Ci ha tentato a Milano, li candida a Napoli e altre città minori: il partito Democratico si qualifica come il partito dei prefetti. Per un senso elevato delle istituzioni, dice. In realtà perché non ha altri candidati, di fronte alla rissosità interna, e alle troppe candidature dubbie. E per il gusto del potere, questa è purtroppo la verità: il partito Democratico, che aveva già occupato i più accreditati centri di potere, la Rai, le Procure, il Csm, la Corte Costituzionale, il Quirinale, apre con i prefetti una breccia importante nella gestione del territorio e della polizia.
Gli effetti non sono positivi. Nessuno di questi centri di potere ha un bilancio attivo dopo vent’anni di occupazione di un partito solo e uno schieramento. L’alluvione berlusconiana ne è l’effetto macroscopico. Ma più conta la sterilizzazione della sinistra. L’esercizio del potere è non democratico, e anzi dispotico, e tende a comprimere, e anzi ad annientare, ogni frangia o minima dissociazione. È qui la radice della rissosità e della frammentazione continua dell’ex Pci – cui oggi si richiamano una dozzina di formazioni politiche fra loro nemiche, senza contare i tanti sindaci e amministratori locali ex Pci che “fanno partito” in proprio. Una forte capacità tattica, e l’insipienza della destra, potrà consentire ora con i prefetti un ulteriore allungamento di questo sistema di potere, ma non si vede dove e come faccia crescere lo schieramento, l’opinione, il voto.
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