È la storia di Giuseppe Poerio e dei suoi tre figli Carlo, Alessandro e Carlotta – i tre sopravvissuti dei dodici che ebbe con la moglie Carolina Sossisergio. Del genero Polo Emilio Imbriani, deputato, ministro, e dei suoi figli. Dei fratelli di Giuseppe: Raffaele, che militò ventinove anni nell’esercito francese, nel 1848 accettò l’invito del governo lombardo e comandò una brigata all’assedio di Mantova, mentre il nipote Enrico, figlio del fratello Leopoldo, “partì da Napoli luogotenente in un battaglione di volontari e fu ferito a Montanara”. È anche una storia di donne meridionali molto forti e molto libere, la moglie Carolina e la figlia Carlotta. Ma Croce sceglie i Poerio, dalle vite avventurose ma non troppo - non per la media dei liberali del primo Ottocento -, per spiegare una cosa che non osava spiegare a se stesso: l’inconcludenza (inaffidabilità) della borghesia del Regno, e forse dell’Italia.
Giuseppe Poerio, figlio di Carlo e di una Poerio baronessa di Belcastro, si trasferisce ventenne nel 1795 a Napoli da Catanzaro, dove si era formato al collegio dei nobili, per esercitare l’avvocatura. È una persona d’ingegno, poliglotta, in grado di corrispondere con Savigny, Hugo e altre personalità europee. Buon amministratore, sarà anche barone di Murat. Ma dopo essere stato nel gennaio del 1799, malgrado l’età, ventiquattro anni, l’instauratore della Repubblica filo francese. Di cui poi si pentirà, ed è questo il filo della storia di Croce: che un vero movimento liberale (di liberazione) deve vedere le élites, come si sarebbero chiamate, in contatto col popolo. Giuseppe manifesterà ripetutamente “il dubbio di avere errato nel 1799, quando aggiustò fede alle promesse de’ forestieri”, racconterà il figlio Carlo, il più rivoltoso di tutti, ricredendosi sull’esempio della Spagna, che invece aveva resistito all’invasione francese: “Forse (soggiungeva) se la sana parte del paese si fosse unita col popolo, sfrenato sì ma pieno di vita e d’avvenire, dalla congiunta energia di quelle forze dissolute ne sarebbe nato qualche cosa di meraviglioso e di grande a salvezza dell’Italia”. Ma questo più tardi.
I Poerio sono patrioti in quanto liberali, perseguitati per la libertà politica prima che nazionale. Giuseppe si batteva per la libertà nel Regno, l’Italia non era all’orizzonte. Solo si cominciò a parlarne nel ’48, ma più come forma di sostegno a Carlo Alberto in guerra, come sempre era avvenuto nella storia d’Italia, non nella forma che gli eventi avrebbero preso dodici anni dopo. I liberali napoletani sono monarchici ma borbonici – non albertini, non unitari.
Sarà Carlo, il figlio patriota, dopo dieci anni di ergastolo, a reindirizzare il liberalismo napoletano verso l’unità e il Piemonte costituzionale, sul finire della decade 1850. Insieme col fratello Alessandro, il poeta, germanista (deluso), cosmopolita, poliglotta come il padre.
Giuseppe calabrese, la fidanzata Carolina leccese, non sono per nulla provinciali: senza partito preso, è questo il ritratto che prorompe dalla lettura che Croce fa del loro epistolario e delle memorie di congiunti e conoscenti. Sanno cosa succede al mondo, corrispondono in francese, e in inglese, vivranno in continui trasferimenti forzosi dentro e fuori del Regno, ovunque sapendo mettere radici e generare apprezzamenti e legami forti.
Benedetto Croce, Una famiglia di patrioti, Adelphi, pp. 179, € 13
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