sabato 19 marzo 2011

Visita guidata a Parigi, Secondo Ottocento

Titolo barresiano, d'après Sainte-Beuve, per questa incursione nel secondo Ottocento francese, che s’illustrerà nella letteratura cosiddetta fin-de-siècle, di frivolezza cioè appesantita. Il cabotinage e l’operetta Calasso fa nobilitare da Proust, ma non hanno e non danno più di un po’ di prurito. Baudelaire naturalmente fa eccezione in tanta lievità, da W. Benjamin, “La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire”, sottotraccia fino a questa “Folie”. Ma leggerlo insieme ai pittori dei suoi “Salons” non lo esalta. Anche nella parte più baudelairiana - veloce, sorprendente - del libro.
Si può leggere Nietzsche come Baudelaire (ne acquista), ma non Baudelaire come Nietzsche. Addebitandogli cioè una metafisica, per di più di paralogismi, e anzi di “mostruosi paralogismi” (188). Che è quanto fa Calasso alla fermata centrale, “Il sogno del bordello-museo” - un pastiche, surrettizio, involontario, del sogno baudelairiano di Butor, “Una storia straordianaria”? O sono queste Letture dell’Autore per spicchi, alla Citati, non biografiche né critiche ma mimetiche, che stancano, il Lettore opprimendo l’Autore con falsa modestia e lezioso saprofitismo. Il sogno poi Calasso (involontariamente?) realizza nella seconda parte del libro, con una galleria commentata di una cinquantina di figure femminili, una sorta di visita guidata, con grande dettaglio di letture consigliate. Nella mistica della donna pervasiva, che inevitabilmente è perduta, cominciando dai petits rats, le bambine della scuola di ballo all’opera, di cui le madri laboriose avviano la vendita. Baudelaire non è ametafisico, nemmeno lo stupido ci riesce, ma è asistematico. E si vuole ed è un dandy, che lui concepiva come all’erta sempre, “vivere e morire davanti a uno specchio” – intransigente come un Calvino, oppresso dall’intelligenza.
Il Secondo Impero e il lungo fin-de-siècle, così monomaniaci malgrado gli orrori della sconfitta e della Comune, cominciano a stingere, col mito di Parigi. Calasso lo sente, che quella Parigi rivive nella pittura – la pittura infatti resta. Sempre in questa famosa stazione centrale del sogno al bordello Calasso indulge alla “retorica del sogno” (168) che irride, di un sogno che definisce un romanzo, e forse lo è, ma in questa lettura è specchio deformante, stiracchiato – Freud non avrebbe osato tanto: nel sogno, lo stesso Calasso fa dire a Baudelaire , “vale l’assurdo e l’inverosimile” (168), ma molti sogni non valgono niente.
La lettura “meravigliosa” che Calasso viene svolgendo dalla “Rovina di Kash” (1983), di cui questo è il sesto pannello, prima di “Ardore”, inciampa in Baudelaire. “Nell’epoca del «Siècle», che dura tuttora” Calasso finisce egli stesso per immergersi, sebbene ghignando - il «Siècle» fu per Baudelaire, com’egli scrisse al notaio Ancelle, campo di studio ventennale della bêtise (nel quale eccelle forse più del suo coetaneo Flaubert). Anche su Baudelaire. Sul quale si torna con sollievo nel capitolo finale, dopo l’interminabile dettaglismo su Guys, Degas, Manet (un po’ più vivace su Ingres) e su Rimbaud. Calasso ha tagli illuminanti su Baudelaire, anche per il lettore adusato, ma l’insopprimibile one-upmanship li diluisce. È l’effetto del dandysmo sul dandy, due quantità dello stesso segno si appesantiscono e non si stimolano: per il dandy la ritenzione e non l’eiaculazione è il piacere (Calasso ricorda che Baudelaire scrive a Mme Sabatier: “Non c’è forse qualcosa di essenzialmente comico nell’anima?”), la sua Scrittura sarebbe il Silenzio, atteggiato certo. O forse non c’è dandy nell’epoca della crisi: non si può essere critici nella crisi, è girarsi, come Diogene quando il Macedone era alle porte, nella propria botte. Se non in forma di maschera. Ma, infine, leggiamo e amiamo Baudelaire (e Flaubert) e non Sainte-Beuve.
Roberto Calasso, La Folie Baudelaire, Adelphi, pp. 425, € 18

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