martedì 29 marzo 2011

L'odio madre-figlia è un capolavoro

La madre bambina, capricciosa, il marito-padre, e nel mezzo l’infanzia e l’adolescenza che Hélène-Irène non ha avuto: il libro dei conti più amaro della scrittrice col suo passato. Quello più vero anche sul suo rapporto, contestato, con l’ebraismo (e con la chiesa: l’unico senso religioso percepito da Hélène-Irène è quello della sua istitutrice francese, Rose). Vocabolario semplice e passioni forti: l’“allucinazione del ricordo” è vissuta impietosamente, troppo vivi essendo sempre i torti. E tuttavia la narrazione non ne soffre, questo lungo racconto autobiografico in quattro scene, la vita a Kiev, la vita a Pietroburgo, la vita sui ghiacci sotto il cielo di latte in Finlandia (qui c’è la prima metà di “Kaputt”, in forma più concisa e sorridente che in Malaparte), e infine Parigi, è un unicum, materia sorprendente a prescindere dalla storia vera, anche se è l’opera più studiata dai biografi della scrittrice – la storia semmai si segnala per la sua assenza: la grande guerra, la rivoluzione russa. La rivolta – l’odio – oblitera il tono elegiaco del fondo biografico. Le stesse città, Pietroburgo, Parigi, rivivono sorprendentemente reali: sorde, anemiche.
Un “Senza famiglia” di russi ricchi - arricchiti: senza patria e senz’anima - ma di ottimo taglio. Sul genere horror, sotto le apparenze benpensanti. La stessa piccola vittima Hélène entra nella vita con un “amore colpevole”, il gigolò della madre, anzi con due. Il mantenuto della madre è per di più un altezzoso cugino che le trattava anche lui da ragazzo, come la sua famiglia, con disprezzo.
Il racconto, del 1935, libera Irène Némirovsky dalla faticosa etichetta di scrittrice etnica – che la sua etnicissima fine a Auschwitz nel 1942, provocata dalle denunce della Francia “profonda” nella quale credeva e s’era rifugiata, ha proiettato sull’opera. L’antisemitismo di cui fa uso deliberato, anche in questo racconto, vale al contrario, come protesta contro una separatezza che la scrittrice non ha vissuto in alcuna forma se non negativa, e che ne minaccia il gusto di vivere.
Irène Némirovsky, Il vino della solitudine, Adelphi, pp. 245, € 18

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