I Sawiris (gruppo Orascom) stanno tentando di recuperare. Ma debolmente: più che altro fanno affidamento sulla protezione che il nuovo regime deve assicurare ai copti – i Sawiris sono copti. Mohammed Tantawi, il generale che ha rilevato il potere da Mubarak, non può perdere la faccia subito. Ahmed Ezz, il capo del secondo grande gruppo privato egiziano, forte nella siderurgia, è invece già sotto inchiesta, e sa che non ne uscirà in nessun caso pulito. Ma tremano anche le banche private. La seconda più grande banca, Efg-Hermes, che pure ha interessi in tutto il Golfo e in Libano, ha nel suo azionariato la Medinvest, il fondo di Gamal Mubarak, il figlio liberista del presidente deposto, mentre il suo presidente, Yasser El Mallawanny, siede nel comitato politico del Partito democratico nazionale dello stesso Gamal. Come Ahmed Ezz.
In agitazione non sono solo i grandi interessi. E tra essi quelli legati in qualche modo a Mubarak. Anche la vasta platea degli infitahiyin, la piccola-media borghesia di nuova generazione, avviata quarant’anni dall’infitah di Sadat, la politica della porta aperta, è in apprensione. Aveva già reagito due mesi fa, nel mezzo della “rivoluzione”, con ronde armate a guardia dei quartieri residenziali e commerciali delle città. Ora è all’opera per riportare all’ordine i ceti salariati che avevano partecipato, in non gran numero per la verità, alla rivolta di piazza.
Dei gruppi che avevano animato la piazza, d’altra parte, giovani e salariati, questi sono i soli che potrebbero ottenere qualche risultato: non avranno l’adeguamento salariale agli standard europei, ma beneficeranno del calmiere sui prezzi dei beni di prima necessità. È questo l’unico intervento per ora del Consiglio supremo delle forse armate, che Tantawi presiede, e governa il paese dopo la cacciata di Mubarak. I giovani sono stati la massa d’urto della piazza perché soverchianti di numero, ma non sono organizzati, né utili a nessun progetto politico né gruppo di potere. Su una popolazione di 70 milioni di abitanti, se ne contano 23 milioni sotto i 14 anni, e altri 10 di studenti superiori e universitari, ma senza rilievo politico. Le manifestazioni di piazza, del resto, non sono mai state di massa: al Cairo, metropoli di almeno 8 milioni di abitanti, non più di 50-100 mila persone sarebbero scese – le immagini di YouTube e Twitter sono emotive, come si sa, ma non documentative.
A un mese dalla demozione di Mubarak c’è in corso un regolamento di conti tra i grandi interessi, ma in una situazione complessivamente di stallo. Il nuovo regime si conferma emerso col colpo di Stato mascherato contro Mubarak conferma il riallineamento tradizionalista e islamico delle forze armate, rispetto ai sessant'anni di laicismo nasseriano. Ma non riesce a liberarsene, nemmeno nella sua ultima incarnazione: non riesce a liberarsi di Mubarak – né ad arrestarlo né a esiliarlo. Non procede neanche ai processi fatti annunciare a carico dei “profittatori di regime”, per essi intendendo i fautori delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni (Gamal Mubarak, Sawiris, Ezz, e i banchieri). Tantawi sa peraltro di essere al potere per le pressioni di Obama, e che questo gli è di pregiudizio in un paese e in un modo di consolidato nazionalismo. Prima dell’intervento degli Usa, il 10 febbraio, i generali stavano con Mubarak: i moti registrano almeno 360 morti, forse 370, solo nelle città, Cairo, Alessandria, Suez. Ma il compromesso, se ci sarà, con i potentati economici, o la via d’uscita autoritaria, più probabile, si annuncia nel senso di un maggiore statalismo, Che vuol dire anche consolidamento delle posizioni personali di molti ufficiali superiori, nel turismo – il primo interessato a un “ritorno alla normalità” – e nell’edilizia.
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