sabato 26 marzo 2011

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (84)

Giuseppe Leuzzi

Il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Pignatone, lusingato dall’invito del “Corriere della sera”, non si sottrae e scrive una letterina in cui ricorda i casi di presenze mafiose in Lombardia. Ignaro, forse, che il giornale se ne doveva servire per una campagna politica contro la regione Lombardia, governata dai berlusconiani. La campagna è diventata subito vivace - gli insulti sono da Grande Fratello – ma che c’entra la lotta alla mafia?

Nichi Vendola non capisce che la lite è molto lombarda, e rincara: “La Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia”. La scommessa è facile che non prenderà un voto in Lombardia, dovesse candidarsi col suo partito, alle prossime comunali e poi alle politiche: la Lombardia non è il Sud, si difende.
O anche: certe cose si possono dire solo contro il Sud.

Il reality di maggior successo in America, “Jersey Shore”, basato sulle vacanze in quella località dei giovani italo-americani, vuole le donne steatopigie, con grandi seni, e visi tondi minacciosi. Servono per mettere in scena combattimenti fra donne.
La protagonista Nicole “Snooki” Polizzi, che meglio risponde al canone dell’ampiezza, è latinoamericana. Adottata, dice, da una famiglia di italo-americani.

Nord
(dal romanzo di Astolfo, “La morte è giovane”, in uscita con Lampidistampa):
“Molti albanesi e greci arrivarono in Calabria e in Sicilia col conte normanno Ruggero e con gli Angioini manutengoli del papa, che avevano tentato di costruirsi un regno pure a Durazzo, e poi nel Quattrocento con Castriota. Ancora a fine Duecento, nel matrimonio tra Filippo d’Angiò, figlio di Carlo II lo Zoppo duca di Taranto, con Ithamar, figlia di Niceforo Comneno despota dell’Epiro, lui portava in dote Corfù, terreni in Epiro e Albania, e titoli ammassati dagli Angiò nei Balcani, duca di Atene, Acaia, Albania, Valacchia e altri luoghi marittimi e terrestri di Romania, lei Argirocastro e altre località epirote. Il nipote di Filippo, Carlo III, sarà re d’Angiò Durazzo. E questo titolo manterrà Giovanna II, figlia di Carlo III, l’ultima degli Angiò regina di Napoli. Giorgio Castriota, re dell’Epiro, venne in aiuto d’Alfonso V il Magnanimo d’Aragona, I di Napoli, contro Renato d’Angiò, del ramo francese della famiglia, e i baroni e la Lega del Nord suoi alleati, con forte rinforzo di truppe. Molti più albanesi attraverseranno il mare con Giovanni, suo figlio, in fuga dai turchi. Si stabilirono anch’essi in Calabria, dove Irene Castriota, la sorella di Giovanni, era andata sposa a Sanseverino principe di Bisignano.
“Già allora il Nord aveva tentato di annettersi il Sud: contro il Magnanimo, difeso da Castriota, una Lega fu promossa da Filippo Maria Visconti, duca di Milano, in appoggio a Renato d’Angiò. In precedenza, sotto Giovanna II d’Angiò Durazzo, che non avendo eredi aveva adottato l’aragonese Alfonso, Muzio Attendolo Sforza s’era preso con le sue bande vari pezzi del Regno. La prolifica politica matrimoniale di Carlo II lo Zoppo, che portò agli Angiò i regni d’Ungheria e Polonia, comportò la divisione del casato in tre, tra Angiò Valois, Durazzeschi e Aragonesi, che a fine ‘400 darà titolo a Carlo VIII re di Francia, chiamato dal milanese Ludovico il Moro, di tentare la riconquista di Napoli. Nella prima delle Grandi Guerre d’Italia, fino al 1559. Durò quattro anni la spedizione di Carlo VIII, che per prendersi Napoli s’era ingraziato gli Asburgo e gli Aragonesi di Spagna cedendo loro mezza Francia, con un esercito bello e imponente di artiglieria, lungo la via Francigena.
Erano tempi torbidi: a Firenze il giorno che Carlo entrò in città chiamato dai nemici dei Medici, il 17 novembre 1494, con le trombe e le campane, Giovanni Pico della Mirandola, che pure era un gigante di due metri, oltre che biondo, bello e famoso, morì avvelenato, forse dai Medici suoi protettori, o dai filosofi suoi amici, facendo impazzire il suo “amore celeste” Girolamo Benivieni. Papa Alessandro VI ne riderà: i francesi hanno “corso l’Italia con gli speroni di legno e presola col gesso”, disse, limitandosi cioè a segnare le porte degli alloggi che requisivano, non abbastanza cattivi per i suoi gusti. Poi Carlo VIII e il successore Luigi XII si presero, com’è noto, il ducato di Milano. Ma Napoli non ha mai tentato di prendersi Milano”.

Tonnellate di fango sono state rovesciate per secoli dai protestanti, quindi da quattro quinti dell’Europa del Centro-Nord, sull’Italia e gli italiani perché cattolici, papisti, gesuiti, e quindi terroristi (carbonari…), tirannici, lassisti, e anarchici. L’italiano è traditore perché è papista e quindi gesuita.
Sono argomenti polemici. Ma da parte protestante la polemica è profondamente creduta. Partendo dall’“io e il mio Dio”, che, benché superficiale, una fede da piccolo borghesi, è cultura confidente. Lo stesso la speculazione anti-Colombo e anti-scoperte: all’origine e in larga misura è protestante e nordica. Sulla linea della storia alla Pirenne: semplicemente si ignora il Sud quando non si può sovrastarlo. Oppure gli si contrappone una storia inesistente, come quella della scoperta vichinga dell’America, una storia senza tracce – dopo la deriva dei continenti, certo.

Autobio
Biografia, biopsia? L’una si fa in morte, l’altra in vita. Ma quella è agiografica, sempre celebrativa anche se critica, questa indaga uno stato patologico, è segno di una patologia. Ed è necessaria.
Capita d’incontrarsi in posti strani. “Mezzo mezzo” è espressione dialettale per dire “così così”. Sentirlo pari pari, miso miso, dall’affittacamere a Itea, dalla figlia laureata dell’affittacamere, ci ha emozionati. Venendo dopo un viaggio nei nomi dei luoghi e delle persone di casa, che erano ancora in uso durante l’infanzia e ora sono dimenticati: Profiti, Misuraca, Jeraci, Demisuli, Filartò, Cótripa, oppure Foti, Papalia, Romeo, Suraci, Macrì, Crea, Siclari, Plataniti, Paterniti, gli innumerevoli Calabretto, le Neàpoli, i Panormos, con Tropea, Platì, Policastro, Monasteraci. A partire dal Pollino, che è il monte di Apollo, i santuari il dio iperboreo voleva elevati. Pronunciati in greco moderno esattamente così, come nel dialetto di casa, anche se lo studente di greco leggerebbe Mesoraca, Jerace, Surace. Con i dolci stagionali, “nacatuli”, “guti”. I giochi, anch’essi stagionali, “palorgiu”, “carici”, la raganella sorda che rende grazie nei giorni della Passione.
Usiamo anche il rafforzativo, “ventu ventu!”, in funzione di superlativo. E parliamo indiretto, come da antica tradizione apotropaica. Per non sfidare il destino – non scuoterlo dal torpore. Al salutare “Come state?” rispondiamo: “Insomma!, “Non c’è male”, “Non mi posso lamentare”. Meglio ancora il neutro: “Non ci possiamo lamentare” – il neutro non è l’impersonale “si”, siamo tutti noi. Del resto, anche la domanda non è diretta, lo scrupolo è pure di chi chiede. Che più spesso prudente si limita a un “Che si dice?”, “Come andiamo?”
Oppure parliamo indiretto per naturale ritegno. Una madre non dice al figlio: “Ti voglio bene”, ma gli fa un complimento: “Come siamo eleganti”, “Come siamo belli”. Né l’amata dice all’amato: “Ti amo”, ma lo ammira, e se ne fa ammirare. “Non lo vedo bene” diciamo invece di qualcuno che si suppone malato grave. C’è rispetto per chi soffre, più che l’aggressivo impossessarsi delle sofferenze altrui che viene fuori ora nell’Italia televisiva, da prefiche sul podio. Non abbiamo mai avuto prefiche ai lutti, lamentatrici professionali.
Il ritegno era ritenuto naturale anche nel dolore, il proprio, dei propri familiari, la disgrazia, la malattia, la morte. Ora sempre meno. E sempre più invece parliamo in dialetto. Sempre meno nella forma intermittente, esornativa, espediente alla narrazione, sempre più invece in forme dure, per il tono, l’accento, accentuate, cupe. Come a calare una saracinesca.
La scoperta della storia è esilarante. Benché sempre muta. Probabilmente anche araba, a giudicare dai toponimi, Buzzurra, Meja (la mellah, quartiere ebraico), Morabito, Vadalà, Sciarra (Sciari), Sciortino, Saracino, Albanese. E lo zibibbo. Una storia anche bruzia, vagando per la Montagna se ne trovano ancora le pietre.

leuzzi@antiit.eu

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