All’apparenza è solo un controsenso che il governo, cioè Tremonti, tagli le spese della cultura e dell’università e non, per esempio, quelle della cooperazione allo sviluppo (delle aziende italiane), o quelle altrettanto equivoche delle guerre umanitarie che l’Italia fa in giro al carro degli Usa. Dove il risparmio sarebbe di miliardi, invece delle centinaia di milioni risparmiati sulla ricerca e sui beni culturali. Se c’è un perché in questa dissimmetria, sa anzi di corruttela: nelle spese per la cooperazione e la difesa si procede ad appalti, con larghi margini, mentre la cultura ha bilanci comunque striminziti. Ma ragioniamo “come se” – non si può sospettare il ministro dell’Economia di proteggere gli appalti gonfiati.
Resta che gli sprechi e l’incapacità degli enti culturali sono, per qualsiasi appassionato d’arte, indifendibili. Specie degli enti musicali. Specie a Roma, la più vocifera contro i tagli. Uno dei più importanti e di maggiori tradizioni, la Fondazione Santa Cecilia, che ha una grande a apprezzata orchestra, un coro, una direzione artistica e musicale di prim’ordine, e programma ormai quasi un migliaio di manifestazioni l’anno, ha abbonati in calo invece che in aumento. Ai quali presenta a ogni concerto sessanta o ottanta gradini di scale, non musicali evidentemente, al Parco romano della Musica l’archistar Piano non avendo previsto scale mobili, e i due ascensori infilati all’ultimo momento essendo piccoli e lenti - irrimediabili, possibile? Dopo un viaggio che va fatto necessariamente in automobile o in taxi, a dieci anni dall’apertura il trasporto pubblico per il Parco ancora latita. Un vecchio vizio peraltro non è stato mai risolto: riempire comunque la sala. Con promozioni per i giovani, le scuole, categorie sociali, come fanno tutti gli enti musicali in Europa, dall’Opéra di Parigi al Covent Garden – benché ci siano già gli organismi per gestirle l’Agimus, le Gioventù Musicali, o è agevole crearli. La novità quest’anno è la riduzione del numero degli ospiti e della loro qualità
L’Opera di Roma, con la quale è stato celebrato il centocinquantenario, fa di questa inefficienza la farsa. Il coro ha pianto agli appelli di Muti, mentre le Autorità si esibivano compunte sul palco, comprese della protesta. Ma questo teatro che ha seicento dipendenti da quasi trent’anni non produce una stagione – giusto qualche spettacolo sparso, ripescaggi o in forma concertistica. Dipendenti tutti qualificati, un’orchestra, un coro, un corpo di ballo. Per i quali vale oggi quello che Roman Vlad ne diceva nelle conversazioni con Corrado Augias sull’“Espresso” trenta e quarant’anni fa, che era impossibile farli lavorare.
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