuni e sentimenti di circostanza, che discende da Mérimée e ha trovato la sua ultima espressione nel teatro di Meilhac e Halévy”. Nell’operetta cioè. Senza ironia.
“Swann”, riletto, è accasciante di gelosia più di Albertine. Insulsa, noiosa.
Dopo un migliaio di pagine, tra i due romanzi, non si saprebbe che dirne, se non che è passione del tutto incongrua. Posto che le donne (o sono travestiti?) in entrambi i casi sono di piccola virtù.
Rileggere – Si rileggono con più disponibilità di un autore le scritture più personali o estenuate. Rileggere non è andare per il corpo centrale, ma arrampicarsi sui ami marginali, anche secchi.
Seguono lo stesso filo le passioni senili, per la Bibbia, per Manzoni?
letterautore@antiit.eu
giovedì 31 marzo 2011
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